venerdì 10 ottobre 2014

Il Mozambico

 

Inhambane e' una bella cittadina del sud del Mozambico. Sono stato due settimane in vacanza nella penisola presso Inhambane, la scorsa estate (estate europea, qui era inverno, ma si stava benissimo in costume in spiaggia!), e mi sono innamorato della semplicita' della vita di quel posto, e soprattutto dell'apertura estroversa e della bonta' disinteressata di quella popolazione. Ho scoperto poi che lo stesso Vasco da Gama, il primo europeo a sbarcare qui, chiamo' il luogo "Terra da Boa Gente" (terra di buona gente), per la bella accoglienza che la popolazione indigena riservo' al suo equipaggio. A quanto pare dopo oltre mezzo millennio, e anche dopo la recente sanguinosa guerra civile, il Mozambico si conferma terra da boa gente, come ho avuto occasione di riscontrare anche in quei due-tre giorni che mi sono fermato a Maputo, la capitale.

Il Mozambico e' povero, deve ancora riprendersi da una guerra civile che ha messo in ginocchio il Paese negli anni Ottanta. Ma la societa' qui e' totalmente diversa da quella del Sudafrica dell'apartheid. In Mozambico la popolazione ha sempre convissuto pacificamente con i commercianti portoghesi, e questo si riflette appunto nell'atteggiamento di apertura della sua popolazione (in Sudafrica invece gli strascici psicologici dell'apartheid sono ancora molto pesanti).

I villaggi lungo la costa sono semplici capanne sparse un po' qua un po' la', capanne di frasche o in mattoni senza nessuna comodita' (energia elettrica? sistema fognario? macche'!). Ho attraversato a piedi per chilometri, lungo una stradina sterrata, anzi sentiero in pratica, questi villaggi sparsi, e ho visto coi miei occhi come vivevano le societa' a contatto con la natura secoli e secoli fa, nella semplicita' assoluta. E ho visto persone in buona salute, serene e felici, con sorrisi veri, non di circostanza.

Lungo la costa, chilometri di spiagge deserte nonostante le strutture turistiche di Barra e Tofo (era anche bassa stagione, d'accordo, ma sicuramente e' tutto un altro mondo rispetto a quello cui siamo abituati). Camminando da solo lungo la spiaggia mi sono permesso di togliermi il costume non essendoci anima viva, e mi sono immaginato come doveva sentirsi Ulisse alla scoperta delle coste mediterranee inesplorate, tremila anni fa. Rocce degne di uno scenario da film, meduse bellissime finite sulla spiaggia, tantissimi granchi e... balene, squali e delfini.

Si perche' li' il mare e' pieno di plancton, e quindi tanti grandi cetacei vengono fino vicino alla costa. Ho partecipato a un'uscita in barca organizzata, ci hanno dotato di maschera, boccale e tuta, e siamo usciti in mare con una barchetta. Al segnale della guida ci tuffavamo dalla barca per vedere passare sotto di noi squali-balena enormi... Gli squali-balena non sono pericolosi perche' si nutrono di plancton, ma hanno le dimensioni di un autobus, e vederseli passare sotto mentre nuoti a pochi metri da loro fa proprio un certo effetto! Poi, da sopra la barca, abbiamo visto emergere un paio di volte addirittura due balene, davvero impressionanti e, in quel caso, non era davvero consigliabile avvicinarsi a nuoto! Abbiamo poi visto delfini (ma un delfino l'ho visto pure nel mare di Durban...) e razze, e altri piccoli pesci come quelli volanti.

E' stata un'esperienza che non mi aspettavo di fare e che mi ha lasciato la voglia di tornare ancora tra quella tranquilla boa gente.

domenica 31 agosto 2014

L'etnia Tswana

L'anno scorso a Durban è stata eletta Miss Cultura Sudafrica 2013 la rappresentativa dell'etnia tswana


Dopo sette mesi di vita in Sudafrica vengo ancora a scoprire sempre nuovi dettagli su questo posto originalissimo e unico al mondo. Nei prossimi articoli mi dedicherò quindi a raccontare ciò che vedo e sento e che ritengo particolarmente degno di essere raccontato, anche se si tratta di piccole cose.

Per esempio, io ero convinto che tutti i sudafricani di colore sapessero parlare la lingua zulu. Invece l'altro giorno, conversando con una mia collega violista di colore, mi dice che no, lei non conosce lo zulu. Viene da Bloemfontein, all'interno (città che diede i natali anche a J.R.R. Tolkien, l'autore del Signore degli Anelli), ed è di etnia tswana.
Oggi il Sudafrica ha ben 11 lingue ufficiali: inglese, afrikaans (la lingua degli ex coloni boeri), zulu (lingua principale qui a Durban e in tutta questa regione del KwaZulu-Natal, da cui viene l'attuale presidente sudafricano Jacob Zuma), xhosa (l'etnia di Nelson Mandela, anche questa piuttosto diffusa in questa regione), tswana, sotho del sud, sotho del nord, tsonga, swati, venda e ndebele del sud. Questo rende l'idea di che mosaico di etnie sia questo Paese.

Così ho scoperto che l'etnia tswana vive principalmente in Botswana (da cui deriva il nome di quello Stato) e nel nordovest del Sudafrica. E ho scoperto un episodio importante e poco conosciuto da noi, nella storia recente del Sudafrica, che riguarda gli Tswana.
Negli anni '70 il regime sudafricano dell'apartheid creò i famosi bantustan, cioè territori dove avrebbero dovuto confluire tutti i neri, meticci, "coloured", nell'uno o nell'altro territorio a seconda della provenienza etnica (che in molti casi diventava una decisione arbitraria, considerati i secoli di mescolanze etniche). Formalmente questi territori venivano dichiarati indipendenti, con un loro proprio capo di governo, ma di fatto rimanevano indirettamente dipendenti dal governo del Sudafrica. Le persone di colore perdevano la cittadinanza sudafricana nel momento in cui venivano riconosciuti come appartenenti a questo o a quel bantustan, anche quando (spesso) non vi si trasferivano, rimanendo a vivere nelle baraccopoli (townships) alle periferie delle città sudafricane.
Circa due milioni di tswana vennero privati della cittadinanza sudafricana e dichiarati "appartenenti" al bantustan Bophuthatswana, "indipendente" dal 1977, spezzettato in sette enclaves separate tra loro (come avveniva per tutti i bantustan, per non permettere che avessero continuità territoriale come un vero Stato) nel nordovest del Sudafrica, verso il confine con il Botswana. In un territorio di 40.000 kmq (tutto spezzettato, come ho detto) finirono per confluire un milione e mezzo di persone, spesso deportate anche con la forza. Il Bophuthatswana era il bantustan piu ricco, grazie alle miniere di platino e al celebre casinò di Sun City, che attirava un grande afflusso di clienti bianchi anche da Pretoria e Johannesburg, dato che in Sudafrica al tempo il gioco d'azzardo era proibito. Il presidente di questo bantustan fu lo tswana Kgosi Lucas Manyane Mangope. E fu lui che fece passare alla storia il Bophuthatswana, certamente non in senso positivo.

Nel 1994, mentre in Sudafrica venivano indette le prime elezioni democratiche e i bantustan venivano dichiarati illegali, Lucas Mangope si rifiutò di cedere il potere e anzi assunse posizioni sempre più autoritarie. I bianchi che vivevano nel Bophuthatswana approfittarono della situazione per appoggiare il mantenimento di un regime simile a quello dell'apartheid. Ma la situazione degenerò in violenze, fino alla uccisione di tre militari con colpi a bruciapelo da parte di un ufficiale di Mangope, episodio ripreso dalle telecamere di giornalisti. Quelle immagini fecero il giro del mondo e segnarono la fine della resistenza di Mangope. Si dice che il presidente sudafricano De Klerk inviò un telegramma a Mangope in cui era scritto: "Se il Bophuthatswana vuole la guerra avrà la guerra". Alla notizia che colonne armate sudafricane stavano marciando verso il bantustan, Mangope fuggì in elicottero. Il 27 aprile del 1994 tutti i dieci bantustan, incluso il Bophuthatswana, vennero reintegrati nel nuovo Sudafrica del post-apartheid.


Io fino a poco fa non sapevo questo episodio, come tuttora non ne so molti altri che hanno costellato la storia sudafricana. Ora guardando questa mia collega tswana, una ragazza di circa venticinque anni, penso: lei nel '94 era già nata. Chissà se la sua famiglia viveva all'interno del bantustan Bophuthatswana o a Bloemfontein priva però della cittadinanza sudafricana. Un giorno forse glielo chiederò.

lunedì 4 agosto 2014

Israele e Palestina: un po' di storia

Nel conflitto tra israeliani e palestinesi ricorre sempre la rivendicazione dei torti e delle ragioni. La madre delle rivendicazioni è la terra: i Palestinesi dicono che questa è la loro terra e che gli Israeliani, dalla nascita dello Stato di Israele e anche da prima, gliela stanno portando via. La maggior parte degli Israeliani, dal canto loro, ritiene che questa era la loro terra fin dai tempi biblici.
In realtà questi discorsi, che siano in buonafede o in malafede, sono un po' come il quesito se sia nato prima l'uovo o la gallina, e la conseguenza peggiore è quella che vediamo da anni: morte di tantissime persone. Per capire quanto assurde siano queste rivendicazioni, vediamo di fare una ricapitolazione storica.

Secondo gli archeologi nel secondo millennio avanti Cristo i futuri israeliti vivevano nell'attuale terra di Israele, ma non si distinguevano dalle popolazioni della regione: tutte vivevano secondo usanze simili, e in seguito sarebbero state chiamate genericamente Cananei (anche i Fenici erano di origini "cananee").
Intorno al 1200 avanti Cristo, nuove popolazioni di origini indoeuropee vennero dal mare, probabilmente dall'area micenea: i Filistei. I Filistei si stanziarono su tutta l'area pianeggiante costiera e mantennero il dominio della regione grazie alla loro superiorità tecnologica: avevano armi di ferro, mentre i Cananei usavano ancora armi di bronzo.
Nel frattempo gli Ebrei cominciarono a distinguersi dagli altri cananei come un popolo con proprie caratteristiche e usanze, si organizzarono con propri leader guerrieri e gradualmente presero il controllo delle regioni interne, sugli altopiani, facendo di Gerusalemme la loro capitale intorno al 1000 avanti Cristo, durante il regno di David.
Tra l'VIII e il VI secolo avanti Cristo, con le invasioni assire e babilonesi, i Filistei decaddero come nazione e come popolo, finendo assorbiti dalle popolazioni locali. Gli Ebrei invece, pur venendo conquistati dagli stranieri, mantennero la loro identità di popolo. Ma i Greci continuarono a chiamare quella regione Filisteia, dal nome degli antichi Filistei. Il termine ebraico per Filisteia era Pheleset, da cui i Romani coniarono il termine Palaestina. Tuttoggi in lingua araba si dice Filastiin.
Sotto l'Impero Romano gli Ebrei si ribellarono diverse volte. Nel 70 dopo Cristo una violenta rivolta degenerò in una guerra al termine della quale i Romani distrussero il Tempio di Gerusalemme (l'attuale Muro del Pianto è tutto ciò che resta). L'imperatore Adriano volle inquadrare completamente la Provincia Giudea tra le istituzioni dell'impero, ma un leader rivoluzionario ebreo, Simon Bar Kochba, si proclamò Messia e si mise alla testa di una rivolta che avrebbe voluto ripristinare il regno messianico di Israele. Ne seguì un'altra guerra che durò tre anni (132-135) e che si concluse con centinaia di migliaia di ebrei uccisi e con la distruzione di Gerusalemme, che venne ricostruita come colonia romana col nome di Aelia Capitolina. Adriano cambiò il nome della provincia in Syria Palaestina, dal nome degli antichi nemici degli Ebrei: i Filistei (anche se non esistevano più). Agli ebrei sopravvissuti venne proibito di entrare in Gerusalemme, e fu così che molti se ne andarono: si intensificò la diaspora, che già era in atto da tempo. Solo due secoli dopo l'imperatore Costantino permise agli Ebrei di tornare a Gerusalemme per pregare e "piangere" sul famoso Muro del Pianto. Lo stesso Costantino, nella sua politica di riabilitazione del cristianesimo quale religione riconosciuta dell'impero, diede disposizioni per la costruzione di chiese cristiane in Gerusalemme, tra cui la Basilica del Santo Sepolcro, e prese vita la riscoperta dei luoghi dove sarebbe vissuto Gesù Cristo tre secoli prima.

Nel frattempo la storia andava avanti. Fino al VII secolo la Palestina rimase sotto l'Impero Romano d'Oriente, poi una nuova forza emerse nella regione mediorientale: l'Islam. I califfi arabi successori di Maometto conquistarono la regione e chiamarono Gerusalemme "al-Quds": "la Santa". Infatti, cosa che a noi può sembrare incredibile, l'islam nacque incorporando anche la storia ebraica come parte della propria. Nel Corano Mosè è citato moltissimo ed è considerato un grande profeta, e lo stesso Corano parla dei "Figli di Israele" come discendenti del profeta Abramo. Tra il 687 e il 691 venne costruita la Cupola della Roccia, sul luogo dove secoli prima era esistito il Grande Tempio ebraico. Al suo interno, una roccia è oggetto di venerazione in quanto sarebbe il luogo dove Abramo era sul punto di sacrificare il figlio Isacco prima di essere fermato da Allah (per i musulmani) o Yahweh (per gli ebrei). Inoltre la stessa roccia secondo i musulmani sarebbe il luogo dove Maometto sarebbe giunto dopo un miracoloso viaggio notturno, e da lì in poi sarebbe diventato Messaggero di Allah (in realtà Maometto non mise mai piede a Gerusalemme). La Cupola della Roccia e la contigua Moschea di al-Aqsa sono considerate tuttoggi dai musulmani sunniti come il terzo luogo più sacro, dopo la Ka'ba e la Moschea del Profeta, in Arabia.

I secoli passavano e in Gerusalemme convivevano ebrei, cristiani e musulmani. Sotto i califfati arabi l'islamismo si diffuse nella regione, ma ci fu sempre una reciproca tolleranza tra le tre "fedi del Libro" (ebraismo, cristianesimo e islamismo), le cui credenze avevano diversi punti di contatto tra loro. Non a caso Gerusalemme è considerata la capitale della Terra Santa. La guerra fu portata dall'Europa durante l'epoca delle Crociate, quando la Moschea di al-Aqsa venne per diversi decenni trasformata in quartier generale dei cavalieri Templari, che presero il proprio nome proprio dalla convinzione di trovarsi presso le rovine dell'antico Tempio di re Salomone.
Poi si affacciò sulla scena una nuova superpotenza: l'Impero Ottomano turco, che controllò tutta la regione per molti secoli, addirittura fino alla prima guerra mondiale.

Nell'Ottocento, epoca della nascita degli Stati-nazione, anche gli ebrei sparsi per il mondo cominciarono a pensare a un loro Stato nazionale. L'immigrazione di ebrei nella Terra Santa, sotto dominio ottomano, avveniva già da tempo, ma era solo di natura religiosa. Invece nell'Ottocento, anche in seguito a episodi di violenza antisemita, ebrei laici cominciarono ad affermare che gli Ebrei avevano diritto a una loro patria, come tutti gli altri popoli. Intorno alla metà del secolo nacquero iniziative in questo senso, con fondazione di organizzazioni filantropiche a sostegno degli ebrei e pubblicazioni di saggi sul tema. A partire dal 1880, importanti e ricche famiglie (Rothschild, Hirsch) finanziarono l'immigrazione ebraica in Palestina, per la prima volta con l'obiettivo di creare nuovi insediamenti, nuove comunità agricole, chiamate kibbutz. L'Impero Ottomano, la cui amministrazione era ormai debole, non pose freni a queste prime piccole (e quasi insignificanti) ondate migratorie.
Le cose cominciarono a farsi serie a partire dal 1897. In quell'anno il giornalista, scrittore e avvocato Theodor Herzl, ebreo ungherese di lingua tedesca, fondò il Movimento Sionista, con l'obiettivo dichiarato di fondare una patria per gli Ebrei. Il nome deriva dal monte Sion, sui cui era nato il primo nucleo della antica Gerusalemme. Il movimento sionista si dimostrò da subito attivissimo nel cercare potenti sostenitori alla causa, in tutto il mondo.
Intanto, a cavallo tra Ottocento e Novecento centinaia di migliaia di ebrei emigrarono dall'impero russo per fuggire dai pogrom antisemiti. La maggior parte si disperse per il mondo, e solo alcune decine di migliaia di ebrei decisero di immigrare in Palestina in quegli anni. Secondo indagini demografiche effettuate intorno al 1920, all'epoca in Palestina vivevano circa 700.000 abitanti, una popolazione inferiore a quella che abitava quest'area in epoca romana. Tra questi, i 4/5 erano musulmani e il restante della popolazione era grosso modo metà cristiana e metà ebrea, compresi gli ebrei immigrati nei 40 anni precedenti. L'economia era povera, basata sui possedimenti di latifondisti arabi.

Nel dicembre 1917 la prima guerra mondiale sta per terminare, l'esercito britannico ha sconfitto l'esercito ottomano ed entra vittorioso a Gerusalemme. È in questo scenario che il ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour, scrive una lettera al filantropo sionista Lord Rothschild in cui afferma che "Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico". Al termine della guerra la Palestina e la Giordania vennero amministrate dalla Gran Bretagna, che confermò l'intenzione di creare per il futuro uno Stato ebraico accanto a uno Stato arabo. La situazione cominciò già a peggiorare dagli anni '20: parallelamente all'afflusso di ebrei, ci fu un'immigrazione araba dalle zone vicine, di persone attratte dai salari piu alti. Ma i kibbutz, gli insediamenti di questi nuovi ebrei di recente immigrazione, si basavano su un'economia agricola autosufficiente, che escludeva totalmente qualsiasi rapporto con la manodopera araba. I rapporti tra questi due mondi così diversi si fecero sempre più tesi e finirono per sfociare nei primi scontri tra ebrei e arabi, il primo grave avvenuto nel 1929, con molte vittime da entrambe le parti. I britannici intervennero anche duramente per sedare gli scontri, ma negli anni '30, con l'avvento del nazismo, l'immigrazione ebrea diventò massiccia, anche perché in tutto il mondo i Paesi chiudevano le frontiere a causa della grande crisi economica degli anni '30. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale l'afflusso di immigrati ebrei che fuggivano dall'Europa aumentò ancora di più. I britannici avevano messo un limite al numero di immigrati, così furono moltissimi gli immigrati ebrei clandestini, e organizzazioni paramilitari ebree come la Banda Stern o l'Irgun di Menachem Begin (futuro premier israeliano) giunsero ad aggredire i britannici, militari e civili, e furono dichiarate organizzazioni terroristiche da parte della comunità internazionale. Altre organizzazioni, come l'Haganah di David Ben Gurion (che di lì a poco sarebbe diventato il primo premier di Israele), si limitavano allo scontro aperto contro i palestinesi.

Nel maggio 1947 la Gran Bretagna annunciò il ritiro entro un anno da questa regione diventata incontrollabile. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU votò una risoluzione per la creazione di due Stati di simile estensione, uno a maggioranza ebraica e uno a maggioranza araba, con Gerusalemme città internazionale controllata dall'ONU. In quel momento storico questa risoluzione era molto favorevole per gli ebrei, e a tutto svantaggio degli arabi invece. Infatti le principali organizzazioni ebraiche la accettarono, mentre la popolazione araba e i Paesi arabi confinanti la rifiutarono.
Il 14 maggio 1948, al termine del mandato britannico, l'Agenzia Ebraica dichiarò l'indipendenza dello Stato di Israele, sui confini previsti dalla risoluzione ONU. Come reazione, i Paesi arabi circostanti (Egitto, Siria, Iraq, Giordania) dichiararono guerra. Le forze israeliane erano meglio organizzate e continuamente rifornite dai proventi dell'immigrazione, e vinsero la guerra. Al termine del conflitto Israele occupava un territorio ben più esteso rispetto a quanto previsto dalla risoluzione ONU, mentre l'Egitto aveva preso il controllo della Striscia di Gaza, e la Giordania occupò la palestinese Cisgiordania. Gerusalemme rimase divisa tra Israele (Gerusalemme Ovest) e la Giordania (Gerusalemme Est). Il neonato Stato d'Israele venne riconosciuto dall'ONU e da buona parte del mondo, ma da nessun Paese arabo. I palestinesi videro la nascita di Israele come un atto di aggressione e di spossessamento del proprio territorio. In seguito alla guerra, oltre 700.000 palestinesi lasciarono le proprie case. La maggior parte di loro si rifugiò in Cisgiordania, Giordania o Gaza, altri ancora in diversi paesi arabi o altrove. Nel settembre 1948 il conte Folke Bernadotte, incaricato dalle Nazioni Unite e attivo per il ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case, fu assassinato dal gruppo israeliano Lehi; Israele arrestò alcuni appartenenti alla banda, che furono subito rilasciati. Negli anni immediatamente successivi invece furono centinaia di migliaia gli arrivi di nuovi ebrei in Israele.
Nel 1967 Israele venne nuovamente attaccato dai Paesi confinanti, e vinse nuovamente, nella "Guerra dei sei giorni". L'esercito israeliano questa volta occupò tutta la Cisgiordania palestinese, contro le rimostranze delle Nazioni Unite, che denunciarono la violazione della risoluzione del 1947. Cominciò per i palestinesi di Cisgiordania una vita sotto occupazione israeliana. I palestinesi rimasti a vivere all'interno dei confini israeliani del 1948 invece erano diventati cittadini arabo-israeliani, ma i loro contatti con gli israeliani nella maggior parte dei casi erano ridotti al minimo indispensabile.
La resistenza palestinese all'occupazione israeliana rimase sempre attiva e negli anni '80 sfociò nella "prima intifada", una rivolta generale palestinese che venne infine soffocata.
Nel 1993 si giunse agli Accordi di Oslo, firmati dai leader israeliano Yitzhak Rabin e palestinese Yasser Arafat, su mediazione americana. Questi accordi prevedevano il reciproco riconoscimento dell'esistenza dello Stato d'Israele e dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) quale legittima rappresentante del popolo palestinese. In base agli accordi, Israele si ritirava dalle città della Cisgiordania, ma continuava a mantenere il controllo della maggior parte di territorio cisgiordano. La situazione rimaneva in ebollizione: all'interno della Cisgiordania vivevano ormai centinaia di migliaia di coloni ebrei, alcuni mossi dalla credenza della Terra Promessa, altri da considerazioni più semplici, quali il minor costo della vita, dal momento che le colonie ricevono ingenti finanziamenti statali.
Una situazione del genere sfociò nel 2000 nella "seconda intifada", una rivolta palestinese molto più violenta della prima, che degenerò in una vera e propria guerra con migliaia di morti. L'esercito israeliano muoveva guerra in Cisgiordania, mentre attentati terroristici palestinesi provocavano vittime civili nelle città israeliane, anche a Tel Aviv. Lo stesso leader Arafat venne assediato nella sua residenza presidenziale a Ramallah dall'esercito israeliano, e in seguito venne avvelenato e morì in un ospedale a Parigi nel 2004. Con la morte di Arafat e l'ascesa del suo successore, il moderato Abu Mazen, la seconda intifada finì: i palestinesi avevano perso, ma a prezzo di migliaia di vittime su entrambi i fronti. Questo avveniva dieci anni fa.

In seguito alla seconda intifada Israele stringeva ancora di più i controlli in Cisgiordania, ai confini e anche all'interno stesso d'Israele. Il resto è storia recente. Mentre in Cisgiordania vive ormai mezzo milione di coloni ebrei illegali, che in certi casi hanno attaccato impunemente famiglie e bambini palestinesi, gli stessi palestinesi negli anni scorsi si sono dilaniati dividendosi tra il governo moderato di Abu Mazen e la leadership estremista di Hamas. Dopo scontri fratricidi, nel 2007 Abu Mazen mantenne il controllo della Cisgiordania e Hamas prese il potere a Gaza. Attraverso un'attiva diplomazia Abu Mazen riusciva a raccogliere il sostegno di buona parte degli Stati del mondo, dopodiché presentava all'ONU formale richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina: il 29 novembre 2012, esattamente 65 anni dopo la risoluzione sui due Stati, l'ONU votava a maggioranza a favore del riconoscimento dello Stato palestinese, tra le proteste del governo israeliano e il veto degli Stati Uniti, veto che nega al neo-Stato un seggio all'ONU. Nonostante il formale riconoscimento, la Palestina non può certo definirsi Stato: Israele lo considera tuttora territorio occupato, e di fatto lo è. Non ha confini definiti bilateralmente, non ha controllo sulle risorse idriche ed energetiche, non ha un esercito regolare, le forze armate israeliane sono autorizzate da Israele a perlustrare il territorio palestinese in qualsiasi momento.

Quest'anno, dopo anni di divisione, il partito di Abu Mazen (al-Fatah) e Hamas hanno appianato le divergenze per formare un governo di unità nazionale palestinese che porti a nuove elezioni in autunno. Israele ha subito boicottato le trattative di pace con Abu Mazen, in quanto considera Hamas un'organizzazione terroristica. Intanto dalla Striscia di Gaza amministrata da Hamas riprendeva il lancio di razzi verso Israele. Piccoli razzi che non provocano vittime, ma la cui gittata in alcuni casi riesce a raggiungere Tel Aviv e Gerusalemme. Inoltre si è verificato il rapimento e l'uccisione di tre ragazzi figli di coloni ebrei illegali in Cisgiordania, un grave episodio le cui responsabilità rimangono non chiarite, avendo Hamas negato ogni coinvolgimento. Questo è servito al governo israeliano come pretesto per "punire i terroristi di Hamas" e scatenare una vera e propria offensiva militare su Gaza (la precedente invasione militare israeliana nella Striscia di Gaza risale ad appena cinque anni fa). L'obiettivo di Israele è eliminare tutti i "terroristi" e distruggere i tunnel che permetterebbero l'invio di armi dentro la Striscia di Gaza, che è sottoposta da anni a blocco navale e terrestre da parte di Israele. Nel frattempo anche in Cisgiordania diversi civili palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano in circostanze non chiare.
In un solo mese le vittime palestinesi sono quasi duemila, in stragrande maggioranza civili, tra cui moltissimi bambini. Circa sessanta soldati israeliani sono quelli rimasti uccisi. Ma ciò che sta provocando scalpore internazionale è il bombardamento di scuole e sedi umanitarie affiliate all'ONU, in cui i palestinesi si erano rifugiati pensando che fossero luoghi che Israele non avrebbe attaccato. Israele risponde alle accuse dicendo che colpi d'arma da fuoco provenivano da quelle strutture. Ma in alcuni casi ha ammesso che deve esserci stato qualche errore e che seguiranno indagini.

Questa è una veloce cavalcata storica, fino ai nostri giorni, non certo esauriente, ma almeno per dare un'idea di cosa c'è nel passato della situazione attuale. Non do giudizi o commenti, ne stanno già piovendo da tutte le parti. Ma una riflessione sorge spontanea: la situazione attuale non ha ormai più nulla a che vedere con le rivendicazioni di entrambe le parti, dato che queste rivendicazioni affondano ormai in una situazione passata lontana che non potrà mai più essere ripristinata, nemmeno lontanamente. Bisogna solo guardare avanti, condannare i crimini di guerra di cui si sta macchiando l'esercito israeliano e sperare che in futuro, lasciate alle spalle le violenze da entrambe le parti e la condizione di apartheid in cui sta venendo ridotto poco a poco il popolo palestinese, diventi possibile una convivenza di due popoli sulla stessa terra: su nuove basi, lasciando alle spalle le rivendicazioni del passato. Lo so, oggi è utopia.

venerdì 30 maggio 2014

Hluhluwe-iMfolozi Reserve

 
La savana allo stato selvaggio come doveva essere migliaia e forse milioni di anni fa: questa è la prima cosa che ho pensato quando, insieme a tre colleghi, sono entrato nella riserva di Hluhluwe-iMfolozi, dove siamo rimasti tre giorni alloggiando in un lodge all'interno della riserva, in una piccola area protetta da reti elettriche ad alto voltaggio, perché tutto attorno c'è la natura selvaggia.

Questo parco naturale, qualche centinaio di chilometri a nord di Durban, è il più antico dell'Africa: fu creato dagli Inglesi centoventi anni fa, in terre che un tempo erano riserve di caccia del re degli Zulu. Il movente fu il tentativo disperato di salvare il rinoceronte bianco che a quel tempo era ormai quasi estinto a causa della caccia indiscriminata: gli ultimi esemplari al mondo sopravvivevano solo qui, ed erano pochissime decine. Grazie a questa riserva, il rinoceronte bianco è stato salvato e oggi la popolazione più numerosa al mondo di questa specie vive proprio qui, anche se tuttora è considerata tra le specie minacciate, a causa della persistente attività dei bracconieri, che contrabbandano i corni di rinoceronte.
Anch'io ho avuto la fortuna di vedere in due occasioni un gruppo di rinoceronti, che sostavano nella macchia poco distante dalla pista che percorrevamo in auto. Visti dal vivo sono enormi e fanno una certa impressione!


Altra caratteristica di questa riserva è che ospita tutti i "Big Five", cioè i cinque animali di grossa taglia tipici della savana: leone, rinoceronte, elefante, bufalo e leopardo.
Forse siamo stati fortunati, fatto sta che in due giorni e mezzo scarsi abbiamo visto quattro dei Big Five, ci è mancato solo il leopardo, che in quanto animale notturno è notoriamente il più difficile da trovare. Anche se proprio in quei giorni è arrivata una segnalazione che ne era stato avvistato uno.

Clamorosa è stata l'apparizione di una coppia di leoni, che ci hanno attraversato la strada a pochi metri di distanza. Per puro caso avevamo fermato l'auto a un incrocio tra due piste: se non ci fossimo fermati non li avremmo visti.
Per prima è passata una leonessa,  che incurante della presenza di tre auto si è fermata proprio sulla strada annusando laria e guardandosi in giro, degnandoci appena di un'occhiata di sufficienza.  Era enorme. Poi è andata, e quando pensavamo che fosse tutto finito,  ecco sopraggiungere un leone, un esemplare giovane. Anche lui, giunto sulla strada, si è fermato un attimo,  ha lanciato uno sguardo molto tranquillo alle auto e poi ha proseguito. Che dire: vedere dei leoni selvaggi che ti passano davanti a pochi metri è un'esperienza che mi mancava...


domenica 30 marzo 2014

Gli Africani e la musica nel sangue

Oggi abbiamo suonato in un ospedale poco fuori Durban. Immaginavo di ritrovarmi in mezzo alle corsie, tra gente sofferente, invece in realta' era un'occasione particolare, qualche sorta di ricorrenza, e ci hanno fatto sistemare in una grande sala, un po' "spartana". Tutti gli spettatori pero' erano vestiti in modo elegante, secondo le possibilita' di ognuno, e soprattutto c'era un clima di festa, quasi mi chiedo dove fosse veramente l'ospedale. Ospitare poi un'orchestra a suonare la domenica pomeriggio... Non so in Italia se ci sia qualche ospedale che lo fa, ma non l'ho mai sentito.

Accompagnavamo il coro locale, una cinquantina di persone di colore dalle voci potenti e bellissime, oltre a un piccolo coro di ragazzi dalle voci gia' molto promettenti. Ho potuto ascoltare da vicino quanto la popolazione nera sia particolarmente portata per il canto, hanno un timbro di voce potente e sono molto musicali.

Il caldo, nonostante qui ufficialmente sia appena cominciato l'autunno, mi faceva sudare e non bastavano i ventilatori. La mia compagna di leggio oggi era una ragazza giovane sudafricana di etnia tswana, ma l'orchestra e' un mosaico di genti di provenienza diversa, e' molto intrigante sapere quali incroci di vite diversissime si trovino gomito a gomito cercando di produrre insieme una bella musica: ci sono gli afrikaner, sudafricani bianchi (molto religiosi di solito), ci sono i neri, tutti giovani perche' solo da pochi anni i primi di loro stanno imparando la musica classica... la mia compagna di leggio e' una sorta di "pioniera" in questo senso. Poi ci sono gli stranieri che pero' vivono qui da vent'anni, tedeschi, bulgari, russi, tutti con storie diverse alle spalle, eppure un unico comune denominatore: anni di studio dello strumento, e anni di gavetta nelle orchestre dei Paesi di origine e poi in giro per il mondo. In fondo, pur nelle enormi differenze, abbiamo una storia comune.

Comunque, per tornare a noi, prima di iniziare a suonare mi ero preparato al peggio: assediato dal caldo, in una salone che non era certamente una sala concerto, mi dicevo: "speriamo non duri troppo". Anche gli altri orchestrali mi sembravano non di ottimo umore, per il fatto di dover suonare anche il sabato e la domenica questa settimana.

Invece, appena abbiamo cominciato a suonare, e' cominciato il divertimento. Niente musi lunghi tra il pubblico, come spesso in Italia, ma tutti attentissimi e divertiti, compreso il presentatore che tra un pezzo e l'altro esprimeva e condivideva col pubblico le sue impressioni ed emozioni (un po' "all'americana" a dire la verita', ma in fondo divertente). Era come se tutti si conoscessero, e poco a poco l'atmosfera allegra mi ha contagiato.

Ma il bello e' arrivato quando ha cominciato a cantare il coro: un'onda sonora dal timbro caldo si e' diffusa nella sala impregnandola di musica, il pubblico ha cominciato ad accompagnare cantando sottovoce o incitando con sorrisi quando una ragazzina che cantava da solista si emozionava un po'.

Prima del finale, e' intervenuto al microfono anche il direttore dell'ospedale, credo, un anziano di colore dalla voce roca e pacata, che ha ricordato come fino a non molti anni fa non fosse nemmeno concepibile che un coro di neri cantasse insieme a un'orchestra di bianchi (perche' fino a pochi anni fa, poi, l'orchestra era composta solo di bianchi). Questo, ha detto l'anziano, e' il potere della musica e degli uomini di buonsenso che operano con la musica, e si e' detto felice di vedere che finalmente banchi e neri lavorano assieme portando la musica nei luoghi piu' diversi, dalle scuole agli ospedali, donando momenti di felicita' a chi ne ha magari davvero bisogno. Questo ha strappato un applauso anche da parte degli orchestrali, che per un momento hanno lasciato da parte il malumore per non poter essere sulla spiaggia la domenica.
Io ho pensato: ma guarda quanto sentono importante qui la musica, lo sentono praticamente come uno strumento di vita! Wow!

E poi, abbiamo attaccato con il pezzo finale, Istimela, dalla musica travolgente: il coro ballava ondeggiando sulle note di questa canzone recente (il compositore era in sala) ma dai suoni e ritmi della musica tradizionale africana. Il pubblico non ha piu' resistito, si e' alzato in piedi ballando a sua volta e cantando. Accanto a me, la mia compagna di leggio tswana stava ballando e ridendo anche lei mentre suonava! So che ho pensato: "Cavolo, hanno proprio la musica nel sangue, io non riesco mentre suono a ballare cosi'!". Ma stavo ballando e ridendo dentro di me, felice di fare questo mestiere in mezzo a questa gente.

sabato 1 marzo 2014

Sudafrica

È passato un mese dal mio arrivo in terra africana e spero di rimanerci a lungo. Ho scoperto diverse cose, tra cui il fatto che l'Africa non è solo quel continente povero e martoriato, ma anche una terra ricca: ricca di persone dalle storie diversissime, ricca di una natura rigogliosa, ricca anche di ricchezza, da qualche parte. Come qui a Durban, in Sudafrica, città in terra zulu ma dove convivono culture e razze diverse in un crogiolo di storie, lingue, colori e sapori.


Prima di venire qui, la conoscenza più "ravvicinata" che avevo dell'Africa mi proveniva dai racconti di un mio prozio missionario comboniano, Padre Giuseppe Ambrosi, che ha passato la vita nelle regioni più povere di Kenya e Uganda. Qui a Durban ho trovato l'altra faccia dell'Africa. Il Sudafrica è il Paese più moderno del continente, dove tuttavia ci sono enormi differenze culturali, e tra ricchi e poveri. Vediamo se riesco a raccogliere un po' delle impressioni che ho avuto.

Ancora mi sorprendo pensando a una camminata che ho fatto da solo dopo pochi giorni dal mio arrivo, nel centro di Durban. In qualsiasi posto vada, una delle prime cose che faccio è gironzolare a piedi per vedere da vicino le persone e il posto e farmi una prima idea. Ma mai mi era successa una cosa simile: camminavo, camminavo, per chilometri, in mezzo a una città affollata e brulicante, ed ero l'unico bianco. Tutt'intorno, tutte persone di colore. Avrei potuto sentirmi in soggezione forse, invece no, non mi sentivo particolarmente osservato e nemmeno a disagio, soltanto sorpreso perché non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione del genere. Oltretutto, con la mia dose di incoscienza, mi ero avventurato a caso per la città incurante degli avvertimenti di chi mi aveva detto di stare attentissimo alla criminalità dilagante, specialmente nel centro. Certo, ero uscito con le tasche quasi vuote e vestito in maniera casual non appariscente. Con un mio amico siamo convenuti sul fatto che basta sentirsi "neri dentro", cioè uguali alla gente per strada, per sentirsi a proprio agio: in fondo, è proprio vero che siamo tutti uguali nei comportamenti, e già ora quando parlo con chiunque non mi rendo nemmeno conto del colore della sua pelle (bianco, coloured, nero, verde, fucsia...), ma mi viene da giudicarlo solo dal modo in cui si pone. Riguardo alla criminalità poi, ho scoperto che Durban tra le grandi città del Sudafrica (con oltre tre milioni di abitanti è la terza città del Paese) è quella probabilmente più sicura. Si vedono guardie e polizia ovunque. Forse il fatto che sia una città turistica aiuta a investire sulla sicurezza, specialmente dopo i Mondiali di calcio di quattro anni fa.

Però la disoccupazione è molto alta e la differenza tra i ricchi e la classe media è molta, molta. In un'altra delle mie camminate sono finito in una zona vicina a dove abito io, e ho scoperto villazze in stile hollywoodiano, circondate da alte mura e da fili elettrici ad alta tensione: è la zona dei bianchi ricchi, che si barricano dietro fortezze extra lusso. In quelle strade ho visto persone di colore vestite da domestici come in Italia si usava un secolo fa. Anche questo è il Sudafrica. Nonostante la fine dell'apartheid, ho notato che la maggior parte dei bianchi in realtà vive in quartieri per conto loro, e da alcuni commenti ho notato la diffidenza che le persone di origine anglosassone specialmente hanno nei confronti dei neri, al di là delle parole di circostanza. Beh, sapete che vi dico, che io finora mi trovo più a mio agio con gli zulu!

Invece la nostra orchestra è una bella realtà di commistione multiculturale, dove suonano assieme sudafricani bianchi afrikaner, sudafricani anglosassoni, sudafricani neri e "coloured", europei, americani, giapponesi... Anche se ho notato, devo dire, che anche lì le varie etnie parlano più tra di loro e poco le une con le altre. Gli unici che come sempre ce la spassiamo con chiunque, e facciamo divertire chiunque, siamo noi italiani, ben sette in orchestra! L'orchestra è attualmente la migliore dell'Africa e l'unica in Sudafrica con una programmazione e una gestione manageriale così attive e ambiziose, anche nei programmi di concerto (paragonabili a quelli di qualunque orchestra di alto livello europea).

Queste sono solo alcune delle mille impressioni che mi affollano la testa, ma che devo fare, per ora vi dovete accontentare!

Non so se in mezzo a tante nuove esperienze avrò il tempo di aggiornare anche il blog, ahahah! Cercherò di farlo soprattutto per fissare nero su bianco certi ricordi prima di dimenticarli.

Salani kahle!