giovedì 18 agosto 2022

"...Così una vita ben usata dà lieto morire"

La citazione completa di questo aforisma di Leonardo da Vinci (1452-1519) è: "Sì come una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita ben usata dà lieto morire". Secondo quanto riferito da Alberto Angela, suo padre Piero Angela amava questo detto e si può ben dire che nella sua vita riuscì a esservi fedele fino all'ultimo. Il figlio Alberto nel suo discorso alla camera ardente ha infatti confidato che Piero Angela ha passato gli ultimi giorni di vita lucido e sereno, senza lasciar trasparire alcun segno di paura per la morte che si avvicinava, come se la sua vita, molto densa di esperienze e di conoscenze, e "ben usata" (per usare le parole di Leonardo da Vinci), fosse stata come una bellissima cena tra cari amici e alla fine si fosse alzato da tavola dicendo "è stato proprio un piacere, ora vi saluto", in tutta serenità.

La notizia della morte del celebre divulgatore mi ha colto di sorpresa (nonostante dopotutto avesse ormai 93 anni) e ho immediatamente provato un sincero e profondo dispiacere, cosa che di solito non mi capita leggendo di altre morti di personaggi famosi. È stato come se mi fosse stata strappata via una parte importante del mio patrimonio culturale, che non potrà venire rimpiazzata tanto facilmente. Poi ho letto che sui social moltissima altra gente comune ha manifestato gli stessi miei sentimenti, e mi son sentito meno solo: significa che il lavoro divulgativo di Piero Angela ha lasciato un segno importante nella società italiana, e meno male perché l'Italia di oggi ha quanto mai bisogno di quella mentalità "angeliana", curiosa, garbata, sempre alla ricerca della conoscenza vera e non spettacolarizzata... E abbiamo bisogno quanto mai di combattere con questa mentalità l'ignoranza e la maleducazione dilaganti.

Ero ancora bambino quando a metà anni '80 mia madre mi fece prendere l'abitudine, i mercoledì dopo cena, di guardare in televisione i documentari degli animali delle prime edizioni di Quark. Duravano solo pochi minuti, poi la trasmissione andava avanti con altri servizi dedicati alla scienza, ma essendo piccolo io andavo a letto dopo il servizio sugli animali. A partire da quei primi assaggi di documentari naturalistici, nel corso degli anni continuai a seguire Quark, poi Quark Speciale, e poi tutte le trasmissioni targate Angela fino a Superquark. Praticamente i programmi di Piero Angela mi hanno accompagnato nella mia crescita dall'infanzia alla giovane età adulta.

Probabilmente sono state almeno in parte anche quelle trasmissioni a infondermi una certa curiosità nel ricercare spesso le origini di questo o di quello nella realtà che ci circonda, con un interesse particolare per storia, geografia e antropologia, ma non solo. E la mia passione per il mondo della comunicazione, della ricerca e del giornalismo, che mi spinse a laurearmi in Scienze della Comunicazione all'Università di Padova, fu sicuramente influenzata dai lavori di Angela. Ricordo che una volta, per un corso all'università, dovevamo stilare una tesina su un prodotto televisivo a nostra scelta, e io decisi di farla sul "prodotto Quark". Devo avere ancora la copia cartacea da qualche parte. Per un periodo avevo anche valutato se frequentare un master in "Comunicazione della scienza", poi ho percorso una strada diversa.

Anche nello scrivere molti post di questo stesso blog, senza rendermi conto devo forse aver ricalcato un po' lo stile descrittivo che ho assorbito in anni di ascolto di Quark e Superquark.

Che dire, speriamo che Alberto Angela continui nell'opera divulgativa del padre. L'Italia di oggi ne ha bisogno.

sabato 25 giugno 2022

Sulla longevità umana

Durante un periodo di vacanza nella mia Italia, in questa calura estiva, la mente si rilassa e i pensieri vagano liberi. E così, in un periodo di notizie non belle (la guerra tra Russia e Ucraina che sta coinvolgendo sempre più l'intera Unione Europea e sta portando a una recessione globale, e poi, è notizia di ieri, l'abolizione del diritto all'aborto negli Stati Uniti da parte della Corte Suprema), mi è balzato alla mente un dettaglio forse insignificante ma che mi porta a uno spunto bello e positivo, secondo me.

La persona vivente più anziana al mondo è una suora cattolica francese, Lucile Randon, di 118 anni, essendo nata l'11 febbraio del 1904. Per intenderci, Lucile Randon passò l'infanzia prima dello scoppio della prima guerra mondiale, quando il suo Paese, la Francia, era in piena Belle époque e tutta l'Europa viveva nella tranquillità, lanciata verso un progresso tecnologico senza rivali nel mondo, e nessuno si sarebbe mai e poi mai immaginato gli orrori che avrebbero costellato il secolo che allora era appena iniziato.

Questo significa che all'epoca della nascita di Lucile Randon, nella avanzata e opulenta Francia sicuramente viveva ancora qualche ultracentenario che, avendo magari 105 o 110 anni all'epoca, era a sua volta quindi nato negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese, per intenderci quando la carriera di Napoleone Bonaparte era ancora all'inizio.

Non è affascinante pensarci? Oggi, nel 2022, possiamo andare a parlare con un'anziana che con aria flemmatica potrebbe risponderci: "Eh si, sono contemporanea di quel tale che era nato all'epoca della Rivoluzione francese". Questo fa ragionare su quanto ciò che consideriamo passato in realtà sia meno lontano nel tempo di quanto noi, preoccupati del presente della nostra breve vita, percepiamo. Durante l'infanzia di Lucile Randon, di questa anziana che ancora oggi possiamo andare a trovare in una casa di riposo a Toulon, vivevano ancora alcuni che erano stati contemporanei di persone che noi consideriamo quasi personaggi non reali, fissati nei libri di storia, come appunto Napoleone o, per esempio, Goethe, Kant o Haydn, gente che a loro volta avevan vissuto gran parte della loro vita ancora nel Settecento.

Ma guardando avanti invece, basti pensare che i neonati e i bebè di oggi non saranno ancora ottantenni all'inizio del prossimo secolo. Chissà che mondo sarà, sicuramente molto diverso da quello di oggi.

Purtroppo anche oggi, come in passato, tante persone (troppe) muoiono molto giovani, per incidenti, malattie, omicidi, suicidi... Forse a maggior ragione per questo, dovremmo non dimenticare coloro che invece sono giunti a vivere fino a tarda età: dovrebbero essere considerati come dei ponti che ci tengono collegati alla conoscenza del nostro passato, che, ahimè, sta venendo sempre più trascurato e dimenticato dalle giovani generazioni.

Oggi la popolazione umana ha raggiunto gli 8 miliardi, e avevo letto qualche tempo fa che, per la prima volta nella storia, le persone viventi sono attualmente un numero maggiore di tutte le persone morte nel corso della pur lunga storia umana. Un traguardo incredibile, probabilmente unico tra gli esseri viventi. Dovremmo cercare di far tesoro di questo traguardo evitando tragedie inutili, magari ispirandoci un po' al passato.

sabato 19 febbraio 2022

Marianhill




Questo post è una rielaborazione aggiornata di un vecchio post di tre anni e mezzo fa.

È un post sulla storia di un fenomeno molto particolare che ebbe luogo in questa provincia del Sudafrica quasi un secolo e mezzo fa: il sorgere di missioni cattoliche in stile neogotico mitteleuropeo nel mezzo delle distese rurali africane popolate (a quel tempo) solo da capanne di paglia con tetti a cono. Una visione che ancora oggi lascia meravigliati, quando ci si reca in auto tra le colline del KwaZulu-Natal e si vede svettare il campanile di una chiesa europea ottocentesca, qui e là, spesso a distanza di oltre un'ora di macchina l'una dall'altra.

Tutto ebbe origine nell'Ottocento. Un giovane austriaco di nome Wendolin Pfanner, pur essendo di modeste origini, grazie alla sua abilità nello studio e al suo carattere determinato andò a studiare Filosofia all'Università di Padova (la stessa dove mi laureai 18 anni fa). A quel tempo il Veneto era parte dell'Impero Austriaco, quindi era normale per un giovane austriaco studiare a Padova. Mentre era studente, negli anni '40 dell'Ottocento, si ammalò di meningite e polmonite. Sopravvisse, ma l'esperienza traumatica lo spinse alla vocazione sacerdotale. Studiò Teologia a Bressanone e poi divenne prete cattolico. Dopo qualche anno venne accolta la sua richiesta di entrare a far parte dei monaci trappisti (un ordine monastico cattolico nato in Francia nel XVII secolo), scegliendo Franz come suo nome da religioso. Frate Franz Pfanner prese servizio in monasteri in Prussia, in Austria e a Roma (presso l'Abbazia delle Tre Fontane), e fondò addirittura un monastero in Bosnia, regione che nel 1878 venne annessa all'Impero Austriaco, ma che aveva una popolazione a maggioranza musulmana, essendo stata per secoli provincia (per quanto di frontiera) dell'Impero Ottomano.
L'ordine monastico dei trappisti era dedito a una vita contemplativa di meditazione, preghiera e lavoro fisico, in un certo senso in modo non dissimile dai precetti dell'ordine dei benedettini, per esempio.

Fra Pfanner sembrava destinato a invecchiare nel monastero da lui fondato, soprattutto considerando che nel 1879 venne elevato a rango di abazia ed egli ne divenne abate.
Invece successe qualcosa di totalmente imprevisto. In quello stesso anno 1879, in un capitolo (riunione) generale dei trappisti svoltosi all'Abazia di Sept-Fons in Francia, era presente un vescovo cattolico di stanza in Sudafrica, il quale fece una richiesta ai trappisti di inviare dei monaci per fondare missioni in Sudafrica, che allora era quasi terra vergine per i cattolici. Secondo le cronache, pare che i trappisti presenti rimasero freddi dinanzi alla richiesta; al che l'abate Pfanner, che era presente al capitolo, avrebbe detto: "Se non ci va nessuno, ci andrò io".

Ora, bisogna capire cosa ciò comportasse a quel tempo. Oggi ci sono voli intercontinentali diretti che collegano l'Europa col Sudafrica in 10 ore o giù di lì. A quei tempi ci si doveva imbarcare su una nave: se tutto andava bene il viaggio durava settimane, e se uno soffriva il mal di mare (lo stesso Pfanner scoprì in seguito di soffrirlo terribilmente), nessuno ci poteva fare nulla. Il Sudafrica era una colonia britannica dove, a parte le poche cittadine abitate dai coloni di origine europea (la più importante era Città del Capo che all'epoca contava sui 45 mila abitanti), regnavano la natura selvaggia e le tribù degli africani nativi, che spesso erano in rapporti non proprio ottimi con i coloni bianchi. Le automobili ovviamente non esistevano, ci si muoveva su strade e sentieri sterrati, a cavallo o su carri e carretti, per chi se lo poteva permettere. In alcune aree era stata costruita qualche recentissima ferrovia. Inoltre, le lande sudafricane erano state colonizzate da inglesi e boeri (coloni di lontane origini olandesi) che professavano le fedi protestante e anglicana, e parlavano inglese e afrikaans (una lingua derivata dall'antico olandese).
Come se tutto ciò non bastasse, proprio in quell'anno 1879 le terre sudafricane di nordest, chiamate Zululand, erano appena state funestate dalla sanguinosissima guerra tra gli Inglesi e gli Zulu. I britannici avevano prevalso ma al prezzo di ingenti perdite (fu la guerra più costosa in termini di vite umane nella storia del colonialismo in Africa), e anche se la situazione appariva pacificata... chi poteva prevedere se la pace sarebbe durata?
Quindi si può capire quanto fosse avventurosa l'idea, per un 54enne abate cattolico austriaco che quasi sicuramente non sapeva parlare una frase d'inglese, di viaggiare all'altro capo del mondo in terre così estremamente diverse dalle sue di origine (la globalizzazione sarebbe arrivata più di un secolo dopo...).

Quando alla fine di luglio del 1880 Franz Pfanner, insieme a una trentina di monaci della sua abazia in Bosnia, raggiunse infine il luogo destinato alla missione, nella provincia sudafricana che oggi si chiama Eastern Cape, trovò condizioni proibitive: il territorio era arido e ventoso, e locuste e babbuini distruggevano i raccolti che già stentavano ad attecchire. Nel giro di due anni di tentativi, Pfanner tornò anche in Europa per raccogliere fondi, ma questo non aiutò la missione a decollare.
Alla fine il vescovo del Natal (la regione sudafricana del nordest) concesse a Pfanner il terreno di una missione abbandonata, nel fertile Natal. In quella zona però c'erano degli scontri tribali, per cui frate Franz preferì cercare in un'altra zona del Natal. Fortunatamente una fattoria era in vendita sulle colline poco più a nord, vicino all'abitato coloniale di Pinetown che prendeva il nome da un precedente vicegovernatore del Natal, Sir Benjamin Pine, il quale tra l'altro all'epoca era un settantenne ancora in attività (anche se dall'altra parte del mondo, quale governatore delle Isole Sottovento britanniche, nei Caraibi). Tra l'altro, poco distante da Pinetown, esisteva da una trentina d'anni una comunità di coloni tedeschi, tant'è che il loro abitato venne chiamato Neu-Deutschland, poi ribattezzato in inglese New Germany. Anche se erano prussiani di religione protestante (e non austriaci cattolici), parlavano pur sempre la lingua tedesca, e chissà se questo fatto influì nel far scegliere a fra' Pfanner queste zone.
Pfanner decise quindi di comprare la fattoria vicino a Pinetown e la sua offerta venne accettata. Spostò così i suoi monaci dall'Eastern Cape al Natal. Non so se il trasferimento avvenne per nave o via terra: in quest'ultimo caso il viaggio sarebbe durato qualche giorno, con i tempi di percorrenza dell'epoca, attraversando territori abitati da diverse tribù native tra cui quella dei Thembu, in cui uno dei consiglieri reali era il nonno paterno del futuro Nelson Mandela.

Pinetown era a una quindicina di chilometri di distanza dalla cittadina portuale di Durban, che all'epoca era in rapida crescita essendo su una baia trasformata in porto (la stessa baia avvistata dalla flotta di Vasco da Gama quattro secoli prima, come ho raccontato in un post precedente, e furono proprio i portoghesi di da Gama a dare il nome Natal a queste coste, perché navigarono da queste parti durante i giorni del Natale 1497). Una ferrovia di molto recente costruzione collegava Durban a Pietermaritzburg, cittadina sede del governatore del Natal, e passava proprio da Pinetown. Franz Pfanner e i suoi monaci arrivarono quindi a Pinetown in treno da Durban, e poi fino alla fattoria su un carro trainato da buoi. Era il dicembre del 1882.

Il giorno 27 di quello stesso mese venne fondata la missione di Mary Anne Hill, cioè della Collina delle Sante Maria e Anna (la Vergine Maria e sua madre Sant'Anna), nome che poi venne accorciato in Marianhill.
Queste colline erano decisamente più abitabili e più popolate rispetto alle aride distese dell'Eastern Cape, e finalmente la missione di fra' Pfanner cominciò a funzionare.
All'epoca, le popolazioni native del Natal erano poco o per nulla cristianizzate, quindi iniziò per Pfanner e i suoi monaci una feconda missione di evangelizzazione. Il loro motto era "ora et labora" (prega e lavora), sulla scia del monachesimo europeo di origine benedettina. Oltre a coltivare frutti e verdure, adibirono la fattoria a sorta di laboratorio dove gli stessi monaci si misero all'opera per produrre cose di diverso tipo.
Lo stesso monastero venne costruito da monaci improvvisatisi architetti e carpentieri, aiutati dai giovani locali nativi: i giovani africani appresero quindi dall'esempio dei monaci e impararono a diventare manovali, ferrai, agricoltori, rilegatori, sarti, eccetera.
Questa missione trappista ebbe enorme successo tra la popolazione nera locale, e ben presto, a partire dal 1884, cominciarono i primi battesimi cattolici pubblici di gente zulu.



Già nel 1885, grazie al successo crescente, il monastero di Marianhill venne elevato ad abazia. I monaci istituirono anche una scuola dove i ragazzi locali ricevevano un'educazione.
Lo spirito di Franz Pfanner in questo era rivoluzionario per l'epoca. Questo dichiarò l'abate: "Tutti i ragazzi al nostro istituto ricevono vitto, alloggio e istruzione gratuiti, indipendentemente che siano non credenti, musulmani, protestanti o cattolici, bianchi, neri o meticci, inglesi, olandesi, tedeschi, italiani, indiani o africani nativi".

L'istituto venne a includere anche studentesse, e per questo divenne necessario chiamare al monastero delle suore che si prendessero cura della loro istruzione, dal momento che per i frati trappisti non era ammesso il contatto diretto con donne. Pfanner fondò così l'ordine delle Suore Missionarie del Prezioso Sangue (ordine che sarebbe stato riconosciuto soltanto vent'anni dopo, da papa Pio X).
Nel 1887 furono inviati i primi giovani a Roma per intraprendere il noviziato, e il primissimo sacerdote zulu nella storia veniva proprio da Marianhill.
Nel 1890 Pfanner venne nominato vicario generale dell'ordine trappista in Sudafrica e scrisse i principi ispiratori della missione di Marianhill. In essi dichiarava che il suo scopo era di "perseguire e realizzare uno status sociale equo tra neri e bianchi".

Ma le cose precipitarono molto rapidamente. Lo spirito missionario di Pfanner aveva portato a costruire una ventina di altre missioni dipendenti da Marianhill in diverse zone del Natal meridionale, anche a molta distanza tra loro. Ciò intensificò l'attività missionaria dei monaci, il che si scontrava con i principi base dell'ordine trappista, che non prevede attività missionaria bensì soltanto meditazione, preghiera e lavoro manuale all'interno di un monastero.
L'abate Pfanner ricevette sempre più critiche per le deroghe sempre più numerose che egli fece alle regole trappiste, accuse ancor più serie in quanto egli era il vicario generale dell'ordine in Sudafrica.
Venne infine inviata una protesta formale all'ordine a Roma riguardante le attività di Pfanner.
Quando nel 1891 si recò a Roma per il capitolo generale dei trappisti, gli furono richieste spiegazioni. Egli, in risposta, invitò i vertici trappisti a fare un'ispezione a Marianhill e agli altri piccoli monasteri satelliti, per giudicare loro stessi come mai era stato portato a tali scelte.
Fu così inviato un trappista tedesco a ispezionare la situazione a Marianhill. In attesa dei risultati delle ispezioni in loco, venne proibito a padre Pfanner, almeno per il periodo di un anno, di risiedere in alcuno dei monasteri dipendenti da Marianhill. Così l'abate si ritirò in un piccolo monastero nel sud del Natal. Fu nominato un sostituto a capo dell'abazia, e l'inviato dall'Europa provvide a disfare i provvedimenti controversi di Pfanner, quelli che andavano a cozzare contro le regole trappiste di auto confinamento monastico.

Nel 1893, non trovandosi d'accordo con i provvedimenti, e non potendo più viaggiare in Europa per perorare la sua causa, per la sua salute malferma (aveva ormai quasi 70 anni e oltretutto soffriva terribilmente il mal di mare), Pfanner rassegnò le proprie dimissioni da abate di Marianhill (e vicario generale dell'ordine in Sudafrica), dimissioni che infine vennero accolte.
Pfanner si ritirò nel piccolo monastero di Emaus, a ore di distanza (viaggiando in carro trainato da buoi) da Marianhill. Lì visse semi isolato, assistito solo da poche suore, per altri 15 anni, fino alla sua morte nel 1909, a 84 anni d'età (solo nell'ultimo suo anno di vita visse con lui un altro confratello).
Ma non smise di far sentire la sua voce pubblicando corrispondenze e dichiarazioni su diversi giornali. Una delle battaglie che portò avanti fino alla fine fu quella di proporre uno statuto particolare per l'abazia di Marianhill, che ne salvaguardasse lo spirito di slancio missionario verso l'esterno che aveva caratterizzato la sua direzione quando ne era abate. Alla fine vinse lui: gli anni passarono e con l'inizio del Novecento probabilmente una ventata d'aria nuova investì il mondo cattolico; nel 1906 papa Pio X riconobbe l'ordine delle Suore Missionarie del Prezioso Sangue fondato da Pfanner nel 1885; e nel febbraio 1909, pochi mesi prima della morte di frate Franz, la Santa Sede accolse le richieste dei monaci di Marianhill e decretò che l'abazia fondata da Franz Pfanner sarebbe diventata un ordine monastico autonomo dai trappisti: la Congregazione dei Missionari di Marianhill. Pfanner morì pacificamente il 24 maggio 1909 vedendo così realizzato lo scopo della sua missione in Sudafrica.

Ma nel frattempo, anche durante gli anni delle restrizioni, l'abazia di Marianhill aveva continuato a prosperare grazie all'impulso avviato da padre Pfanner. Addirittura, sul finire dell'Ottocento divenne il monastero cristiano più popolato al mondo, con quasi 300 monaci.

Tra i visitatori che si recarono a Marianhill in quegli anni ci fu anche un giovane Gandhi (proprio così, il futuro Mahatma Gandhi), che visse per una ventina d'anni nei dintorni di Durban a cavallo tra i due secoli. Gandhi, che era avvocato, era venuto in Sudafrica perché era stato invitato a risolvere una controversia legale nella comunità indiana, che già allora era molto numerosa a Durban, composta di immigrati venuti dall'India come manodopera a basso costo (ricordiamo che India e Sudafrica erano entrambe colonie inglesi). Gandhi sperimentò di persona che già allora, a fine Ottocento, esisteva di fatto una situazione di quasi apartheid in cui gli immigrati indiani (come i neri nativi) venivano pesantemente discriminati. Decise quindi di fermarsi per perorare la causa dei diritti fondamentali a difesa della sua gente, e fu proprio qui a Durban che maturò in lui il proposito della resistenza non violenta, che poi avrebbe applicato al suo ritorno in India contro il colonialismo britannico.
Dice la leggenda che Gandhi avesse intenzione di scrivere un articolo molto critico sul monastero di Marianhill, forse volendo prendere di mira il presunto atteggiamento coloniale dei monaci nel voler convertire le popolazioni native. Ma dopo averlo visitato nel 1895, Gandhi rimase colpito dallo stile di vita comunitario di Marianhill, dove monaci, suore, e gente comune di ogni provenienza lavoravano insieme senza distinzione o discriminazione. Fu per Gandhi un esempio che tenne a mente con affetto anche durante le sue future battaglie, come ha raccontato una sua nipote.
(Qui sotto una foto di Gandhi all'epoca della sua visita a Marianhill)


Padre Pfanner si era appena ritirato all'eremo di Emaus un paio d'anni prima, ma lo spirito da lui infuso negli altri monaci era ancora ben vivo, in particolare nel loro atteggiamento di accoglienza e rispetto equanime di tutti coloro che si recassero a Marianhill, bianchi, neri o indiani che fossero.
Era un atteggiamento che contrastava molto con la realtà che purtroppo andava già a profilarsi, di una discriminazione di neri e immigrati poveri indiani da parte dei sudafricani bianchi (anche se il regime regolamentato di apartheid sarebbe arrivato soltanto diversi decenni dopo).
(Aggiungo a questo paragrafo una postilla. Oggi la comunità indiana a Durban è la più estesa comunità indiana al di fuori dell'India, e dopo la fine dell'apartheid ha vissuto un'incredibile sviluppo: oggi molti indiani sudafricani sono dottori di alto livello, professionisti di prim'ordine o imprenditori di successo).

Dopo la morte di Franz Pfanner nel 1909, Marianhill, diventato un ordine monastico indipendente, conobbe una nuova fioritura. I monaci presero a essere chiamati Marianhillers.
Venne ridato nuovamente impulso alla loro scuola per giovani nativi. Il successo della scuola di Marianhill può essere ben esemplificato dal seguente episodio. Nel 1916 arrivò alla scuola un bambino zulu che venne battezzato col doppio nome cristiano Benedict Wallet (tra l'altro era di origini considerate altolocate tra gli zulu, perché un suo prozio era stato il re zulu Cetshwayo). Dopo otto anni di studio ottenne un certificato di insegnante e cominciò a insegnare alla stessa scuola di Marianhill, e in seguito a un seminario non lontano da lì. Benedict Wallet Vilakazi si laureò in seguito con un bachelor of Arts all'University of South Africa e divenne uno stimato poeta e scrittore, e non solo: negli anni '40 (mentre il giovane Nelson Mandela e gli altri eroi anti-apartheid cominciavano le loro attività di opposizione politica) Vilakazi fu il primo sudafricano nero a laurearsi con un post dottorato, oltre che il primo a insegnare in università a studenti bianchi (presso la University of the Witwatersrand). Va da sé che Vilakazi poté permettersi una tale carriera grazie agli anni formativi a Marianhill, oltre che grazie al suo talento ovviamente.

I Religiosi Missionari di Marianhill tennero il loro primo capitolo generale nel 1920, e dopo di allora si sono espansi come ordine anche fuori del Sudafrica, aprendo monasteri in Austria, Svizzera, Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Canada, mentre il Generalato Superiore dell'ordine ha sede a Roma. Oggi contano oltre 300 membri nel mondo, di cui oltre 200 preti.
Tra i sacerdoti che hanno fatto parte dei Missionari di Marianhill c'è anche un martire beato, il tedesco Engelmar Unzeitig, morto nel campo di concentramento tedesco di Dachau durante la seconda guerra mondiale e beatificato da papa Francesco nel 2016.
Inoltre lo stesso papa Francesco l'anno scorso ha nominato un membro di quest'ordine quale nuovo arcivescovo metropolita cattolico di Durban (per la prima volta nella storia), Siegfried Mandla Jwara, il primo arcivescovo zulu, che è succeduto quale arcivescovo di Durban al cardinale Wilfrid Fox Napier (il quale a sua volta è l'unico cardinale sudafricano vivente).

Se il cattolicesimo in Sudafrica si concentra principalmente in questa regione del KwaZulu-Natal (i cattolici in tutto il Sudafrica sono poco più di tre milioni), il merito va storicamente principalmente all'opera missionaria del monastero di Marianhill. E cosa è oggi del luogo dove tutto ciò ebbe origine? Il monastero di Marianhill oggi è una pacifica oasi immersa nel verde, che non molti perfino a Durban conoscono. È circondata da townships di sudafricani nativi, casupole moltiplicatesi durante il secolo scorso proprio grazie all'abazia che dava alla gente lavoro e prodotti coltivati dai monaci.

Per me Marianhill è un posto speciale per un semplice motivo: è nella chiesa del monastero, col suo bello e semplice stile neogotico austriaco, ancora intatto dopo quasi 140 anni dalla sua costruzione, che ogni mese ci esibiamo in concerto col nostro ensemble di musica antica, Baroque2000. Ogni volta che entro in quella chiesa, e che passeggio nell'adiacente chiostro, quasi non mi rendo più conto di trovarmi in Africa, tanto è forte l'atmosfera di piccolo monastero europeo. Chissà, forse anche questo effetto "straniante", prodotto dalla determinata volontà di Franz Pfanner e i suoi monaci, è una delle chiavi del successo di Marianhill.