giovedì 15 ottobre 2015

Drakensberg

I Monti dei Draghi, li chiamano. C'ero stato l'anno scorso, per una gita veloce di una giornata e mezza, ma non mi avevano impressionato. Per uno cresciuto alle falde delle Alpi, le montagne sono tutt'altra cosa, pensavo. Mi sbagliavo, l'anno scorso ero stato soltanto sulle prime pendici della catena dei Drakensberg, nel Royal Natal National Park, in piena stagione secca, quando le formazioni rocciose si ergevano su un paesaggio bellissimo, ma che mi ricordava più che altro il deserto dell'Arizona.
Quest'anno sono stato tre giorni in un'uscita più avventurosa con altri colleghi, in cui per due notti abbiamo dormito in piccole tendine montate in mezzo al nulla nella ventosa valle Mhlawazini. Sveglia alle 5.30 di mattina per tre giorni di fila, poi zaino in spalla e via, scarpinando in salita, fino al Gray's Pass, a circa 3000 metri di altitudine, al confine col Lesotho.
Montagne brulle, com'è normale a oltre 2000 metri, ma rivestite di verde, un verde sottile, a tratti brillante.
Ci siamo arrampicati fino in cima alla Grande Scarpata (Great Escarpment), cioè i rilievi più alti, che sono tutto ciò che resta dell'antichissimo bordo dell'altopiano sudafricano, innalzatosi a queste altezze 180 milioni di anni fa. Non so se sia questo l'origine del nome Drakensberg, però questi rilievi sono spezzettati a formare tante guglie, che viste da lontano mi sembravano il dorso e la coda di qualche dinosauro, o di un
drago, appunto.
In cima all'Escarpment ho visto un branco di cervi che giocavano tra loro, finché non si sono accorti della nostra presenza e se ne sono scappati. E molti avvoltoi del Capo, enormi, che avevano i loro nidi su pareti di roccia inaccessibili. C'erano anche grossi corvi neri: uno ha approfittato del fatto che avevamo lasciato gli zaini incustoditi per un po', e ha rubato la colazione di Jorge. Cavalli liberi pascolavano poco lontano: Marian, la collega sudafricana (di origini britanniche e irlandesi) mi ha detto che erano i cavalli dei pastori basotho, che dal versante opposto risalivano dal Lesotho per lasciarli qui a pascolare, incuranti dei confini umani degli Stati.
Abbiamo avuto anche la fortuna di vederne uno, di pastore basotho. Era prima dell'alba dell'ultimo giorno, quando già eravamo tornati ad accamparci giù nella valle Mhalawazini, pronti per l'ultima camminata di ritorno. Eravamo già tutti svegli e alle 6 di mattina stavamo facendo colazione presso le nostre tende, quando senza alcun rumore un giovane nero avvolto in una coperta, e con un bastone appoggiato dietro al collo, passa sul sentiero, silenzioso. Noi salutiamo e lui ricambia con un semplice cenno, allontanandosi. Marian ci dice che quello era proprio un basotho, che stava tornando verso il Gray's Pass, diretto in Lesotho. Secondo Marian e Alice, l'altra collega sudafricana, ci sono stati casi di furti da parte dei pastori basotho, che varcherebbero il confine sulle vette per scendere nelle vallate montuose sudafricane in cerca di qualcosa da rubare. Spero un giorno di visitare il Lesotho, me ne hanno parlato come di un Paese bellissimo, dove la gente è molto povera ma estremamente buona e accogliente. A parte i pastori di confine, evidentemente...

Ora che sono ritornato a Durban, e specialmente nel quartiere bianco dove vivo, quelle valli africane, selvagge e misteriose mi sembrano quasi un altro mondo, eppure sono appena a tre ore di macchina. Direi, un altro punto a favore del fascino del Sudafrica.