mercoledì 29 maggio 2024

STORIE CINESI: dal Paleolitico all'Età del Bronzo

Questo è un post che riguarda i periodi pre-storici della Cina in cui avvennero passaggi fondamentali che condussero verso l'antica civiltà cinese. È una cavalcata affascinante perché ci permetterà di vedere come quella antica civiltà non sorse da un giorno all'altro, ma attraverso migliaia di anni di graduale progresso, in epoche preistoriche in cui perfino le antiche civiltà egizia e mesopotamica non erano ancora sorte. Tuffiamoci quindi in questo affascinante viaggio. 

Come abbiamo visto nel precedente post, la catastrofica eruzione del supervulcano di Toba, attorno al 75.000 avanti Cristo, aveva provocato non solo morte e distruzione in una vasta area del sudest asiatico, ma anche un mini periodo glaciale che aveva portato sull'orlo dell'estinzione la giovane specie umana. Anche se ci fossero già stati Homo sapiens in Cina a quel tempo, molto probabilmente essi si estinsero quindi per le conseguenze di quel cataclisma: se anche sopravvissero nell'immediato, andarono incontro all'estinzione lentamente nel giro di migliaia di anni a causa delle proibitive condizioni di vita successive al cataclisma e all'assenza di nuove immigrazioni. È infatti accertato dagli studi genetici che tutta la popolazione mondiale attuale, di oltre 8 miliardi di persone, si evolse da pochissime migliaia di umani sopravvissuti (dai tremila ai diecimila individui appena) che provenivano dall'Africa, non da altri continenti. Quindi non è forse un'esagerazione dire che la storia di tutti noi umani esistenti oggi comincia veramente a partire da 70.000 anni fa, da quei sopravvissuti africani.

È quindi un piccolo mistero, finora, il ritrovamento avvenuto alcuni anni fa di tracce di presenza umana (pietre scheggiate) nel sito di Dadiwan, su un altopiano nella provincia di Gansu nella Cina centro-occidentale. I manufatti risalirebbero a un arco di tempo dagli 80.000 anni fa ai 60.000 anni fa. Potrebbe trattarsi di umani sopravvissuti nell'immediato alla glaciazione successiva alla catastrofe di Toba, ma che alla fine sparirono col tempo, senza lasciare traccia genetica negli umani successivi. Questo fu molto probabilmente il destino di altri gruppi isolati di ominidi che vivevano in Cina a quel tempo, come per esempio l'Uomo di Denisova, come vedremo tra poco.

Nel frattempo, i discendenti dei sopravvissuti in Africa ripresero a uscire nuovamente dal continente africano espandendosi verso altre terre. Si ritiene che arrivarono nell'attuale Cina attorno a 50.000 anni fa, all'inizio della fase più recente del Paleolitico, chiamata paleolitico superiore. Particolari ed enigmatiche scoperte in due siti nel sud della Cina, nella grotta del Cervo Rosso e nella grotta di Longlin, attestano la presenza di umani dall'anatomia arcaica, anche se i fossili risalirebbero a 15.000 anni fa. Recenti analisi del DNA effettuate nel 2022 hanno suggerito che si trattasse dei discendenti dei primi sapiens immigrati qui forse 50.000 anni fa, o forse ancora prima della catastrofe di Toba, oltre 100.000 anni fa, e rimasti poi isolati sulle montagne mantenendo quindi il loro aspetto anatomico arcaico fino a 11.500 anni fa, quando si estinsero senza essere entrati in contatto con i nuovi umani arrivati nella regione. Ma allo stato attuale quei resti sono destinati a far discutere la comunità scientifica ancora a lungo.
Invece, a partire dal 45.000 a.C circa risale, come abbiamo visto nello scorso post, un deposito di strumenti in pietra scheggiati a Nwya Devu, a ben 4600 metri di altitudine sull'altopiano del Tibet. Lo stile di scheggiatura qui ha caratteristiche simili ad altri siti quasi contemporanei tra il sud della Siberia e la Mongolia, quindi si ritiene che si trattò di una migrazione umana che arrivò in questa regione quasi 50.000 anni fa provenendo dal Medio Oriente e aggirando la catena montuosa dell'Himalaya da nord. Pare che a quel tempo le condizioni climatiche in Tibet fossero più miti di quelle che sono oggi. I paleoantropologi ritengono che gli umani della comunità di Nwya Devu, che durò fino a circa 30.000 anni fa, fossero gli antenati dei moderni tibetani. È anche interessante sapere che fino a 45.000 anni fa sull'altopiano del Tibet, anche se molto lontano da Nwya Devu, vivevano ancora gli ultimi Homo Denisova, come attestato dal DNA ritrovato nella grotta di Baishiya, nella contea di Xiahe (come ho accennato nello scorso post). Ma dalle ricerche genetiche pare comunque assodato che i Sapiens di 45.000 anni fa nuovi arrivati in Cina non si ibridarono con i Denisova, come invece avvenne nel sudest asiatico (attuali Indonesia e Papua Nuova Guinea), forse perché i Denisova cinesi erano l'ultimo sparuto gruppo di una comunità in estinzione, mentre in Indonesia c'erano probabilmente ancora comunità Denisova più cospicue.
Un'altra comunità di cacciatori-raccoglitori, risalente a partire dal 43.800 a.C., è stata recentemente scoperta nel sito di Shiyu, nella Cina settentrionale nella provincia di Shanxi. I resti di ossidiana, di punte di frecce o lance in pietra e in osso, di punteruoli, di un disco di grafite perforato, ci permettono di capire che si trattava di una comunità di esperti cacciatori di cavalli selvatici, che producevano armi e strumenti avanzati per l'epoca.

Ci fu poi una differente ondata migratoria di sapiens che, passando dall'attuale India, raggiunse la Cina da sud. Al confine meridionale della Cina, a Xiaodong, è attestata la presenza umana al 41.500 a.C. Si tratta di una cultura litica con caratteristiche simili comuni a quell'area, tra la Cina meridionale e l'attuale Thailandia, a cui è stato dato il nome di "cultura Hoabinhiana".
Intorno al 40.000 a.C. altri gruppi umani vivevano al nordest della Cina, come testimoniano i frammenti ossei ritrovati nella grotta di Tianyuan, non lontano dalla attuale Pechino.
Va detto che non si trattava di viaggi esplorativi, ma di movimenti di gruppi umani che si spostavano per trovare nuove risorse, essendo gruppi di cacciatori-raccoglitori non stanziali, cioè che sostavano in un territorio soltanto fino a quando le risorse di quel territorio potevano sostenerli, dopodiché si spostavano in nuovi territori, come era la norma allora. Per questo motivo essi, come avevano fatto da sempre gli ominidi più arcaici, non vivevano in capanne, ma in ripari naturali come le grotte, o all'aperto o in ripari temporanei, perché non essendo stanziali non avevano bisogno di capanne permanenti.
Ciò non significa che già allora quei gruppi umani ignorassero il simbolismo e le espressioni artistiche, come è attestato dalla recente scoperta nel sito di Xiamabei (Cina settentrionale) di tracce di ocra (che si ritiene fosse usata nella preistoria per la pigmentazione di oggetti e anche del corpo umano, con motivazioni simboliche o rituali) risalenti al 38.000 a.C., o ai ritrovamenti di segni lineari scolpiti su pietre nel sito di Shuidonggou, sempre nella Cina settentrionale, risalenti a partire dal 34.000 a.C. Si ritiene inoltre che queste fossero società principalmente egualitarie, cioè senza gerarchie, come era la norma nelle comunità di cacciatori-raccoglitori. Ovviamente, come i loro antenati da molte decine di migliaia di anni, padroneggiavano l'uso del fuoco, che usavano per cuocere la carne degli animali cacciati, per scaldarsi nei periodi freddi e per difendersi dalle fiere feroci, e attorno al fuoco si ritrovavano la sera per condividere racconti, storie ed esperienze, sviluppando sempre di più la profondità simbolica del loro linguaggio e anche il senso della loro comunità. 

Con l'approssimarsi del cosiddetto "Ultimo massimo glaciale", a partire all'incirca dal 25.000 a.C., il clima cominciò a diventare più freddo e arido in tutto il pianeta. La Cina centro-settentrionale diventò una fredda steppa semi-arida, con neve perenne nelle zone più a nord e temperature che precipitarono di diversi gradi, per migliaia di anni.
Nei siti archeologici della Cina centro-settentrionale risalenti a quest'epoca si osserva che quegli umani cominciarono a scheggiare pietre e ossa sempre più appuntite, tanto da poter essere usate come una sorta di grossi aghi per poter cucire grossolani vestiti con cui ripararsi dal freddo. Con la stessa tecnica affilavano pietre e ossa che venivano usate come punte di lance o frecce. Uno dei più antichi siti in Asia orientale dove sono state rinvenute tali "microlame" (come vengono chiamate dagli archeologi) è a Shizitan, nella provincia dello Shanxi lungo la vallata del Fiume Giallo, dove risalgono a partire dal 24.000 a.C.

Secondo recenti ricerche genetiche, sarebbe stato proprio in quel periodo, a causa delle condizioni climatiche glaciali, che si diffuse una mutazione di un allele di una proteina nel corredo genetico delle popolazioni dell'Est asiatico. In un clima molto freddo e senza sole, soprattutto nelle regioni settentrionali, questa mutazione avrebbe aiutato la sopravvivenza della vitamina D nel latte prodotto dalle ghiandole mammarie degli individui femminili e avrebbe prodotto effetti secondari a livello morfologico, tra cui una pelle più lubrificata e con più numerose ghiandole sudoripare, ridotto grasso mammario (seni più piccoli), mento più piccolo e diametro dei capelli più spesso. Si tratta dei caratteri tuttora presenti nelle moderne popolazioni dell'Est asiatico: recenti analisi genetiche hanno confermato la presenza della mutazione di quell'allele nel DNA degli Asiatici orientali del giorno d'oggi, oltre che delle popolazioni native americane (che migrarono per la prima volta sul continente americano dall'Est asiatico proprio attorno a quell'epoca). Quindi, tutto sarebbe nato da una mutazione nel buio e nel freddo durante la glaciazione nel nordest asiatico, in una popolazione che poi si sarebbe diffusa in tutto l'Estremo Oriente: si trattò di un caso "fortuito" quindi, il che spiegherebbe perché gli umani europei di quell'epoca non svilupparono i tratti asiatici, nonostante l'Europa fosse in condizioni climatiche analoghe e gli umani europei di allora vivessero in modo simile a quelli asiatici. Ma se le condizioni glaciali erano simili in Europa e in Asia (non per nulla l'Eurasia in realtà è un unico continente), come mai gli occhi "a mandorla", il naso piatto e la corporatura piccola e snella si svilupparono negli Asiatici e non negli Europei? Una spiegazione plausibile potrebbe essere che in Europa a quell'epoca esisteva ancora l'Homo neanderthalensis (o Uomo di Neandertal), specie dai caratteri anatomici molto più robusti (ossa più grosse e spesse, incluse quelle del cranio e del setto nasale, corporatura più massiccia), mentre in Cina non esistevano più altre specie umane diverse dalla nostra a quell'epoca. Quindi, mentre in Europa gli umani, accoppiandosi occasionalmente con i Neandertal, si ibridarono ereditando alcuni dei loro tratti anatomici (le popolazioni europee hanno tuttora nel loro DNA una piccola traccia di DNA neandertaliano), gli umani arrivati in Cina a partire da 50.000 anni fa non si accoppiarono con altre specie diverse e i loro caratteri somatici di conseguenza non subirono alcuna ibridazione con quelli neandertaliani o di altre specie, come invece avvenne in Europa. Sono teorie plausibili che però dovranno ancora venire messe al vaglio della ricerca scientifica.

Fatto sta che alla fine dell'"Ultimo massimo glaciale", 20.000 anni fa, gli umani in Cina emersero dalla glaciazione molto probabilmente già con i tratti somatici che contraddistinguono i Cinesi di oggi. E non solo. Un altro elemento caratteristico della futura civiltà cinese nacque anch'esso in questo periodo.
Risalgono infatti proprio a 20.000 anni fa i ritrovamenti più antichi al mondo di contenitori in terracotta, usati per cuocere il cibo.
Fino a qualche anno fa si pensava che i primi utensili in terracotta risalissero all'età neolitica (10.000 a.C.), con l'inizio dell'agricoltura. Ma queste scoperte hanno dimostrato che in Cina il loro utilizzo avvenne ben prima e che essi venivano utilizzati già da società non stanziali di cacciatori-raccoglitori. Si trattò della prima volta (la prima di altre successive) in cui gli antichi Cinesi anticiparono le invenzioni fatte in altre parti del mondo, e in questo caso di un bel po', di diverse migliaia di anni (per quanto ne sappiamo oggi)!
Si hanno resti di terracotta con segni di cottura su fuoco nella grotta di Xianren, presso il fiume Yangtze nella provincia di Jiangxi, risalenti appunto a partire da 20.000 anni fa. Reperti simili, risalenti a partire dal 16.300 a.C., sono stati trovati anche nella Cina meridionale, nella grotta di Yuchanyan nello Hunan. Altri ritrovamenti di terracotta risalenti a quegli ultimi millenni del paleolitico compaiono in diversi siti in Cina, anche se in piccole quantità, il che ha fatto sorgere alcune teorie secondo cui quelle tazze di terracotta forse fossero usate non quotidianamente, ma in particolari riti della comunità.

Attorno al 14.000 a.C., il clima in Cina divenne ancora più caldo e umido, con un'intensificazione dei monsoni e delle piogge. Questo provocò un'estensione dal sud delle aree dove cresceva riso selvatico, fino a raggiungere, a nord, la vallata del fiume Yangtze. Risalenti a quei millenni sono i resti di riso selvatico accanto a frammenti di terracotta, in siti archeologici in diverse zone della Cina. A quel tempo il riso veniva solo raccolto, non coltivato, ma queste scoperte testimoniano che esso cominciava già a diventare una parte integrante della dieta di quegli antichissimi Cinesi. Sono stati ritrovate anche pietre che venivano usate per macinare i semi di alcune piante come il miglio selvatico, che in seguito, millennio dopo millennio, quegli antichi abitanti avrebbero cominciato a coltivare (senz'altro fu un processo lento che avvenne tra prove ed errori, prima che la coltivazione divenisse un metodo di vita). Accanto al riso selvatico e al miglio, essi mangiavano altri vegetali e frutti che raccoglievano da piante selvatiche, e cacciavano animali che popolavano la Cina di allora, quali cervi, cinghiali, bufali, antilopi, pesci, e perfino struzzi.
Fu probabilmente in quello stesso periodo, se non prima, che avvenne in Cina la domesticazione del cane, a partire dal lupo della Mongolia. Il motivo della domesticazione è semplice: i cani (che nei primi millenni dovevano apparire molto simili ai lupi selvatici) aiutavano gli umani nella caccia e nella protezione delle comunità di cacciatori-raccoglitori dai pericoli esterni.

Dopo un'altra breve era glaciale, che nella Cina centro-settentrionale sarebbe durata uno o due millenni (mentre la Cina meridionale ne rimase immune), il clima tornò a scaldarsi di nuovo. E cominciò una nuova, importante era: nel 9700 a.C. si fa convenzionalmente iniziare l'epoca geologica dell'Olocene, in cui ci troviamo tuttora.
Ed è a partire da quel periodo che le cose per gli umani cominciarono a cambiare profondamente. Finiva il paleolitico e iniziava il neolitico. Si trattò di un processo graduale durante il quale le comunità di cacciatori-raccoglitori cominciarono a poco a poco a vivere in maniera sempre più stanziale, fermandosi negli stessi luoghi per periodi sempre più lunghi fino a che vi si fermarono in modo permanente.
Dalle scoperte, pare che all'interno della Cina ciò avvenne inizialmente nella Cina centro-settentrionale.
Presso il sito di Donghulin, a 50 chilometri a sud del centro di Pechino, sono state trovate pietre usate per macinare granaglie e ghiande e tritare vegetali, risalenti a partire dal 9000 a.C. Questo è un forte indizio di una comunità stanziale o semi-stanziale. Infatti, queste pietre sono molto più grosse e pesanti delle microlame (che comunque rimanevano in uso anche in questo periodo), e molto più difficili da trasportare: ciò significa che venivano usate da una comunità che non si spostava continuamente, ma rimaneva nello stesso luogo per periodi lunghi. Inoltre nello stesso sito sono state trovate tracce di uso del fuoco in buche nel terreno, e addirittura di sepolture. Quest'ultimo fatto è molto importante: è il segno che queste comunità, che stavano diventando gradualmente semi-stanziali, non abbandonavano più i propri morti, come avviene nel mondo animale e come avveniva tra gli ominidi più arcaici, ma li seppellivano vicino a dove i viventi cominciavano a stabilirsi per più lunghi periodi. Insomma, detto in modo superficiale erano i primi cimiteri. E chissà se collegate alla sepoltura ci fossero già credenze legate al soprannaturale, come al giorno d'oggi. È altamente probabile. 
Scoperte ancora più importanti sono avvenute a Nanzhuangtou, a 150 chilometri a sudovest di Pechino. Accanto a resti di miglio selvatico, ci sono anche tracce di coltivazione del miglio già dall'8500 a.C. Si tratta di una delle testimonianze più antiche di domesticazione delle piante. Questo significa che già allora gli umani di quell'area si erano stanziati a vivere in quel luogo per periodi più lunghi di quanto mai fatto prima. Al termine di un processo selettivo probabilmente durato migliaia di anni, avevano "inventato" come piantare semi e far crescere piante di miglio in modo controllato, per il sostentamento della comunità. Nello stesso sito sono state trovati resti di terracotta risalenti all'8200 a.C., e si è trovata evidenza dell'allevamento di cani (un cranio di cane, differente da quello di un lupo selvatico) risalente all'8000 a.C. Sono inoltre stati trovati resti decomposti di pali di legno, che fanno supporre l'esistenza di strutture abitative come rudimentali capanne. I cacciatori-raccoglitori avevano da sempre vissuto in ripari naturali come le grotte o in ripari di fortuna, perché non stando fermi in un posto non avevano bisogno di capanne permanenti. Ora la situazione, lentamente e gradualmente, cominciava a cambiare.
Tra l'altro, i due siti di Donghulin e Nanzhuangtou distano appena un centinaio di chilometri l'uno dall'altro, a sud della attuale Pechino, ed erano luoghi abitati contemporaneamente durante gli stessi millenni. Quindi questa zona, cosparsa di foreste umide con molta cacciagione, dai cervi ai cinghiali, era un'area piuttosto popolata e in cui le buone condizioni di vita condussero a innovazioni fondamentali nello stile di vita, tra cui appunto l'inizio della domesticazione e una vita semi-stanziale, anche se lo stile di vita di cacciatori-raccoglitori continuò ancora per alcuni millenni: non ci fu una cesura netta tra i due stili di vita, ma un graduale cambiamento, e per lungo tempo quelle comunità vissero con uno stile di vita misto tra i due, per così dire.

Molto più a ovest, lungo il medio corso del fiume Yangtze nell'odierno Hunan, si sviluppò la cosidetta "cultura" di Pegtoushan, dove sono state trovate tracce di riso domesticato risalenti tra l'8200 e il 7800 a.C., tracce che rappresentano la più antica domesticazione del riso in Cina. Si comincia a parlare di "culture" nel senso di comunità stanziali e semi-stanziali in siti vicini l'uno all'altro che condividevano caratteristiche comuni, probabilmente attraverso scambi reciproci e baratto.

Con l'VIII millennio a.C. iniziò in Cina il Neolitico. Si moltiplicarono diverse "culture" (nel senso che ho appena spiegato) e la nascita di villaggi che poco a poco vennero abitati in modo permanente. La differenza rispetto alla vita del paleolitico diventò sempre più evidente, come si capirà bene dai prossimi paragrafi. Devo premettere che il nome di ogni cultura è stato dato dagli archeologi moderni prendendo spunto dai nomi delle cittadine della Cina di oggi, perché ai tempi di quelle culture non esisteva ancora la scrittura, quindi non possiamo sapere che nome davano a se stessi, sempre che se ne dessero uno.
Va inoltre detto che durante questi millenni, anche la conformazione delle coste della Cina diventò sempre più simile a quella attuale: il riscaldamento climatico fece aumentare il livello del mare, che intorno all'8000 a.C. separò Taiwan dalla Cina continentale (prima Taiwan era collegata alla terraferma), e poi entro il 5000 a.C. sommerse un'enorme piana alluvionale alla foce del Fiume Giallo, piana che divenne quello che oggi è il mare che separa la costa cinese dalla penisola coreana (Mar Giallo).

Molto più a sud, nel sito di Shangshan, nella Cina orientale (a poche centinaia di chilometri dalla grotta di Xianren, dove fu scoperta la terracotta più antica al mondo come abbiamo visto), sono stati ritrovati i resti di pali di legno, risalenti a partire dal 7400 a.C., di quello che è stato nominato il più antico villaggio neolitico in Cina. Le caratteristiche del sito (buchi di mezzo metro nel terreno per conservare il raccolto, molte grosse pietre per macinare, sepolture, e una ricca collezione di grandi vasi e contenitori in terracotta) fanno pensare che il villaggio fosse abitato permanentemente durante tutto l'anno, anche se sicuramente gli abitanti continuavano anche la loro abituale vita di caccia e raccolta. Shangshan faceva parte di una cultura neolitica con molti altri villaggi che condividevano caratteristiche simili.

Molto più a ovest, un sito neolitico straordinario risalente a partire dal 7000 a.C. è quello di Jiahu, nelle pianure alluvionali della Cina centrale (odierno Henan), non molto lontano dal Fiume Giallo. È in questo sito che si ebbe un balzo in avanti incredibile nel modo di vivere delle società di allora, a giudicare da quanto ritrovato. Si trattava di un grande villaggio con una popolazione di centinaia di persone, che copriva un'area di 5,5 ettari: sono state dissotterrate 45 capanne abitative costruite con pali infissi in profondità nel terreno, di cui le più antiche con un solo spazio abitativo, mentre alcune successive con più stanze. Poi, celle per conservare il raccolto e buchi nel terreno dove venivano depositati i rifiuti, e, fuori dello spazio abitativo, oltre quattrocento sepolture (e altre ancora in attesa di essere scavate). Nelle sepolture sono stati ritrovati oggetti deposti nella tomba accanto ai defunti, in alcune più elaborati e in altre meno, il che ha fatto supporre l'inizio di una certa stratificazione sociale, pur all'interno di società che rimanevano prevalentemente egualitarie. La differenza riguardava soprattutto il ruolo lavorativo che l'individuo ricopriva: se era agricoltore, pastore, pescatore, cacciatore, costruttore, musicista o uno sciamano. Era una società in cui il senso simbolico e probabilmente del soprannaturale era già presente: alcuni corpi per esempio venivano decapitati subito dopo la morte e la testa veniva depositata nella sepoltura con un orientamento verso nordovest, sicuramente per un qualche significato simbolico, rituale o sacrale. Inoltre nelle sepolture venivano messi anche oggetti votivi: da terracotte (che in questa epoca erano modellate in modo più elaborato rispetto alle epoche precedenti) a gusci di tartaruga a, in casi rari, intagli in pietra turchese, appartenenti probabilmente a individui abbienti.
Al centro del villaggio c'era un ampio edificio, creduto essere uno spazio lavorativo o di incontro della comunità. È documentata la coltivazione di miglio e anche di riso: si tratta di una delle più antiche testimonianze di coltivazione del riso, e della più antica mai trovata così a nord. A Jiahu sono stati trovati anche i più antichi semi di fagioli di soia selvatici, e una grande quantità di fagioli di soia, un altro elemento che, insieme al riso, diventerà parte integrante della dieta cinese nei millenni seguenti. C'è inoltre traccia della domesticazione di maiali, cani, pollame e, in piccola quantità, di bestiame, e perfino della più antica acquacoltura di carpe al mondo. Il letame dei maiali e del bestiame era utilizzato come fertilizzante per i campi coltivati a riso. Accanto a questo, comunque, continuavano a venire praticate ancora la caccia e la raccolta, come testimoniano le tracce di cacciagione come cervi, cinghiali, lepri. Ghiande, castagne, pere selvatiche, albicocche selvatiche e tuberi venivano ancora raccolti dalle piante selvatiche, e sono state ritrovate reti manufatte con fibre di canapa che servivano per pescare pesci dai fiumi. Nelle fasi successive (intorno al 6000 a.C.) è documentato un graduale miglioramento dello stile di vita del villaggio, attraverso l'analisi delle salme, che ha dato informazioni quali il graduale aumento dell'età media e della statura degli abitanti. È stata trovata inoltre l'evidenza della produzione di alcool, attraverso la fermentazione di riso, miele, uva e foglie di biancospino, e addirittura la presenza di telai per la rudimentale tessitura di abiti, probabilmente con fibre di canapa.
Il villaggio era circondato da un fossato scavato come difesa da attacchi esterni, e lungo almeno una parte del fossato sono state trovate tracce di quella che poteva essere una palizzata difensiva.
Ma non solo: ci sono oggetti che ci hanno aperto gli occhi su una società neolitica molto avanzata per l'epoca. Una scoperta eccezionale è quella di sei flauti in osso di gru, completi e tuttora suonabili, più i resti di almeno un'altra trentina di flauti, risalenti tra il 7000 e il 6000 a.C., ritrovati nelle sepolture. La cosa molto interessante è che i fori sui flauti sono disposti in modo diverso con una disposizione tale che i rapporti armonici sono diversi da strumento a strumento: i più antichi permettono di suonare una scala tetratonica e pentatonica, quelli successivi una scala esatonica, e quelli più recenti, con otto fori, potevano suonare tutti gli intervalli armonici e due registri (od ottave). Ciò significa che i cinesi che oltre 8000 anni fa vivevano nel villaggio di Jiahu avevano senz'altro una conoscenza musicale che permetteva di esplorare diverse melodie anche complesse. Anche se non si tratta degli strumenti più antichi al mondo (altri flauti in Germania sono molto più antichi), si tratta comunque di strumenti che potevano emettere intervalli armonici combinati più estesi di quelli degli strumenti usati a quel tempo in Occidente.
Un'altra straordinaria scoperta nel sito di Jiahu apre poi scenari inediti sullo stesso concetto di scrittura. Si tratta di incisioni su gusci di tartaruga ritrovati nelle sepolture, risalenti al 6600 a.C. Sono solo undici simboli, nove su gusci di tartaruga e due su ossa. Secondo i ricercatori non si tratta di scrittura vera e propria, ma di simboli che avevano comunque un significato, forse collegati a rituali sciamanici, chissà. Ma molto probabilmente erano dei primitivi pittogrammi da cui, nel giro di migliaia di anni, si sarebbero evoluti i pittogrammi della scrittura cinese.
Dal villaggio di Jiahu si propagò, ritengono alcuni studiosi, la cultura di Peiligang, datata fra il 7000 e il 5000 a.C., che consiste in un centinaio di villaggi in comunicazione tra loro in un'area di 100 chilometri quadrati, a diversi giorni di viaggio (per l'epoca) a nord di Jiahu. Proprio la distanza da Jiahu fa ritenere ad alcuni studiosi che la cultura di Peiligang non fosse assimilata a Jiahu, anche se erano molto simili: per esempio, pur avendo molte cose in comune, il riso veniva domesticato solo a Jiahu, ma questo potrebbe anche dipendere dal fatto che Jiahu, essendo più a sud, aveva un clima più propizio per il riso.

Circa mille chilometri a nordovest dell'area della cultura di Peiligang, nel sito di Damaidi nella regione autonoma del Ningxia, lungo il corso del fiume Yangtze, sono state scoperte incisioni rupestri risalenti allo stesso periodo (6600-6200 a.C.) che hanno un che di straordinario, e che si collegano in qualche modo ai simboli ritrovati a Jiahu. Si tratta di migliaia di disegni e di simboli incisi nella roccia, tra cui rappresentazioni di cacciatori, pastori, del sole, della luna e altri simboli. Secondo gli studiosi, alcuni di questi simboli assomiglierebbero ai caratteri cinesi arcaici di cinquemila anni dopo. Questo ha portato a supporre che i futuri caratteri cinesi sarebbero derivati da simboli come quelli ritrovati sulla roccia a Damaidi, del primo periodo neolitico.

Diverse culture neolitiche simili a quella di Peiligang si svilupparono durante quei millenni nella Cina centrale e settentrionale, grazie forse a un intensificarsi dei contatti commerciali (basati sul baratto) anche a lunghe distanze. Non ho lo spazio per descrivere ognuna di esse, ma basta sapere che avevano tutte caratteri simili alla cultura che ho descritto nel villaggio di Jiahu. Ne nominerò solo alcune, da nord a sud.

Nella Cina nordorientale, tra le attuali province di Liaoning e della Mongolia Interna, c'era la cultura di Xinglongwa (6200-5400 a.C.)., detta anche civiltà del fiume Liao (perché si sviluppo nella piana alluvionale attorno a quel fiume), dove sono stati ritrovati tra i più antichi artefatti in giada, che tra l'altro pare non provenisse da quel luogo, ma fosse "importata". La cultura di Xinglongwa avrebbe prodotto anche le più antiche terracotte con intarsi "a pettine" (cioè piccoli intarsi a scopo decorativo).
Nella regione del basso corso del Fiume Giallo (400 km a sud di Pechino) ci fu la cultura di Houli (6500-5500 a.C.) seguita dalla cultura di Beixin (5300-4100 a.C.) e da quella di Dawenkou (4100-2600 a.C.) dove compaiono molti artefatti in giada, avorio e pietra turchese, e percussioni in pelle di coccodrillo.
Nell'area del medio corso del Fiume Giallo, più a nord della già vista cultura di Peiligang, c'era la cultura di Cishan (6500-5000 a.C.) a cui seguì la cultura di Yangshao (5000-3000 a.C.), che si estese anche alle aree circostanti. Appartiene alla cultura di Yangshao la più antica statua rappresentante un drago, risalente al V millennio a.C. Pare inoltre che gli umani della cultura di Yangshao allevassero già il baco da seta e producessero seta in piccole quantità, e che gli uomini si annodassero i capelli in un ciuffo in cima alla testa (top knot): tutte caratteristiche che si ripresenteranno migliaia di anni dopo nella cultura cinese.
Nell'area dell'alto corso del Fiume Giallo (Cina centro-occidentale) c'era la cultura di Dadiwan (nello stesso luogo dove sono stati trovate tracce di una diversa presenza umana risalenti tra gli 80.000 e i 60.000 anni fa, come detto all'inizio di questo post), che si sviluppò tra il 5900 e il 5200 a.C., a cui si affiancò nella stessa regione la cultura di Baijia (5800-5000 a.C.), considerata la prima cultura cinese dove compare terracotta dipinta (che poi in seguito ebbe una grande diffusione con la successiva cultura di Yangshao, di cui ho appena parlato).
Nell'area del villaggio di Shangshan che abbiamo visto prima come forse il primo villaggio neolitico cinese, nella piana alluvionale del basso corso del fiume Yangtze nella Cina centrale (molto più a sud delle altre culture che ho appena menzionato) si sviluppò la sofisticata cultura di Kuahuqiao (6000-5000 a.C.). Era una società di villaggi palafitticoli, costruiti su fiumi e zone alluvionali. Sono stati ritrovati resti di archi da caccia in legno e di canoe, che sono le testimonianze di questo genere più antiche in Cina, e forse al mondo. E tra le varie specie coltivate, è documentata qui la più antica domesticazione della pianta di pesco. A essa seguirono la cultura di Hemudu (5500-3300 a.C.), una civiltà particolarmente avanzata per l'epoca, dove tra le altre cose si sono trovate tazze di legno laccato (le più antiche al mondo) e sculture in avorio (testimonianza del fatto che gli elefanti all'epoca vivevano anche su fino alla Cina centrale), oltre che vasi in ceramica nera (ottenuta mescolando carbone durante la lavorazione della terracotta); e la contemporanea cultura di Majiabang (5000-3300 a.C.), sulla costa nord della baia vicino alla foce del fiume Yangtze, dove tra le varie cose è stato trovato un remo ligneo, testimonianza che gli abitanti usavano barche.
Più a ovest, lungo il medio corso del fiume Yangtze, si sviluppò la cultura di Daxi (5000-3300 a.C.), seguita dalla cultura di Qujialing (3400-2600 a.C.): i villaggi di queste culture testimoniano per la prima volta l'esistenza di mura difensive che circondavano i villaggi, e sistemi idraulici per far scorrere l'acqua all'interno del villaggio.

Questa è stata solo una panoramica veloce e probabilmente incompleta della fioritura di diverse culture nella Cina neolitica dall'VIII al IV millennio a.C. Culture che, millennio dopo millennio, acquisivano miglioramenti tecnologici e dello stile di vita sempre più importanti, e gradualmente intensificavano i contatti e gli scambi tra loro.

A partire dal III millennio a.C., con una vita sempre più stanziale, ci fu un drastico aumento di popolazione in diverse regioni della Cina. Inoltre in alcune culture, quelle del nordovest e lungo il corso del Fiume Giallo, avvenne per la prima volta la produzione di materiali mai visti prima: il rame e il bronzo, introdotti in Cina dal contatto con culture dell'Asia centrale.

In questo periodo del tardo neolitico, dalla sofisticata cultura di Yangshao che abbiamo visto prima si evolse la cultura di Longshan (3000-1900 a.C.), che ebbe una grande espansione in gran parte della Cina centro-settentrionale, lungo tutto il corso del Fiume Giallo e fino al basso corso dello Yangtze. Era la prima volta che una cultura espandeva la sua influenza su un'area così vasta. La caratteristica distintiva della cultura di Longshan è l'alto livello raggiunto nella manifattura del vasellame, compreso l'uso del tornio. Il vasellame è tipicamente nero e lucido, con pareti sottili, e per questo è detto "a guscio d'uovo". Si suppone che la cultura di Longshan avrebbe importato, perfezionandole, la tecnica e la tradizione della ceramica nera dalla cultura di Hemudu (cui abbiamo accennato poco fa). La coltivazione del riso si era ormai ampiamente diffusa ed era praticato l'allevamento del baco da seta e la conseguente produzione della seta. La popolazione neolitica della Cina raggiunse il suo massimo durante la cultura di Longshan. Si ritiene che i cinesi di allora si affidassero alla divinazione, praticata da sciamani. E su alcuni cocci di vasellame sono stati scoperti ancora caratteri simbolici: è facile pensare che dallo sviluppo di quei segni si sarebbero in seguito evoluti gli arcaici caratteri cinesi. Con la cultura di Longshan appaiono inoltre in Cina le prime piccole città, con fossati e mura di argilla o terra battuta spesse anche fino ai 10 metri, e fossati. La città di Taosi fu probabilmente un centro regionale: al suo apice (intorno al 2000 a.C.), le sue mura racchiudevano una superficie di quasi 3 chilometri quadrati, facendone la più vasta città fortificata della Cina fino ad allora. Al suo interno esisteva anche un osservatorio astronomico (il più antico dell'Asia orientale). La società di Taosi era, a differenza delle culture precedenti, altamente stratificata, come testimoniato dalla grande differenza di corredi funerari tra le tombe più ricche e quelle più modeste.
Forse non è un caso che i leggendari tre augusti e cinque imperatori, personaggi mitologici, ma considerati storici dalla storiografia tradizionale cinese, siano tradizionalmente collocati proprio nel III millennio a.C., in corrispondenza del periodo storico della cultura di Longshan. Gli storici moderni ritengono che queste figure siano il risultato di un processo durato secoli, che vide la fusione tra personaggi mitologici e personaggi storici reali, come illustri capostipiti o fondatori di antichi lignaggi. Infatti i tre augusti e i cinque imperatori erano ritenuti i creatori della civiltà cinese e di conquiste come la metallurgia, la scrittura e la produzione della seta, cose che vennero gradualmente acquisite proprio durante il III millennio a.C. (anche se i primi esempi di scrittura cinese finora conosciuti risalgono in realtà al II millennio a.C.).
La leggenda cinese collega il mitico imperatore Yao, uno dei leggendari tre augusti e cinque imperatori (non esistiti nella realtà), alla città di Taosi. Secondo i ricercatori invece, molto più prosaicamente ma anche drammaticamente, la città collassò a causa di una ribellione della popolazione contro la ricca classe dominante. Insomma, un fatto che sembra proprio chiudere la pagina dell'era neolitica per aprire quella dell'era storica. Con il crollo di Taosi, finì la cultura di Longshan, e anche il vasellame nero di alta qualità scompare in questo periodo (circa 1900 a.C.) dai ritrovamenti funebri.
E non solo: la fine della cultura di Longshan corrispose anche a una diminuzione improvvisa della popolazione cinese. Fu come una cesura storica: finiva un'era, quella del Neolitico, e ne cominciava un'altra.

L'elemento fondamentale che definì la nuova epoca fu il bronzo: la Cina entrava nell'Età del Bronzo. La conoscenza di come produrre oggetti in rame era già stata introdotta in Cina nel IV millennio a.C., attraverso il contatto con popolazioni dell'Asia centrale. Nello stesso modo avvenne l'introduzione del bronzo nel corso del III millennio a.C., dapprima attraverso la cultura di Majiayao (3300-2000 a.C.), situata sull'alto corso del Fiume Giallo, nell'area dove poco più di 1500 anni prima era esistita la cultura di Baijia (come visto prima), sulla direttiva da cui in futuro sarebbe passata la Via della Seta.

Sorgevano così le nuove culture dei metalli in Cina. Tra le prime ci fu la cultura di Qijia (2200-1500 a.C.) sull'alto corso del Fiume Giallo, successiva alla cultura di Majiayo.
E alcuni studiosi ritengono che perfino la cultura di Longshan dopo il suo declino non si estinse del tutto, ma si evolse in una nuova cultura dei metalli: l'importante cultura di Erlitou (circa 1900-1500 a.C.).
La cultura di Erlitou, inizialmente sviluppata lungo il medio corso del Fiume Giallo, tra le attuali province dello Henan e dello Shanxi (dove era stato il cuore della cultura di Longshan), in breve si espanse anche più a sud e più a ovest, nelle attuali province dello Hubei e del Shaanxi, e divenne la società urbana più grande in Cina e in tutta l'Asia orientale, con un apparato simil-statale, con la costruzione di palazzi e di laboratori per la fusione del bronzo. Gli archeologi cinesi generalmente considerano lo stato di Erlitou essere la sede della prima semi-storica dinastia cinese, la dinastia Xia, anche se mancano fonti scritte risalenti a quel periodo e quindi a livello internazionale gli archeologi sono dubbiosi, dal momento che la prima menzione scritta della dinastia Xia si ritrova secoli dopo la fine della cultura di Erlitou.

In ogni caso, è chiaro che nel secondo millennio a.C. siamo alle soglie dell'epoca storica in Cina.
Concludiamo qui dunque questa lunghissima cavalcata che ci ha portato, a partire dai primi Homo sapiens migrati in Cina, ad attraversare le epoche del Paleolitico e del Neolitico cinesi, fino ad arrivare all'Età del Bronzo.
Essendo arrivati alle soglie della storia cinese antica e all'inizio delle dinastie imperiali, il contenuto di questo post si esaurisce qui.

Forse, un giorno mi cimenterò nell'impresa di un post dedicato alla storia antica della Cina.

mercoledì 8 maggio 2024

Impressioni

Una bella giornata tiepida. Il verde vivo dell'erba e degli alberi. Gli innaffiatoi che bagnano l'erba del campo da gioco. La mente mi si rilassa e mi sento in pace, mentre assaporo la calma e bella realtà davanti a me. E, dopo tanto tempo, riesco finalmente a godermi il momento presente, senza altri pensieri.
(Kearsney, 8 maggio 2024)


lunedì 6 maggio 2024

STORIE CINESI: Prima della Cina

Questo è il primo di una serie di post sulla Cina, che visiterò quest'anno per la prima volta.
Il primo post sarà dedicato a esplorare le origini più remote della terra che oggi chiamiamo Cina. Infatti, tutti sanno che la Cina fu culla di una delle civiltà più antiche, ma pochi sanno che la sua preistoria è ancora più antica, molto di più che la preistoria europea. Noi che abbiamo una visione eurocentrica della storia, non abbiamo idea del fatto che in realtà le vallate dell'est asiatico videro la presenza di ominidi già milioni di anni fa.
Ma cominciamo ancora da prima, da molto prima.

La terra che oggi conosciamo come Cina venne formandosi durante il periodo Triassico, circa 200 milioni di anni fa, quando i due continenti detti della Cina del Nord e della Cina del Sud entrarono in collisione (nel corso di centinaia di migliaia di anni), formando un unico continente, la Cina, che successivamente, tra i periodi Giurassico e Cretacico (a partire da 150 milioni di anni fa in poi) entrò in collisione con il resto del continente asiatico che stava lentamente andando a formarsi. Numerosissimi fossili di piante, dinosauri e altri animali preistorici risalenti a quelle epoche remote sono stati trovati in Cina, antichissime testimonianze di una ricca biodiversità in quell'area del mondo.
A partire da circa 60 milioni di anni fa, dopo l'estinzione dei dinosauri, cominciò a diffondersi in tutto il mondo un nuovo ordine di mammiferi: i primati. Anche in Cina sono stati trovati fossili di diverse specie di primati, a partire da 55 milioni di anni fa.
Dai primati si evolsero le scimmie, in tutto il mondo incluso in Cina. Un genere estinto di scimmie, chiamato Lufengpithecus, i cui fossili sono stati trovati nella contea di Lufeng nello Yunnan (Cina sud occidentale) apparteneva alla famiglia degli ominidi (a cui apparteniamo noi umani ma anche gli odierni scimpanzé, gorilla e oranghi). Visse tra i 20 milioni e i 5 milioni di anni fa e pare che possa essere stato tra i primi ominidi a cominciare a muoversi su due zampe, anche se era certamente più simile alle scimmie che a noi (apparteneva alla stessa sottofamiglia degli odierni oranghi).

E poi, accanto alle scimmie, a un certo punto compaiono in Cina le tracce di qualcun altro ben diverso, tracce che possiamo accomunare come appartenenti alla sottotribù animale degli Hominina (a cui appartenevano vari generi estinti tra cui il famoso genere Australopithecus, e infine anche il nostro genere Homo).
Nel sito di Masol, nel nord dell'India a poche centinaia di chilometri dall'attuale confine con la Cina, sarebbero state trovate negli ultimi anni tracce della presenza di una specie molto probabilmente Hominina risalenti addirittura a 2,7 o 2,6 milioni di anni fa: si tratta di particolari incisioni su fossili di animali, che specie ominidi scimmiesche come gli oranghi o gli scimpanzé non sarebbero in grado di fare: ciò ha aperto la ricerca alla possibilità che ominidi più evoluti vivessero a quel tempo in quella regione, forse addirittura affini al genere Homo. E poi nella Cina centrale, nel sito archeologico di Longgupo, sono stati trovati fossili ominidi (specie non ancora definita) risalenti a 2,48 milioni di anni fa, e nel sito di Shangchen, vicino alla città cinese di Xi'an, alcune centinaia di chilometri più a nord di Longgupo, sono stati trovati strumenti litici di 2,12 milioni di anni fa, questi chiaramente scheggiati dalle mani di una specie Homo.
Questi ritrovamenti hanno posto molti interrogativi ai ricercatori e ai paleontologi.
Perché fino ad anni recenti la teoria che andava per la maggiore era che fu l'Homo erectus la prima specie Homo a uscire dall'Africa e a colonizzare parte dell'Asia. Ma l'Homo erectus, secondo la teoria mainstream, si sarebbe evoluto attorno ai 2 milioni di anni fa... Ma allora, chi erano quegli ominidi che vivevano nell'attuale India 2,7 milioni di anni fa e nell'attuale Cina 2,5 milioni di anni fa?
I paleontologi, in attesa di nuove future scoperte, stanno dibattendo su diverse ipotesi: una di queste sostiene che non fu l'Homo erectus il primo a emigrare al di fuori dell'Africa, ma qualche specie del genere Homo più arcaica (o addirittura qualche specie di australopitechi), di cui finora abbiamo scoperto solo tracce incomplete. Una variante di questa ipotesi è che l'Homo erectus si sarebbe forse evoluto inizialmente in Asia, non in Africa, essendo il discendente di una specie arcaica emigrata fuori dell'Africa molto tempo prima, e poi si sarebbe diffuso in Africa solo in seguito, a partire da 2 milioni di anni fa. Un'altra affascinante ipotesi è che diverse specie accomunabili sotto il genere Homo potrebbero essersi evolute separatamente, sul continente asiatico e su quello africano, a partire da ancestrali ominidi presenti sui rispettivi continenti (per esempio, dagli australopitechi in Africa e dai discendenti del Lufengpithecus in Asia, per fare solo un esempio).

Comunque siano andate le cose, intorno a 1,8 milioni di anni fa compaiono in Cina i primi fossili riconoscibili come Homo erectus. Che si tratti di erectus migrati dall'Africa o evolutisi sul suolo asiatico, questa è una questione aperta.
A seconda della regione dove sono stati trovati, i fossili sono stati classificati come diverse sottospecie di Homo erectus (per fare l'esempio di una specie animale ancora oggi esistente, il leopardo ha almeno otto sottospecie, tra cui il leopardo africano, il leopardo indiano e il leopardo persiano).
Così, a 1,7 milioni di anni fa abbiamo l'Homo erectus yuanmouensis (chiamato in gergo Uomo di Yuanmou) nella provincia cinese sud occidentale dello Yunnan, il quale era forse contemporaneo del suo "cugino" Homo erectus lantianensis (o Uomo di Lantian) che però viveva quasi 1500 chilometri più a nordest, nell'attuale provincia dello Shanxi (i fossili di quest'ultimo sono datati a partire da 1,65 milioni di anni fa).
In diversi altri siti sono state trovate tracce di Homo erectus, soprattutto nella Cina centrale e settentrionale (in particolare nelle attuali province dello Shanxi e dello Hebei), a Xihoudu (a partire da 1,8 milioni di anni fa), Majuangou (1,66 milioni), Xiaochangliang e Xiantai (entrambi 1,36 milioni), Banshan (1,32 milioni), Feiliang (1,2 milioni), Donggutuo (1,1 milioni di anni fa) e Yunyang (tra 1 milione e 900 mila anni fa).
È interessante pensare che l'ambiente in cui vivevano questi Homo erectus (e anche altre specie ominidi) era ricco di flora e fauna. Negli stessi siti sono stati trovati infatti fossili di piante e animali che permettono di ricostruire gli ambienti in cui vivevano quegli antichi abitanti. Per esempio, studiando i resti fossili, si è capito che l'Uomo di Yuanmou, nel sud della Cina, viveva in un ambiente vario, tra ampie distese erbose cosparse di acquitrini ricchi di molluschi, boscaglie e foreste con acqua sorgiva e molte specie animali. Mentre l'Uomo di Lantian nella Cina centro settentrionale (provincia dello Shanxi) abitava aree con ampie zone d'acqua ricche di pesci e popolate da una fauna molto variegata, dai cavalli preistorici agli antichi bisonti, cervi, elefanti, gazzelle, rinoceronti. Ambienti ideali insomma per il sostentamento di specie Homo che basavano la loro esistenza su caccia e raccolta.

Poi, inaspettatamente, successe qualcosa che portò gli ominidi sull'orlo dell'estinzione. Recentissimi studi genetici ci hanno fatto scoprire che, a causa di lunghi cicli glaciali alternatisi per oltre centomila anni, si verificarono ondate di estinzioni di grandi mammiferi in Eurasia (anche l'Africa fu colpita da lunghe fasi di forte aridità e carestie). Avvenne più o meno dai 930.000 agli 813.000 anni fa. Anche l'Homo erectus, che forse all'epoca si aggirava attorno ai 100 mila individui sparsi tra Africa ed Eurasia, andò vicinissimo all'estinzione: soppravvissero meno di 1300 individui fertili in tutto, il che significa che ben il 98,7% degli erectus si estinse! Per rendere meglio l'idea, basti pensare che 1300 è un numero inferiore a quello dei panda oggi esistenti in natura (e il panda è considerato oggi una specie a rischio d'estinzione). Fu un crollo demografico avvenuto probabilmente nel corso di decine di migliaia di anni, ma che sembrava condurre inesorabilmente verso l'estinzione. Però furono proprio quelle estreme condizioni avverse che portarono il genoma dell'Homo erectus a modificarsi per sopravvivere, distinguendosi per sempre da quello degli altri ominidi: il corredo genetico passò da 24 coppie di cromosomi (quello che hanno tuttora le specie più vicine a noi: scimpanzé, bonobo e gorilla) a 23 coppie di cromosomi, grazie alla fusione di due cromosomi ancestrali che diede origine al nostro cromosoma 2. Secondo i paleoantropologi, fu quello un primo passaggio fondamentale che portò all'evoluzione verso la nostra specie.
Se ci pensiamo, tutti noi, oltre 8 miliardi di umani di oggi, siamo discendenti di quei meno di 1300 individui fertili di Homo erectus in tutto! Sarebbe bastato che un qualcosa fosse andato storto, che qualcuno in più non ce l'avesse fatta, e gli erectus si sarebbero estinti, e noi Homo sapiens non saremmo mai esistiti! Dovremmo sempre tenere a mente quanto fragile è la nostra stessa esistenza...

Se quello è lo scenario che avvenne 800 mila anni fa, dai reperti fossili sembra proprio che i 1300 individui erectus fertili sopravvissuti da cui deriviamo tutti noi, provenissero dall'Africa (dove è attestata la loro evoluzione in Homo heidelbergensis), e forse una piccola manciata di essi dal sudest asiatico (attuale Indonesia), cioè da quelle aree equatoriali dove il clima si mantenne vivibile durante le glaciazioni. Vediamo il perché.
Risalgono a partire dai 770 mila anni fa i fossili ritrovati nel famosissimo sito archeologico di Zhoukoudian, non lontano da Pechino, dove visse la sottospecie Homo erectus pekinensis, conosciuta in tutto il mondo col nome Uomo di Pechino. I ritrovamenti del sito dell'Uomo di Pechino e anche di altri siti sparsi nella Cina, attestano la presenza degli erectus ancora per qualche centinaio di migliaia di anni, fino all'incirca a 230 mila anni fa. Ma si ritiene che le comunità locali di Homo erectus cinesiridotte ai minimi termini a causa del periodo glaciale, nel giro di alcune decine di migliaia di anni possano essere andate incontro all'estinzione, e che i reperti successivi siano appartenenti a nuove comunità di erectus immigrate dall'Africa o (più probabilmente) dal sudest asiatico in ondate successive. Questo scenario è supportato anche dai ritrovamenti. Come per esempio il sito del Bacino di Baise, nel sud della Cina, che attesta la presenza ominide da due milioni di anni fa e poi la scomparsa, proprio attorno a 800 mila anni fa. O lo stesso sito del già citato Uomo di Lantian, dove i fossili più recenti arrivano fino a circa 650 mila anni fa, dopodiché scompaiono, mentre nel sito dell'Uomo di Pechino non è possibile capire se l'area fu abitata in modo continuativo, ma i fossili sono stati trovati in strati di età diverse: intorno ai 700 mila, intorno ai 500 mila e intorno ai 230 mila anni fa, suggerendo in qualche modo l'ipotesi di ondate successive (per la precisione, lo strato più antico abitato ancora dagli ultimi sopravvissuti locali dell'epoca glaciale, e i successivi ripopolati da colonie venute da fuori, forse dal sudest asiatico, dove le condizioni climatiche più miti avevano permesso a qualche comunità di erectus asiatici di sopravvivere alla glaciazione). Lo stesso vale per altri siti archeologici cinesi, dove diversi ritrovamenti (come per esempio l'Uomo di Nanjing) paiono risalire attorno ai 400 mila anni fa, con un vuoto di qualche centinaio di migliaia d'anni dai tempi della terribile glaciazione.

Una conquista fondamentale che viene attribuita all'Homo erectus è il padroneggiamento dell'uso del fuoco. Nel sito dell'Uomo di Pechino, per esempio, la maggior parte dei paleoantropologi ritiene che ci siano tracce (fossilizzate) di ossa animali carbonizzate, e altre tracce che attesterebbero l'uso del fuoco da parte dell'Uomo di Pechino, una conquista che sarebbe rimasta dominio anche delle specie successive di ominidi (unici tra tutti gli esseri viventi a riuscirci).

Poi, a partire all'incirca dai 300 mila anni fa, mentre le tracce di Homo erectus si diradano sempre più, compaiono nei siti archeologici in diverse parti della Cina alcuni ominidi che non sono più erectus. Trattandosi di scoperte recenti, la comunità scientifica internazionale si sta ancora confrontando sulle origini di questi nuovi fossili. L'unica cosa certa è che fanno parte del genere Homo e che non sono più arcaici come gli erectus. Alcuni paleoantropologi vi hanno riconosciuto specie ibride a partire da un'evoluzione degli Homo erectus, altri ritengono si tratti di nuove specie o nuove sottospecie, altri sono molto cauti. Alcuni paleoantropologi cinesi hanno sostenuto che essi sarebbero l'indizio del fatto che a partire dagli Homo erectus cinesi si sarebbero evoluti degli Homo sapiens autoctoni asiatici. Ma questa teoria non è considerata credibile dagli altri scienziati, anche perché tale visione vorrebbe implicitamente sostenere che i moderni cinesi sarebbero discendenti da una sottospecie sapiens diversa da quella africana, dalla quale siamo derivati noi Homo sapiens in tutto il mondo.
Al momento non si possono trarre conclusioni definitive su quale specie Homo fossero questi nuovi fossili, ma possiamo farne una rassegna: si tratta di un panorama affascinante.
Una scoperta molto interessante, e probabilmente molto importante per capire questo periodo di passaggio della preistoria umana, è stata fatta nel 2006 nella grotta di Hualong, nella Cina centrale. Oltre a fossili di animali e a strumenti in pietra, sono stati rinvenuti oltre una trentina di fossili ominidi, risalenti pare a un periodo intorno ai 300 mila anni fa. La cosa interessante è che tra questi c'è un Homo erectus, un altro erectus che però presenta anche caratteristiche di altre specie Homo arcaiche, e un individuo con caratteristiche in parte arcaiche e in parte più moderne, che sembra essere a tutti gli effetti una specie ibrida (un misto tra specie diverse). La cosa affascinante è che queste tre specie Homo diverse tra loro vissero nello stesso luogo, forse a poche migliaia di anni di distanza l'uno d'altro. Questo porta a pensare a uno scenario suggestivo ma realistico, in cui diverse specie Homo (inclusi gli ultimi erectus) abitavano la Cina in quelle epoche e probabilmente avvenivano anche accoppiamenti tra specie diverse che generavano specie ibride (come del resto succedeva anche in Africa e in Europa).
Questo spiegherebbe anche altre scoperte che sono state fatte in diverse regioni della Cina.
Risalenti a circa 260 mila anni fa sono due ritrovamenti, uno nello Shanxi nella Cina centrale (fossile denominato cranio di Dali) e uno nella provincia di Liaoning nella Cina nordorientale. Entrambi i fossili presentano alcune caratteristiche dell'erectus e altre simili ai sapiens (che a quell'epoca già esistevano come minimo in Africa). Fossili dalle simili caratteristiche e risalenti a un periodo attorno ai 200 mila anni fa sono stati trovati tra le province di Shanxi e Hebei.
A un periodo simile, forse intorno ai 200 mila anni fa (la datazione è incerta) risalirebbe un altro fossile ritrovato nel Guandong, nella Cina meridionale. L'individuo, chiamato Uomo di Maba dal nome della località del ritrovamento, presenta secondo gli studiosi caratteristiche ancora più miste: tratti da Homo erectus misti con tratti simili a Homo heidelbergensis (specie che a quel tempo era diffusa dall'Africa all'Europa) e altri simili a Homo neanderthalensis (l'Uomo di Neandertal, che a quei tempi popolava l'Europa e che si spingeva in parte dell'Asia, come vedremo tra poco) e addirittura a Homo sapiens. Insomma, era un individuo dalle molte ibridazioni.
Ancora più affascinanti, nella loro enigmaticità, sono i fossili forse risalenti ad almeno 160 mila anni fa, trovati in tre regioni completamente diverse della Cina: uno a Harbin (nella steppa all'estremo nordest della Cina), uno nella contea di Xiahe, in piena Cina centrale ai bordi dell'altopiano del Tibet, a un'altitudine di oltre 3000 metri, e il terzo addirittura sotto acqua nel tratto di mare tra la Cina continentale e Taiwan (a quell'epoca il livello del mare era di ben 140 metri più basso e l'attuale Taiwan era collegata via terra col resto della Cina). Il primo fossile, quello di Harbin, è stato ritenuto talvolta (non con ampio consenso tuttavia) una specie a sé e viene a volte classificato come Homo longi (dal nome colloquiale di quella regione, Longjiang). Ma in realtà tutti e tre questi fossili, nonostante provengano da regioni così distanti e diverse, a 3000 chilometri di distanza l'una dall'altra, condividono caratteristiche simili, ed è qui che la faccenda si fa interessante. Pare che tutti e tre abbiano caratteri che li accomunerebbero a una specie Homo scoperta per la prima volta nel 2008 presso la grotta di Denisova, nella Siberia russa a poche centinaia di chilometri dal confine nord occidentale della Cina. Da analisi del DNA, si è scoperto che l'Homo di Denisova (a cui non è stato ancora dato un nome scientifico perché i resti finora trovati sono troppo scarsi per poterne ufficialmente catalogare la morfologia) era una specie Homo a sé stante, separata dai Sapiens e dai Neandertal, ma geneticamente più vicina ai Neandertal. Fu una specie che si espanse in gran parte dell'Asia, fino al sudest asiatico. Inoltre, si è scoperto che i Neandertal stessi si erano espansi dall'Europa fino all'Asia centrale, ed erano entrati in contatto con i Denisova, procreando in alcuni casi prole ibrida.
Insomma, negli ultimi anni è emerso uno scenario molto più eterogeneo di ciò che si pensava in passato. Dai 200 mila ai 100 mila anni fa (e anche dopo) in diverse regioni del mondo vivevano diverse specie Homo, che intrattenevano rapporti l'una con l'altra, talvolta di competizione e conflitto, talvolta di collaborazione fino ad arrivare ad accoppiamenti interspecie. Anche nella Cina di quell'epoca era così: gli Homo erectus "puri" erano scomparsi, o meglio, alcuni dei loro geni erano sopravvissuti in nuove specie, come l'Homo longi o altre che non sono classificate come specie un po' per la mancanza di fossili completi e un po' perché presentano un aspetto fortemente ibrido, di difficile catalogazione. Accanto a queste specie, c'era in Cina una specie Homo più distinta, quella dei Denisova, che a sua volta occasionalmente si ibridava con altre specie, tra cui i "discendenti" diretti degli erectus e anche i Neandertal, che è ragionevole assumere vivessero almeno ai bordi della Cina nord occidentale, dal momento che la loro presenza è stata confermata a poche centinaia di chilometri oltre il confine russo, nella grotta di Denisova.
Una traccia dell'influenza neandertaliana (diretta o indiretta) anche in Cina sarebbe il ritrovamento di strumenti in pietra lavorati secondo la "tecnica di Levallois", risalenti a partire da 170 mila anni fa, nella grotta di Guanyindong, nella Cina sud occidentale. La cosiddetta tecnica di Levallois fu un deciso miglioramento della tecnica di scheggiatura delle pietre, che le rendeva molto più affilate che in passato, tanto da poterne ricavare lame, raschiatoi e anche punte di lance. Questa tecnica di scheggiatura era stata padroneggiata soltanto dai neanderthalensis e dai sapiens. Per quanto riguarda i Denisova non si è sicuri, ma potrebbero averla appresa confrontandosi e incrociandosi con i Neandertal, proprio a partire dall'area tra il nordovest della Cina e la regione confinante dell'Altaj russo, in piena Asia centrale. Insomma, gli incontri tra specie Homo diverse, in particolare tra Neandertal e Denisova, portò a sviluppi anche tecnologici molto importanti pure in Cina.

E l'Homo sapiens, la nostra specie? Quando arrivò in Cina per la prima volta?
Ci sono un paio di siti nella Cina meridionale (la grotta di Zhiren e la grotta di Fuyan) che hanno consegnato denti e una mandibola fossilizzati risalenti a un periodo tra 100 mila e 80 mila anni fa. Questi fossili avrebbero caratteristiche di Homo sapiens (miste con caratteri più arcaici nel caso dei reperti di Zhiren). Ciò porterebbe alla conclusione che la nostra specie sia arrivata per la prima volta nell'Est asiatico prima di quanto si ritenesse. Ma non tutti gli studiosi sono convinti della datazione di quei fossili, che sono tuttora sotto il vaglio di verifiche.

In ogni caso, attorno a 75 mila anni fa avvenne una catastrofica eruzione di un supervulcano a Toba, sull'isola di Sumatra (nell'attuale Indonesia) a duemila chilometri in linea d'aria dal sud della Cina. Secondo gli scienziati, fu probabilmente la più grande eruzione degli ultimi 25 milioni di anni, e le conseguenze globali portarono molte specie animali, inclusi gli ominidi e anche la specie umana, sull'orlo dell'estinzione. Si stima che la cenere vulcanica liberata nell'aria coprì i cieli di buona parte del pianeta per un lunghissimo periodo, dai sei ai dieci anni, e ciò provocò un raffreddamento globale simile a una glaciazione, che sarebbe durato per un migliaio d'anni. Studiando il corredo genetico della nostra specie e di altre specie di mammiferi (scimpanzé, oranghi, macachi, tigri, ghepardi), i ricercatori hanno scoperto che proprio intorno a 70 mila anni fa molte specie quasi si estinsero: sopravvissero poche migliaia di individui, che oltrepassato quel "collo di bottiglia" (cioè la quasi estinzione della loro specie) tornarono ad aumentare di numero molto lentamente soltanto dopo alcune migliaia di anni. E tutti noi umani di oggi, tutti gli oltre 8 miliardi di umani che popolano il pianeta, siamo discendenti da quelle pochissime migliaia di individui che sopravvissero alla catastrofe, si stima appena tra i 3000 e i 10.000 individui in tutto il mondo! E secondo ricerche genetiche, pare che quelle poche migliaia di sopravvissuti vivessero in Africa orientale (d'altronde ha senso, perché era sufficientemente lontana dal luogo dell'eruzione).
Quindi, se anche alcuni Homo sapiens fossero arrivati in Cina prima di 80 mila anni fa, essi si estinsero, insieme ad altri ominidi che popolavano il suolo cinese, in seguito all'inverno vulcanico generato dalla catastrofe di Toba.

In effetti, non si ritrovano tracce Homo in Asia orientale risalenti ai successivi 30 mila anni dopo la catastrofe di Toba.
La comparsa della nostra specie in Cina infatti risale a partire da 45 mila anni fa, e la più antica presenza umana in territorio cinese ha già in sé qualcosa di spettacolare: a quell'epoca risalgono infatti gli strati più antichi di depositi di strumenti in pietra a Nwya Devu, in pieno altopiano del Tibet, a ben 4600 metri sul livello del mare, il che fa di quel posto il più elevato (come altitudine) sito archeologico del paleolitico. Dai reperti paleoambientali pare che a quell'epoca il clima in Tibet fosse più mite di quello che è oggi, ma ciò non toglie nulla alla straordinarietà della scoperta.
Le prime vere e proprie ossa della nostra specie in Cina risalgono attorno ai 42 mila anni fa, a Tianyuan, vicino alla attuale Pechino.
Queste prime tracce umane nella Cina del dopo-Toba appartenevano all'ondata migratoria di quei pochi sopravvissuti Homo sapiens africani che, dopo una lenta ripresa dalla quasi estinzione, ripresero a espandersi e raggiunsero l'est asiatico tra i 50 mila e i 40 mila anni fa. Quei moderni umani trovarono probabilmente una Cina florida di piante e animali, ma senza più alcuna altra specie Homo, e lentamente, nel giro di generazioni e generazioni, la colonizzarono.
Probabilmente una ondata arrivò da nord dell'Himalaya, e costituirono una "cultura" litica che si estendeva dalla Siberia meridionale al Tibet, mentre un'altra ondata migratoria arrivò dal sud, attraverso l'India, e andò a stabilirsi nelle fertili vallate della Cina orientale.
Questi ultimi, della migrazione proveniente dall'India, sono ritenuti gli antenati degli attuali Cinesi, dal momento che dopo di allora non vi fu più alcuna cesura genetica tra quelle popolazioni (altre migrazioni sì, certo), fino alla nascita dell'antica civiltà cinese, molte migliaia di anni dopo. E questa ricostruzione, va anche detto, smentisce le teorie di qualche paleoantropologo cinese che sosteneva che i moderni Cinesi fossero discendenti di una razza o sottospecie sapiens separata dai sapiens africani.

E proprio per il fatto che quegli umani di 42 mila anni fa a Tianyuan erano gli stessi che avrebbero fondato la Cina quasi 40 mila anni dopo, terminiamo qui questo post dedicato alla "Cina prima della Cina", e riserviamo la storia di quei "nuovi arrivati" per un prossimo post.

giovedì 18 agosto 2022

"...Così una vita ben usata dà lieto morire"

La citazione completa di questo aforisma di Leonardo da Vinci (1452-1519) è: "Sì come una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita ben usata dà lieto morire". Secondo quanto riferito da Alberto Angela, suo padre Piero Angela amava questo detto e si può ben dire che nella sua vita riuscì a esservi fedele fino all'ultimo. Il figlio Alberto nel suo discorso alla camera ardente ha infatti confidato che Piero Angela ha passato gli ultimi giorni di vita lucido e sereno, senza lasciar trasparire alcun segno di paura per la morte che si avvicinava, come se la sua vita, molto densa di esperienze e di conoscenze, e "ben usata" (per usare le parole di Leonardo da Vinci), fosse stata come una bellissima cena tra cari amici e alla fine si fosse alzato da tavola dicendo "è stato proprio un piacere, ora vi saluto", in tutta serenità.

La notizia della morte del celebre divulgatore mi ha colto di sorpresa (nonostante dopotutto avesse ormai 93 anni) e ho immediatamente provato un sincero e profondo dispiacere, cosa che di solito non mi capita leggendo di altre morti di personaggi famosi. È stato come se mi fosse stata strappata via una parte importante del mio patrimonio culturale, che non potrà venire rimpiazzata tanto facilmente. Poi ho letto che sui social moltissima altra gente comune ha manifestato gli stessi miei sentimenti, e mi son sentito meno solo: significa che il lavoro divulgativo di Piero Angela ha lasciato un segno importante nella società italiana, e meno male perché l'Italia di oggi ha quanto mai bisogno di quella mentalità "angeliana", curiosa, garbata, sempre alla ricerca della conoscenza vera e non spettacolarizzata... E abbiamo bisogno quanto mai di combattere con questa mentalità l'ignoranza e la maleducazione dilaganti.

Ero ancora bambino quando a metà anni '80 mia madre mi fece prendere l'abitudine, i mercoledì dopo cena, di guardare in televisione i documentari degli animali delle prime edizioni di Quark. Duravano solo pochi minuti, poi la trasmissione andava avanti con altri servizi dedicati alla scienza, ma essendo piccolo io andavo a letto dopo il servizio sugli animali. A partire da quei primi assaggi di documentari naturalistici, nel corso degli anni continuai a seguire Quark, poi Quark Speciale, e poi tutte le trasmissioni targate Angela fino a Superquark. Praticamente i programmi di Piero Angela mi hanno accompagnato nella mia crescita dall'infanzia alla giovane età adulta.

Probabilmente sono state almeno in parte anche quelle trasmissioni a infondermi una certa curiosità nel ricercare spesso le origini di questo o di quello nella realtà che ci circonda, con un interesse particolare per storia, geografia e antropologia, ma non solo. E la mia passione per il mondo della comunicazione, della ricerca e del giornalismo, che mi spinse a laurearmi in Scienze della Comunicazione all'Università di Padova, fu sicuramente influenzata dai lavori di Angela. Ricordo che una volta, per un corso all'università, dovevamo stilare una tesina su un prodotto televisivo a nostra scelta, e io decisi di farla sul "prodotto Quark". Devo avere ancora la copia cartacea da qualche parte. Per un periodo avevo anche valutato se frequentare un master in "Comunicazione della scienza", poi ho percorso una strada diversa.

Anche nello scrivere molti post di questo stesso blog, senza rendermi conto devo forse aver ricalcato un po' lo stile descrittivo che ho assorbito in anni di ascolto di Quark e Superquark.

Che dire, speriamo che Alberto Angela continui nell'opera divulgativa del padre. L'Italia di oggi ne ha bisogno.

sabato 25 giugno 2022

Sulla longevità umana

Durante un periodo di vacanza nella mia Italia, in questa calura estiva, la mente si rilassa e i pensieri vagano liberi. E così, in un periodo di notizie non belle (la guerra tra Russia e Ucraina che sta coinvolgendo sempre più l'intera Unione Europea e sta portando a una recessione globale, e poi, è notizia di ieri, l'abolizione del diritto all'aborto negli Stati Uniti da parte della Corte Suprema), mi è balzato alla mente un dettaglio forse insignificante ma che mi porta a uno spunto bello e positivo, secondo me.

La persona vivente più anziana al mondo è una suora cattolica francese, Lucile Randon, di 118 anni, essendo nata l'11 febbraio del 1904. Per intenderci, Lucile Randon passò l'infanzia prima dello scoppio della prima guerra mondiale, quando il suo Paese, la Francia, era in piena Belle époque e tutta l'Europa viveva nella tranquillità, lanciata verso un progresso tecnologico senza rivali nel mondo, e nessuno si sarebbe mai e poi mai immaginato gli orrori che avrebbero costellato il secolo che allora era appena iniziato.

Questo significa che all'epoca della nascita di Lucile Randon, nella avanzata e opulenta Francia sicuramente viveva ancora qualche ultracentenario che, avendo magari 105 o 110 anni all'epoca, era a sua volta quindi nato negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese, per intenderci quando la carriera di Napoleone Bonaparte era ancora all'inizio.

Non è affascinante pensarci? Oggi, nel 2022, possiamo andare a parlare con un'anziana che con aria flemmatica potrebbe risponderci: "Eh si, sono contemporanea di quel tale che era nato all'epoca della Rivoluzione francese". Questo fa ragionare su quanto ciò che consideriamo passato in realtà sia meno lontano nel tempo di quanto noi, preoccupati del presente della nostra breve vita, percepiamo. Durante l'infanzia di Lucile Randon, di questa anziana che ancora oggi possiamo andare a trovare in una casa di riposo a Toulon, vivevano ancora alcuni che erano stati contemporanei di persone che noi consideriamo quasi personaggi non reali, fissati nei libri di storia, come appunto Napoleone o, per esempio, Goethe, Kant o Haydn, gente che a loro volta avevan vissuto gran parte della loro vita ancora nel Settecento.

Ma guardando avanti invece, basti pensare che i neonati e i bebè di oggi non saranno ancora ottantenni all'inizio del prossimo secolo. Chissà che mondo sarà, sicuramente molto diverso da quello di oggi.

Purtroppo anche oggi, come in passato, tante persone (troppe) muoiono molto giovani, per incidenti, malattie, omicidi, suicidi... Forse a maggior ragione per questo, dovremmo non dimenticare coloro che invece sono giunti a vivere fino a tarda età: dovrebbero essere considerati come dei ponti che ci tengono collegati alla conoscenza del nostro passato, che, ahimè, sta venendo sempre più trascurato e dimenticato dalle giovani generazioni.

Oggi la popolazione umana ha raggiunto gli 8 miliardi, e avevo letto qualche tempo fa che, per la prima volta nella storia, le persone viventi sono attualmente un numero maggiore di tutte le persone morte nel corso della pur lunga storia umana. Un traguardo incredibile, probabilmente unico tra gli esseri viventi. Dovremmo cercare di far tesoro di questo traguardo evitando tragedie inutili, magari ispirandoci un po' al passato.

sabato 19 febbraio 2022

Marianhill




Questo post è una rielaborazione aggiornata di un vecchio post di tre anni e mezzo fa.

È un post sulla storia di un fenomeno molto particolare che ebbe luogo in questa provincia del Sudafrica quasi un secolo e mezzo fa: il sorgere di missioni cattoliche in stile neogotico mitteleuropeo nel mezzo delle distese rurali africane popolate (a quel tempo) solo da capanne di paglia con tetti a cono. Una visione che ancora oggi lascia meravigliati, quando ci si reca in auto tra le colline del KwaZulu-Natal e si vede svettare il campanile di una chiesa europea ottocentesca, qui e là, spesso a distanza di oltre un'ora di macchina l'una dall'altra.

Tutto ebbe origine nell'Ottocento. Un giovane austriaco di nome Wendolin Pfanner, pur essendo di modeste origini, grazie alla sua abilità nello studio e al suo carattere determinato andò a studiare Filosofia all'Università di Padova (la stessa dove mi laureai 18 anni fa). A quel tempo il Veneto era parte dell'Impero Austriaco, quindi era normale per un giovane austriaco studiare a Padova. Mentre era studente, negli anni '40 dell'Ottocento, si ammalò di meningite e polmonite. Sopravvisse, ma l'esperienza traumatica lo spinse alla vocazione sacerdotale. Studiò Teologia a Bressanone e poi divenne prete cattolico. Dopo qualche anno venne accolta la sua richiesta di entrare a far parte dei monaci trappisti (un ordine monastico cattolico nato in Francia nel XVII secolo), scegliendo Franz come suo nome da religioso. Frate Franz Pfanner prese servizio in monasteri in Prussia, in Austria e a Roma (presso l'Abbazia delle Tre Fontane), e fondò addirittura un monastero in Bosnia, regione che nel 1878 venne annessa all'Impero Austriaco, ma che aveva una popolazione a maggioranza musulmana, essendo stata per secoli provincia (per quanto di frontiera) dell'Impero Ottomano.
L'ordine monastico dei trappisti era dedito a una vita contemplativa di meditazione, preghiera e lavoro fisico, in un certo senso in modo non dissimile dai precetti dell'ordine dei benedettini, per esempio.

Fra Pfanner sembrava destinato a invecchiare nel monastero da lui fondato, soprattutto considerando che nel 1879 venne elevato a rango di abazia ed egli ne divenne abate.
Invece successe qualcosa di totalmente imprevisto. In quello stesso anno 1879, in un capitolo (riunione) generale dei trappisti svoltosi all'Abazia di Sept-Fons in Francia, era presente un vescovo cattolico di stanza in Sudafrica, il quale fece una richiesta ai trappisti di inviare dei monaci per fondare missioni in Sudafrica, che allora era quasi terra vergine per i cattolici. Secondo le cronache, pare che i trappisti presenti rimasero freddi dinanzi alla richiesta; al che l'abate Pfanner, che era presente al capitolo, avrebbe detto: "Se non ci va nessuno, ci andrò io".

Ora, bisogna capire cosa ciò comportasse a quel tempo. Oggi ci sono voli intercontinentali diretti che collegano l'Europa col Sudafrica in 10 ore o giù di lì. A quei tempi ci si doveva imbarcare su una nave: se tutto andava bene il viaggio durava settimane, e se uno soffriva il mal di mare (lo stesso Pfanner scoprì in seguito di soffrirlo terribilmente), nessuno ci poteva fare nulla. Il Sudafrica era una colonia britannica dove, a parte le poche cittadine abitate dai coloni di origine europea (la più importante era Città del Capo che all'epoca contava sui 45 mila abitanti), regnavano la natura selvaggia e le tribù degli africani nativi, che spesso erano in rapporti non proprio ottimi con i coloni bianchi. Le automobili ovviamente non esistevano, ci si muoveva su strade e sentieri sterrati, a cavallo o su carri e carretti, per chi se lo poteva permettere. In alcune aree era stata costruita qualche recentissima ferrovia. Inoltre, le lande sudafricane erano state colonizzate da inglesi e boeri (coloni di lontane origini olandesi) che professavano le fedi protestante e anglicana, e parlavano inglese e afrikaans (una lingua derivata dall'antico olandese).
Come se tutto ciò non bastasse, proprio in quell'anno 1879 le terre sudafricane di nordest, chiamate Zululand, erano appena state funestate dalla sanguinosissima guerra tra gli Inglesi e gli Zulu. I britannici avevano prevalso ma al prezzo di ingenti perdite (fu la guerra più costosa in termini di vite umane nella storia del colonialismo in Africa), e anche se la situazione appariva pacificata... chi poteva prevedere se la pace sarebbe durata?
Quindi si può capire quanto fosse avventurosa l'idea, per un 54enne abate cattolico austriaco che quasi sicuramente non sapeva parlare una frase d'inglese, di viaggiare all'altro capo del mondo in terre così estremamente diverse dalle sue di origine (la globalizzazione sarebbe arrivata più di un secolo dopo...).

Quando alla fine di luglio del 1880 Franz Pfanner, insieme a una trentina di monaci della sua abazia in Bosnia, raggiunse infine il luogo destinato alla missione, nella provincia sudafricana che oggi si chiama Eastern Cape, trovò condizioni proibitive: il territorio era arido e ventoso, e locuste e babbuini distruggevano i raccolti che già stentavano ad attecchire. Nel giro di due anni di tentativi, Pfanner tornò anche in Europa per raccogliere fondi, ma questo non aiutò la missione a decollare.
Alla fine il vescovo del Natal (la regione sudafricana del nordest) concesse a Pfanner il terreno di una missione abbandonata, nel fertile Natal. In quella zona però c'erano degli scontri tribali, per cui frate Franz preferì cercare in un'altra zona del Natal. Fortunatamente una fattoria era in vendita sulle colline poco più a nord, vicino all'abitato coloniale di Pinetown che prendeva il nome da un precedente vicegovernatore del Natal, Sir Benjamin Pine, il quale tra l'altro all'epoca era un settantenne ancora in attività (anche se dall'altra parte del mondo, quale governatore delle Isole Sottovento britanniche, nei Caraibi). Tra l'altro, poco distante da Pinetown, esisteva da una trentina d'anni una comunità di coloni tedeschi, tant'è che il loro abitato venne chiamato Neu-Deutschland, poi ribattezzato in inglese New Germany. Anche se erano prussiani di religione protestante (e non austriaci cattolici), parlavano pur sempre la lingua tedesca, e chissà se questo fatto influì nel far scegliere a fra' Pfanner queste zone.
Pfanner decise quindi di comprare la fattoria vicino a Pinetown e la sua offerta venne accettata. Spostò così i suoi monaci dall'Eastern Cape al Natal. Non so se il trasferimento avvenne per nave o via terra: in quest'ultimo caso il viaggio sarebbe durato qualche giorno, con i tempi di percorrenza dell'epoca, attraversando territori abitati da diverse tribù native tra cui quella dei Thembu, in cui uno dei consiglieri reali era il nonno paterno del futuro Nelson Mandela.

Pinetown era a una quindicina di chilometri di distanza dalla cittadina portuale di Durban, che all'epoca era in rapida crescita essendo su una baia trasformata in porto (la stessa baia avvistata dalla flotta di Vasco da Gama quattro secoli prima, come ho raccontato in un post precedente, e furono proprio i portoghesi di da Gama a dare il nome Natal a queste coste, perché navigarono da queste parti durante i giorni del Natale 1497). Una ferrovia di molto recente costruzione collegava Durban a Pietermaritzburg, cittadina sede del governatore del Natal, e passava proprio da Pinetown. Franz Pfanner e i suoi monaci arrivarono quindi a Pinetown in treno da Durban, e poi fino alla fattoria su un carro trainato da buoi. Era il dicembre del 1882.

Il giorno 27 di quello stesso mese venne fondata la missione di Mary Anne Hill, cioè della Collina delle Sante Maria e Anna (la Vergine Maria e sua madre Sant'Anna), nome che poi venne accorciato in Marianhill.
Queste colline erano decisamente più abitabili e più popolate rispetto alle aride distese dell'Eastern Cape, e finalmente la missione di fra' Pfanner cominciò a funzionare.
All'epoca, le popolazioni native del Natal erano poco o per nulla cristianizzate, quindi iniziò per Pfanner e i suoi monaci una feconda missione di evangelizzazione. Il loro motto era "ora et labora" (prega e lavora), sulla scia del monachesimo europeo di origine benedettina. Oltre a coltivare frutti e verdure, adibirono la fattoria a sorta di laboratorio dove gli stessi monaci si misero all'opera per produrre cose di diverso tipo.
Lo stesso monastero venne costruito da monaci improvvisatisi architetti e carpentieri, aiutati dai giovani locali nativi: i giovani africani appresero quindi dall'esempio dei monaci e impararono a diventare manovali, ferrai, agricoltori, rilegatori, sarti, eccetera.
Questa missione trappista ebbe enorme successo tra la popolazione nera locale, e ben presto, a partire dal 1884, cominciarono i primi battesimi cattolici pubblici di gente zulu.



Già nel 1885, grazie al successo crescente, il monastero di Marianhill venne elevato ad abazia. I monaci istituirono anche una scuola dove i ragazzi locali ricevevano un'educazione.
Lo spirito di Franz Pfanner in questo era rivoluzionario per l'epoca. Questo dichiarò l'abate: "Tutti i ragazzi al nostro istituto ricevono vitto, alloggio e istruzione gratuiti, indipendentemente che siano non credenti, musulmani, protestanti o cattolici, bianchi, neri o meticci, inglesi, olandesi, tedeschi, italiani, indiani o africani nativi".

L'istituto venne a includere anche studentesse, e per questo divenne necessario chiamare al monastero delle suore che si prendessero cura della loro istruzione, dal momento che per i frati trappisti non era ammesso il contatto diretto con donne. Pfanner fondò così l'ordine delle Suore Missionarie del Prezioso Sangue (ordine che sarebbe stato riconosciuto soltanto vent'anni dopo, da papa Pio X).
Nel 1887 furono inviati i primi giovani a Roma per intraprendere il noviziato, e il primissimo sacerdote zulu nella storia veniva proprio da Marianhill.
Nel 1890 Pfanner venne nominato vicario generale dell'ordine trappista in Sudafrica e scrisse i principi ispiratori della missione di Marianhill. In essi dichiarava che il suo scopo era di "perseguire e realizzare uno status sociale equo tra neri e bianchi".

Ma le cose precipitarono molto rapidamente. Lo spirito missionario di Pfanner aveva portato a costruire una ventina di altre missioni dipendenti da Marianhill in diverse zone del Natal meridionale, anche a molta distanza tra loro. Ciò intensificò l'attività missionaria dei monaci, il che si scontrava con i principi base dell'ordine trappista, che non prevede attività missionaria bensì soltanto meditazione, preghiera e lavoro manuale all'interno di un monastero.
L'abate Pfanner ricevette sempre più critiche per le deroghe sempre più numerose che egli fece alle regole trappiste, accuse ancor più serie in quanto egli era il vicario generale dell'ordine in Sudafrica.
Venne infine inviata una protesta formale all'ordine a Roma riguardante le attività di Pfanner.
Quando nel 1891 si recò a Roma per il capitolo generale dei trappisti, gli furono richieste spiegazioni. Egli, in risposta, invitò i vertici trappisti a fare un'ispezione a Marianhill e agli altri piccoli monasteri satelliti, per giudicare loro stessi come mai era stato portato a tali scelte.
Fu così inviato un trappista tedesco a ispezionare la situazione a Marianhill. In attesa dei risultati delle ispezioni in loco, venne proibito a padre Pfanner, almeno per il periodo di un anno, di risiedere in alcuno dei monasteri dipendenti da Marianhill. Così l'abate si ritirò in un piccolo monastero nel sud del Natal. Fu nominato un sostituto a capo dell'abazia, e l'inviato dall'Europa provvide a disfare i provvedimenti controversi di Pfanner, quelli che andavano a cozzare contro le regole trappiste di auto confinamento monastico.

Nel 1893, non trovandosi d'accordo con i provvedimenti, e non potendo più viaggiare in Europa per perorare la sua causa, per la sua salute malferma (aveva ormai quasi 70 anni e oltretutto soffriva terribilmente il mal di mare), Pfanner rassegnò le proprie dimissioni da abate di Marianhill (e vicario generale dell'ordine in Sudafrica), dimissioni che infine vennero accolte.
Pfanner si ritirò nel piccolo monastero di Emaus, a ore di distanza (viaggiando in carro trainato da buoi) da Marianhill. Lì visse semi isolato, assistito solo da poche suore, per altri 15 anni, fino alla sua morte nel 1909, a 84 anni d'età (solo nell'ultimo suo anno di vita visse con lui un altro confratello).
Ma non smise di far sentire la sua voce pubblicando corrispondenze e dichiarazioni su diversi giornali. Una delle battaglie che portò avanti fino alla fine fu quella di proporre uno statuto particolare per l'abazia di Marianhill, che ne salvaguardasse lo spirito di slancio missionario verso l'esterno che aveva caratterizzato la sua direzione quando ne era abate. Alla fine vinse lui: gli anni passarono e con l'inizio del Novecento probabilmente una ventata d'aria nuova investì il mondo cattolico; nel 1906 papa Pio X riconobbe l'ordine delle Suore Missionarie del Prezioso Sangue fondato da Pfanner nel 1885; e nel febbraio 1909, pochi mesi prima della morte di frate Franz, la Santa Sede accolse le richieste dei monaci di Marianhill e decretò che l'abazia fondata da Franz Pfanner sarebbe diventata un ordine monastico autonomo dai trappisti: la Congregazione dei Missionari di Marianhill. Pfanner morì pacificamente il 24 maggio 1909 vedendo così realizzato lo scopo della sua missione in Sudafrica.

Ma nel frattempo, anche durante gli anni delle restrizioni, l'abazia di Marianhill aveva continuato a prosperare grazie all'impulso avviato da padre Pfanner. Addirittura, sul finire dell'Ottocento divenne il monastero cristiano più popolato al mondo, con quasi 300 monaci.

Tra i visitatori che si recarono a Marianhill in quegli anni ci fu anche un giovane Gandhi (proprio così, il futuro Mahatma Gandhi), che visse per una ventina d'anni nei dintorni di Durban a cavallo tra i due secoli. Gandhi, che era avvocato, era venuto in Sudafrica perché era stato invitato a risolvere una controversia legale nella comunità indiana, che già allora era molto numerosa a Durban, composta di immigrati venuti dall'India come manodopera a basso costo (ricordiamo che India e Sudafrica erano entrambe colonie inglesi). Gandhi sperimentò di persona che già allora, a fine Ottocento, esisteva di fatto una situazione di quasi apartheid in cui gli immigrati indiani (come i neri nativi) venivano pesantemente discriminati. Decise quindi di fermarsi per perorare la causa dei diritti fondamentali a difesa della sua gente, e fu proprio qui a Durban che maturò in lui il proposito della resistenza non violenta, che poi avrebbe applicato al suo ritorno in India contro il colonialismo britannico.
Dice la leggenda che Gandhi avesse intenzione di scrivere un articolo molto critico sul monastero di Marianhill, forse volendo prendere di mira il presunto atteggiamento coloniale dei monaci nel voler convertire le popolazioni native. Ma dopo averlo visitato nel 1895, Gandhi rimase colpito dallo stile di vita comunitario di Marianhill, dove monaci, suore, e gente comune di ogni provenienza lavoravano insieme senza distinzione o discriminazione. Fu per Gandhi un esempio che tenne a mente con affetto anche durante le sue future battaglie, come ha raccontato una sua nipote.
(Qui sotto una foto di Gandhi all'epoca della sua visita a Marianhill)


Padre Pfanner si era appena ritirato all'eremo di Emaus un paio d'anni prima, ma lo spirito da lui infuso negli altri monaci era ancora ben vivo, in particolare nel loro atteggiamento di accoglienza e rispetto equanime di tutti coloro che si recassero a Marianhill, bianchi, neri o indiani che fossero.
Era un atteggiamento che contrastava molto con la realtà che purtroppo andava già a profilarsi, di una discriminazione di neri e immigrati poveri indiani da parte dei sudafricani bianchi (anche se il regime regolamentato di apartheid sarebbe arrivato soltanto diversi decenni dopo).
(Aggiungo a questo paragrafo una postilla. Oggi la comunità indiana a Durban è la più estesa comunità indiana al di fuori dell'India, e dopo la fine dell'apartheid ha vissuto un'incredibile sviluppo: oggi molti indiani sudafricani sono dottori di alto livello, professionisti di prim'ordine o imprenditori di successo).

Dopo la morte di Franz Pfanner nel 1909, Marianhill, diventato un ordine monastico indipendente, conobbe una nuova fioritura. I monaci presero a essere chiamati Marianhillers.
Venne ridato nuovamente impulso alla loro scuola per giovani nativi. Il successo della scuola di Marianhill può essere ben esemplificato dal seguente episodio. Nel 1916 arrivò alla scuola un bambino zulu che venne battezzato col doppio nome cristiano Benedict Wallet (tra l'altro era di origini considerate altolocate tra gli zulu, perché un suo prozio era stato il re zulu Cetshwayo). Dopo otto anni di studio ottenne un certificato di insegnante e cominciò a insegnare alla stessa scuola di Marianhill, e in seguito a un seminario non lontano da lì. Benedict Wallet Vilakazi si laureò in seguito con un bachelor of Arts all'University of South Africa e divenne uno stimato poeta e scrittore, e non solo: negli anni '40 (mentre il giovane Nelson Mandela e gli altri eroi anti-apartheid cominciavano le loro attività di opposizione politica) Vilakazi fu il primo sudafricano nero a laurearsi con un post dottorato, oltre che il primo a insegnare in università a studenti bianchi (presso la University of the Witwatersrand). Va da sé che Vilakazi poté permettersi una tale carriera grazie agli anni formativi a Marianhill, oltre che grazie al suo talento ovviamente.

I Religiosi Missionari di Marianhill tennero il loro primo capitolo generale nel 1920, e dopo di allora si sono espansi come ordine anche fuori del Sudafrica, aprendo monasteri in Austria, Svizzera, Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Canada, mentre il Generalato Superiore dell'ordine ha sede a Roma. Oggi contano oltre 300 membri nel mondo, di cui oltre 200 preti.
Tra i sacerdoti che hanno fatto parte dei Missionari di Marianhill c'è anche un martire beato, il tedesco Engelmar Unzeitig, morto nel campo di concentramento tedesco di Dachau durante la seconda guerra mondiale e beatificato da papa Francesco nel 2016.
Inoltre lo stesso papa Francesco l'anno scorso ha nominato un membro di quest'ordine quale nuovo arcivescovo metropolita cattolico di Durban (per la prima volta nella storia), Siegfried Mandla Jwara, il primo arcivescovo zulu, che è succeduto quale arcivescovo di Durban al cardinale Wilfrid Fox Napier (il quale a sua volta è l'unico cardinale sudafricano vivente).

Se il cattolicesimo in Sudafrica si concentra principalmente in questa regione del KwaZulu-Natal (i cattolici in tutto il Sudafrica sono poco più di tre milioni), il merito va storicamente principalmente all'opera missionaria del monastero di Marianhill. E cosa è oggi del luogo dove tutto ciò ebbe origine? Il monastero di Marianhill oggi è una pacifica oasi immersa nel verde, che non molti perfino a Durban conoscono. È circondata da townships di sudafricani nativi, casupole moltiplicatesi durante il secolo scorso proprio grazie all'abazia che dava alla gente lavoro e prodotti coltivati dai monaci.

Per me Marianhill è un posto speciale per un semplice motivo: è nella chiesa del monastero, col suo bello e semplice stile neogotico austriaco, ancora intatto dopo quasi 140 anni dalla sua costruzione, che ogni mese ci esibiamo in concerto col nostro ensemble di musica antica, Baroque2000. Ogni volta che entro in quella chiesa, e che passeggio nell'adiacente chiostro, quasi non mi rendo più conto di trovarmi in Africa, tanto è forte l'atmosfera di piccolo monastero europeo. Chissà, forse anche questo effetto "straniante", prodotto dalla determinata volontà di Franz Pfanner e i suoi monaci, è una delle chiavi del successo di Marianhill.