venerdì 21 ottobre 2016

L'antichità nell'Ovest Veronese: 7) Autunno 350 a.C.

Una tribù celtica sul piede di guerra

Siamo nell'autunno dell’anno 350 a.C. 
È un autunno particolarmente rigido e piovoso. È passato poco più di un secolo dalla nostra ultima corrispondenza, e la situazione è piuttosto cambiata: genti celtiche frequentano e abitano l'area del Garda e il circondario. Sono della tribù dei Cenomani e sono arrivati da qualche decina d’anni, quando una nuova ondata migratoria celtica si è riversata nella Pianura Padana da ovest. Già da secoli popolazioni di origine celtica vivevano nella Pianura Pa
dana centrale e occidentale, ma avevano pochi contatti con i Paleoveneti: i loro scambi commerciali avvenivano principalmente tra i valichi delle Alpi occidentali e la bassa pianura abitata dagli Etruschi. Ma qualche decennio fa, appunto, nuove migrazioni hanno sconvolto la situazione: le nuove popolazioni, spinte da un periodo freddissimo nel nord Europa che ha gelato raccolti e reso più difficile vivere oltre le Alpi, sono arrivate in Italia “affamate” di terra, di benessere, insomma sono arrivate con un’aggressività che la nostra pacifica Pianura Padana non conosceva più da molto tempo. Una tribù, addirittura, circa quarant’anni fa ha invaso il cuore dell’Etruria. Gli Etruschi hanno chiesto aiuto a Roma, che da qualche tempo è la più forte tra le città del Lazio, ma quando l’esercito romano è intervenuto è stato sonoramente battuto, e i celti sono scesi fin giù a Roma, saccheggiandola, salvo poi abbandonarla per tornare verso nord. I Romani li chiamano Galli, perché a detta loro vengono dalla Gallia.

Un abitato celtico di confine
Comunque, in questo periodo turbolento, noi siamo stati fortunati: tra le popolazioni celtiche di recente immigrazione, l'unica tribù che si è spinta fin qui a est è quella dei Cenomani, che è tra le più pacifiche. I Cenomani non hanno attaccato i Veneti (anche perché probabilmente i Veneti li avrebbero sconfitti), hanno semplicemente occupato un’area geografica di confine, stanziandosi in un piccolo abitato su un altura che chiamano Briks (Brescia) e poi popolando i territori circostanti, dal basso lago fin qui nel Veronese. E pensare che, secondo alcuni, i primissimi paleoveneti, quando erano ancora una popolazione povera e di recente immigrazione, vivevano proprio qui tra l’Adige e il Garda, mentre ormai già da secoli questo territorio è zona di confine per i Paleoveneti. Per questo non ci sono stati veri e propri scontri quando alcune genti cenomane sono venute ad abitare qua in zona.

Una famiglia di celti cenomani in buoni rapporti con
le popolazioni paleovenete del luogo
Qua nel Veronese infatti i Cenomani si sono integrati gradualmente, attraverso matrimoni e l’accettazione della cultura veneta preesistente. Va detto che, pur parlando una lingua diversa, gli usi e costumi dei Cenomani non sono poi così diversi da quelli dei Paleoveneti. Un’innovazione molto utile che i celti hanno portato è il carro agricolo: probabilmente i primi paleoveneti a utilizzarlo sono stati proprio quelli delle nostre zone. Una piccola differenza nella “moda” dei due popoli è che mentre gli uomini paleoveneti si radono i capelli, i celti se li lasciano crescere.

Probabilmente proprio in questi anni, grazie proprio all’immigrazione di famiglie cenomane, il territorio bussolenghese conosce nuovamente un popolamento. Ricomincia così a formarsi un sostrato socio-culturale sul nostro territorio, dopo essere stato per secoli territorio di confine probabilmente non abitato stabilmente. Questo nuovo sostrato è una graduale ma intensa integrazione tra la cultura veneta e quella celtica. Ed è proprio questa cultura che troveranno i Romani tra 150 anni, quando arriveranno qui.

giovedì 20 ottobre 2016

L'antichità nell'Ovest Veronese: 6) Anno 485 a.C. (2500 anni fa)

Esattamente 2500 anni fa la Pianura Padana era una tranquilla regione d’Europa in cui vivevano differenti popolazioni ognuna con propri usi e costumi. Come ho già raccontato nei precedenti post, il popolamento della Pianura Padana ha origini antichissime: essendo una regione ampia e pianeggiante, era uno dei primi territori europei attraversati addirittura fin dalle epoche dei primi ominidi provenienti dall’Africa, più di un milione di anni fa, e poi in tutte le epoche successive, da altre specie di ominidi, fino alla nostra specie, l’uomo moderno, che arrivò qui nelle nostre zone almeno a partire da 45.000 anni fa. Durante le epoche glaciali, il livello del Mare Adriatico era molto, molto più basso. La costa non era presso l’attuale Venezia, ma presso l’attuale Ancona o ancora più in giù: da lì in su era tutta pianura abitabile.

Comunque, torniamo a noi. Nell’anno 485 avanti Cristo, cioè esattamente 2500 anni fa, il villaggio preistorico di Bussolengo non esiste più già da molto tempo, pur essendo stato abitato in passato per oltre un migliaio d’anni (anche se con alcuni periodi intermedi di abbandono). Perché, quindi, è stato definitivamente abbandonato e dimenticato? Ho già accennato a una spiegazione nella conclusione dell’ultima corrispondenza, ma vale la pena tornarci su. Fu l’intensificarsi dei commerci e di un certo relativo benessere, già dai primi secoli del I millennio a.C., a rendere ormai inutile rimanere arroccati in piccoli villaggi contadini sulle creste collinari, che non potevano più ospitare comunità via via più grandi e diversificate. Crescevano nuovi villaggi più popolosi, il più vicino era Verona, e la gente preferiva andare a vivere in quei centri dove la vita era più agevole. In epoche lontane la Valpolicella
Dalle ricerche archeologiche (e letterarie) pare che
gli uomini paleoveneti usassero radersi i capelli a zero
era già stata sede di villaggi e di commerci, ma mai prima d’ora era successo uno sviluppo simile. In sostanza, era la fine della preistoria e l’inizio della cosiddetta protostoria, cioè la prima fase della storia, in cui le notizie scritte su un determinato popolo non sono giunte fino a noi da quello stesso popolo, ma comunque notizie scritte su di lui ci sono giunte da altri popoli più o meno a esso contemporanei. Ma cos’è che produsse questi nuovi commerci e benessere mai visti prima, e l’inizio del periodo (proto)storico nelle nostre zone? Beh, sostanzialmente fu l’arrivo di una nuova popolazione proveniente forse dall’Europa centro-orientale: i Veneti, o Paleoveneti. Proprio intorno agli anni in cui è ambientata questa corrispondenza, nasce lo storico greco Erodoto, che sarà il primo a parlare dei Veneti (Enetoi in greco antico) per la prima volta in un’opera storico-etnografica, e non associati a storie mitiche. Di scritte in antico venetico ne sono giunte fino a noi circa 400, frammentarie, soprattutto su oggetti votivi o steli funerarie, ma si è riusciti a tradurre molto poco. Eppure è proprio un’iscrizione in antico venetico che riporta il termine venetkens.

Siamo quindi nel 485 a.C. I Veneti, stanziatisi nella Pianura Padana orientale già da qualche secolo, stanno vivendo la loro epoca più florida. Qui sull’Adige e nella zona del Garda siamo verso i confini dell’area veneta, ma i paesi e villaggi paleoveneti sono benestanti anche qua, perché si trovano sulle vie di transito la cui importanza ormai ben conosciamo (all’incrocio delle direttive est-ovest e nord-sud, presso il lago di Garda, all’imbocco della val d’Adige), e inoltre Verona è ormai un centro paleoveneto di una qualche importanza. I Veneti in fondo hanno ripreso i commerci che già esistevano prima di loro, che fanno della nostra pianura, in quest’epoca, un crocevia importante tra il Mar Baltico del nord e il Mediterraneo (l’antica Grecia è già da secoli culla di commerci e cultura, e sta per entrare, è questione di qualche anno, nella stupenda età classica greca). Le popolazioni che abitavano la regione prima dell’arrivo dei Veneti, cioè gli Euganei e i Reti, sono decadute ma non si sono estinte: popolazioni euganee, ancora in questo anno 485 a.C., si possono trovare in villaggi sui rilievi collinari della Valpolicella, e i Reti hanno semplicemente arretrato i loro territori di predominio sulle Alpi e Prealpi. Il territorio dell'ovest veronese, a questo punto della storia già lo indovinerete, era in passato luogo frequentato sia da genti retiche (i Reti un tempo abitavano stabilmente la Valpolicella), sia euganee (il nome Euganei è stato appioppato loro dai Paleoveneti, ma in realtà gli Euganei altro non erano che le varie popolazioni di pianura, dal Veneto orientale al Garda). Gli Arusnati, poi, erano una popolazione che abitava la Valpolicella, probabilmente di cultura retico/etrusca: le origini di Reti ed Etruschi sono molto più connesse tra loro di ciò che si pensava in passato!
I Paleoveneti erano famosi per i loro bellissimi cavalli

I centri principali paleoveneti (qui da noi Verona, ma centri più importanti sono Este e Padova, a est) sono praticamente città-stato con territori ben definiti e dominati da un’aristocrazia. Se Verona comincia ad assumere le connotazioni di una piccola cittadina, con case dalla base in pietra, è probabilmente merito della civiltà paleoveneta. Qui da noi le aree collinari, come quelle montane, sono organizzate in distretti di tipo “cantonale”, ma ricordiamoci che l’area del Garda rimane anche in quest’epoca un territorio importante e ben sviluppato, anche se di confine.
E il territorio bussolenghese? È abitato nel 485 a.C.? Non abbiamo alcuna prova. La civiltà paleoveneta è una civiltà proto-urbana, cioè che concentra la popolazione principalmente in centri popolosi. Che ci sia qualche abitazione sparsa (o un villaggio) oppure no, questa zona è comunque parte integrante del mondo paleoveneto, con le sue peculiarità che lo distinguono da tutte le altre culture non solo della Pianura Padana, ma di tutta l’Italia protostorica: una società dedita al commercio con popolazioni vicine e lontane, permeata di forti credenze religiose, che produce espressioni artistiche di rilievo, armature e vestiti originali, produzioni bronzee e fittili, agricoltura e allevamenti di bestiame e soprattutto di cavalli, per i quali questo popolo sarà famoso ai tempi degli antichi Romani. La società paleoveneta inoltre è basata sulla parità dei sessi, a differenza della maggior parte delle comunità dell’Italia protostorica, che sono patriarcali.

Va detto inoltre che i Veneti hanno uno scambio di reciproche influenze, non solo commerciali ma anche culturali, con gli Etruschi, che in quest’epoca abitano anche la Pianura Padana: la vicina Mantova era popolata di abitati etruschi, quindi anche nelle nostre zone, oltre alla presenza di Reti, Euganei, Veneti, va sicuramente aggiunta anche la frequentazione etrusca. Per dire quanto siano in comunicazione tra loro questi popoli, basti pensare che le iscrizioni retiche dell’area prealpina e alpina sono dal punto di vista linguistico di derivazione etrusca! L’attrezzo a forma di spiedo ritrovato a Ca’ di Capri (nel 1672), verso il confine sud del territorio comunale di Bussolengo, porta incisa un’iscrizione retica. Ca’ di Capri si trova proprio lungo la direttiva viaria che da Verona conduce al lago di Garda meridionale. Questo ritrovamento conferma che il nostro territorio, nel V secolo a.C., è più che mai luogo di passaggio e crocevia delle principali culture dell’area padana e prealpina.

mercoledì 19 ottobre 2016

L'antichità nell'Ovest Veronese: 5) Il villaggio preistorico di Bussolengo (4000 anni fa)

In questa quinta tappa andremo a visitare il villaggio preistorico di Bussolengo, situato presso l’attuale località Gatto, su quei rilievi collinari detti "Ale" che degradano verso l’Adige a nord-ovest del territorio comunale bussolenghese: sono colline formate dal terreno trasportato dagli antichi ghiacciai, come abbiamo visto nel nostro viaggio precedente. Negli anni ’30 del secolo scorso queste colline vennero tagliate dai lavori di una “grande opera” (come si direbbe oggi) costruita durante il periodo fascista: il Canale Biffis. Durante i lavori, che distrussero la parte centrale del sito archeologico, vennero ritrovati alcuni reperti che vennero recapitati al Museo Civico di Storia Naturale di Verona. Ma il sito rimase abbandonato nel disinteresse generale fino a quando negli anni ’90 finalmente il nucleo operativo di Verona della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto condusse due campagne di scavo, che per la prima volta portarono alla luce almeno ciò che rimaneva dei resti del villaggio.

Prima di catapultarci nel villaggio di località Gatto, dobbiamo però spiegare cosa è successo durante i quasi 150.000 anni trascorsi dopo il nostro ultimo viaggio, quando ci eravamo lasciati alle prese con la glaciazione di Riss. Tra i due post precedenti (quello tra le foreste dell’Homo heidelbergensis e quello della glaciazione ) erano intercorsi ben 350.000 anni: una vastità di tempo che, misurandolo con la nostra storia umana, non riusciamo nemmeno a concepire. Eppure durante quel tempo (per noi infinito) l’evoluzione umana aveva visto pochi cambiamenti: c'era stata un'evoluzione, cognitiva e nel modo di vivere, ma abbastanza modesta.
La cosa più ragguardevole fu, secondo alcune teorie, l'evoluzione dell'Homo heidelbergensis in Homo neanderthalensis.
Gli uomini di Neanderthal, come vengono comunemente chiamati, si evolsero per adattarsi a un'Europa più fredda, come abbiamo visto nel precedente post, ma il loro stile di vita rimase invariato, per quanto ne sappiamo, per decine di migliaia di anni.

Poi, oltre 40.000 anni fa, successe qualcosa di rivoluzionario. Una nuova specie, in diverse ondate, emigrò in Europa: era la nostra specie, l'Homo sapiens. Questa specie portava con sé un'evoluzione cognitiva decisamente superiore a quella dei Neanderthal. Era evidente il solco che separava questa rivoluzionaria specie dagli altri ominidi rimasti nel mondo. Nel corso di poche decine di migliaia d’anni le altre specie di ominidi andavano verso l’estinzione, lentamente ma inesorabilmente. Forse, anche se non ci sono prove a riguardo, il principale motivo fu che la superiorità tecnologica e di organizzazione sociale della nostra specie, e la mancanza di integrazione tra le diverse specie di ominidi, fecero sì che l'Homo sapiens si accaparrasse le principali risorse naturali per la sopravvivenza, marginalizzando le altre specie fino a indurle a estinguersi nel giro di qualche decina di migliaia di anni (che a noi sembra comunque un tempo infinito, basti pensare: esisterà ancora l'uomo tra 10mila o 20mila anni nel futuro?). Essendo specie diverse, di norma un'unione sessuale interspecie dava origine a progenie non fertile. Eppure alcune recenti ricerche sostengono che le attuali popolazioni del sudest asiatico hanno in certe regioni fino al 5-6% di DNA in comune con l'antica specie di Homo denisoviano, mentre alcune popolazioni in Medio Oriente ed Europa avrebbero tra l'1 e il 4% di DNA in comune con gli antichi Neanderthal. Ciò significa che ci furono casi sporadici e "fortunati" in cui delle unioni sessuali tra Sapiens e Neanderthal o Denisoviani diedero origine a figli fertili, ma furono casi rari e isolati.
L’Homo sapiens decine di migliaia di anni fa, mentre direttamente o indirettamente costringeva le altre specie di ominidi alla marginalità dalla scena della Storia, seppe invece adattarsi a tutti i cambiamenti di climi, ambienti e situazioni, e anzi il suo adattamento divenne la sua forza: ora era in grado di dominare e colonizzare l’ambiente circostante, viaggiando ed emigrando in tutti i continenti. Nacquero aggregazioni sociali sempre più organizzate, che già almeno 40.000 anni fa, per esempio, producevano opere di pittura , musica e scultura di grande rilievo. A quell’epoca la Lessinia e la Valpolicella costituivano probabilmente una delle regioni più densamente popolate in Europa: al vecchio sito di Quinzano, che rimaneva abitato, si erano aggiunti altri piccoli centri e villaggi, tra cui quello della Grotta di Fumane era uno dei più fiorenti e oggi è considerato tra i siti preistorici più importanti in Europa. Ovviamente una tale densità abitativa portò con sé confronti sociali tra i villaggi e commercio. Insomma il nostro territorio è stato, nel suo piccolo, una fertile culla di civiltà fin da epoche remotissime.

Per dare un'idea del rapido successo della nostra specie, basti pensare che alla vigilia del neolitico, cioè intorno a 15.000 anni fa, mentre tutte le altre specie di ominidi si erano ormai estinte, si stima che la popolazione umana, diffusasi in tutto il mondo, fosse già tra i 5 e gli 8 milioni. Sorgono sospetti su come mai a una tale espansione della nostra specie corrispose la graduale estinzione di tutti i nostri "cugini" delle altre specie del genere Homo. Ma questo non è il luogo dove occuparsi di ciò. Poi avvenne la “rivoluzione neolitica”: la diffusione dell’allevamento e dell’agricoltura permise la nascita di innumerevoli culture regionali un po’ ovunque, che grazie ai commerci si trasferivano il sapere e le scoperte, anche a lunghe distanze. Fu come un effetto domino che accelerò in modo esponenziale il percorso dell’evoluzione umana. In alcune regioni si formarono società organizzate in modo tale da far nascere vere città, con i loro governanti, e poi veri e propri regni, come in Mesopotamia e in Antico Egitto.
Ma mentre il Vicino Oriente assisteva praticamente al nascere della storia umana, con l’uso della scrittura, guerre, conquiste, opere letterarie e costruzioni faraoniche come le Piramidi (faraoniche proprio nel senso letterale: edificate dai faraoni dell’Antico Egitto!), qui da noi, ancora intorno a 4000 anni fa, si era rimasti con i ritmi di vita della fase finale della preistoria, anche se alcune innovazioni, come l’uso di strumenti in bronzo, giunsero fin qui. Fu in questo periodo che venne a formarsi il villaggio di località Gatto.

Viaggiamo quindi nel tempo fino a esattamente 4000 anni fa: cioè nell’anno 1985 avanti Cristo, quando il nostro villaggio, almeno secondo le ricostruzioni archeologiche, doveva esistere già da un paio di secoli.
Ecco come forse poteva apparire un cacciatore
veronese di quattromila anni fa
A quel tempo tutto il territorio bussolenghese era cosparso di foreste, e sarebbe rimasto tale ancora per molti secoli a venire. Ci ritroviamo quindi in mezzo a una fitta foresta di latifoglie, proprio nel luogo dove oggi c’è il centro della cittadina di Bussolengo. Avanziamo un po’ a caso tra alberi, cespugli e rovi, senza avere una benché minima visuale di dove stiamo andando. Sui rami alti si sentono cinguettare molte specie di uccelli, e ogni tanto si sente qualche rumore tra le frasche, non lontano: qualche animale che, al nostro avanzare, cerca rifugio. Speriamo solo di non imbatterci in qualche cinghiale.

Ma dopo pochi minuti ci troviamo invece a tu per tu con un essere umano! Un cacciatore evidentemente, vestito di un indumento in pelle grezza, con calzari anch’essi in pelle fissati con dei lacci. Ha un piccolo arco a tracolla, e lance dalla punta in selce molto affilata. Anche lui sembra abbastanaza sbalordito, anche perché, nel nostro tentativo di vestirci in modo “preistorico”, indossiamo solo una specie di saio in tela grezza e calzature in cuoio grezzo ma ben cucito a macchina. Chissà che impressione gli faremo e chi si penserà di avere davanti. Dopo qualche minuto di imbarazzo e di tentativi di comunicare a gesti, deve rendersi conto che forse cerchiamo il villaggio, e con aria di forte disappunto, non riuscendo a capirci reciprocamente, ci fa cenno di seguirlo: dobbiamo avere interrotto la sua preziosa mattinata di caccia.

La nostra “guida” prosegue silenziosa e con passo svelto e sicuro, seguendo un sentiero che noi non sapremmo riconoscere. A un certo punto la foresta finisce, ma ci accorgiamo che è perché è stata disboscata: dobbiamo essere vicini. Il sentiero “invisibile” ora diventa poco a poco un viottolo e poi una stradina sempre più grande, che a un certo punto ne incrocia un’altra ancora più battuta: quest’ultima deve essere senz’altro una via percorsa dai commercianti, magari in direzione del Lago di Garda o della Valpolicella, zone densamente popolate all’epoca e luoghi di smistamento di diversi prodotti (come la selce dei Lessini, richiesta anche da regioni lontane fin da tempi antichissimi).

Oltrepassato infine l’ultimo boschetto, rimaniamo a bocca aperta: si tratta di un piccolo villaggio fortificato. Le case (o meglio, capanne in legno, argilla e frasche) sono costruite all’interno di un canalone che dalle colline moreniche degrada verso l’Adige, che scorre qualche decina di metri più in giù e che proprio qui sotto forma un’ampia ansa che genera un comodo guado. Ai bordi del fossato in cui si trova il villaggio è innalzata una resistente palizzata, che lo racchiude dai pericoli esterni. Da qui si sorveglia dall’alto il corso dell’Adige, cioè della principale via di commercio dell’epoca in questa regione. Mentre ci avviciniamo al villaggio, ancora fuori della palizzata, notiamo capre al pascolo, sorvegliate a vista da bambini pastori, e anche qualche appezzamento coltivato: spighe di grano.
Inoltre poco lontano, verso l’attuale Pastrengo, scorgiamo una colonna di fumo, che molto probabilmente si alza da qualche altro villaggio: evidentemente su queste colline c’è una rete di villaggi in comunicazione tra loro, che sfruttano queste zone come postazioni sicure, in vista sull’Adige e situate sul percorso che collega la Valpolicella con il Lago di Garda. Secondo l'archeologo Umberto Tecchiati questi villaggi, trovandosi in una regione di passaggio tra aree culturali diverse, dovevano avere caratteristiche miste appartenenti a diverse tipologie di villaggi preistorici: i villaggi palafitticoli del Garda, quelli fortificati del Trentino, e quelli della bassa pianura (i quali in seguito avrebbero dato vita alla cultura delle terramare). Insomma, già da allora questo territorio cominciava a essere una zona "di cerniera" tra culture regionali confinanti.

Nel frattempo il cacciatore, sempre muto, ci precede facendoci entrare nel villaggio. Gli abitanti, che erano intenti nei loro lavori, come la macellazione di animali e la macinatura di granaglie, si fermano guardando l’arrivo di questi strani individui. Stimiamo che il villaggio, con meno di dieci capanne, abbia alcune decine di abitanti e una buona parte sono bambini o ragazzi. I figli sono numerosi e l’età media degli abitanti ci sembra molto giovane. Probabilmente il passaggio di qualche commerciante estraneo non è una novità, ma dai loro sguardi capiamo che noi siamo percepiti come “strani”: sarà perché siamo condotti al villaggio da un loro membro che ha dovuto interrompere la sua caccia, o per come siamo vestiti: la maggior parte di loro è a torso nudo, o indossa pelle di animale conciata e consumata. L’impressione è quella di un piccolo villaggio abbastanza povero, molto contadino. Inoltre l’odore non è proprio piacevole: ci dev’essere un allevamento di maiali laggiù in fondo. Ma il terreno di calpestio è in terra talmente battuta e compatta da sembrare quasi un pavimento. Questo, ci sembra, garantisce un minimo di pulizia all’interno del villaggio.

Veniamo condotti davanti a una capanna un po’ più grande delle altre, dove un uomo brizzolato e pieno di rughe (che però potrebbe non avere più di 40 anni) ci squadra incuriosito. Il cacciatore gli parla brevemente, in un linguaggio così incomprensibile da non ricordarci nessun appiglio con alcuna lingua, moderna o antica. Il “vecchio” brizzolato, che probabilmente è il capo villaggio, si rivolge a noi e dà subito mostra di saperci fare con il linguaggio mimico e dei segni: evidentemente gli sarà capitato frequentemente di dover parlare con gente venuta da fuori che parla un altro linguaggio. Noi facciamo molta più fatica cercando di spiegare che siamo solo dei viandanti di passaggio, ma alla fine lui sembra capirci. Veniamo così invitati a fermarci a cenare al villaggio, come ospiti di riguardo.

Al centro del villaggio c’è un focolare, che viene acceso e alimentato con rami portati dalla foresta. Sul fuoco viene messa ad arrostire della carne, alcuna cacciata in giornata, altra di maiale dall’allevamento. Il sole è ancora in cielo quando tutti sono già seduti attorno al focolare, accovacciati su panni di pelle messi per terra. Gli sguardi di questa gente, vivaci, attenti, curiosi di ogni nostro minimo movimento, smentiscono ogni stereotipo sulla “ottusità” dell’uomo “primitivo”. Questi uomini, donne e ragazzi non sono affatto primitivi, sembrano molto più svegli e in gamba di tanti umani d’oggi, spesso impalati davanti al computer o alla televisione. La carne è molto buona, si vede che è naturale e senza conservanti! In compenso la verdura, una specie di insalata, mi è sembrata amara, ma almeno so che non è inquinata! Mentre i bambini si allontanano a giocare schiamazzando, diversi adulti (quasi tutti di giovane età) cercano di capire da dove veniamo e dove andiamo… Per fortuna il fatto di esprimerci a gesti ci permette di non inventare strane storie, e così facciamo finta di non essere in grado di spiegarci bene. Probabilmente credono che veniamo da molto lontano, non avendo mai visto tipi così. Per la notte veniamo fatti alloggiare nella capanna del capo villaggio. Solo un telo separa l’angolo del nostro giaciglio dal resto della capanna, abitata dalla sua famiglia, in una promiscuità a cui oggigiorno non siamo più abituati.

Ma la semplicità contadina di quella gente, e le loro attenzioni nei riguardi di ospiti estranei non ci sono sembrate molto diverse da altre simili realtà dei nostri tempi. Il fatto che noi li consideriamo “primitivi” è solo una conseguenza errata della comodità di classificare le epoche, dove quindi le
epoche precedenti all’invenzione della scrittura (o della scrittura come la intendiamo noi) sono state definite preistoria. Quel villaggio sulle Ale di Pol era certamente abitato da una comunità povera e di sussistenza, ma diverse migliaia di anni prima, in altre parti d’Italia e d’Europa, erano già esistite altre comunità che avevano fatto fiorire la cultura, le arti, il commercio, i culti religiosi, e poi magari erano decadute. Quindi già migliaia di anni fa nascevano “civiltà evolute” (addirittura pare che già da almeno 5000 anni prima di Cristo molti popoli europei avessero piena consapevolezza dei fenomeni astronomici!), che poi decadevano e si alternavano con “comunità di sussistenza” (qui un esempio tra tanti). Il fatto che non usassero la scrittura a cui noi siamo abituati (ma magari altre forme di pittografia) non significa che per certi aspetti non pensassero e agissero in modo “moderno” come noi.

Anche quel villaggio “preistorico” bussolenghese nel corso dei secoli vide periodi di popolamento alternati a periodi di decadenza o abbandono. Venne infine abbandonato per sempre soltanto quando le condizioni storiche furono mutate radicalmente, verso la prima metà del primo millennio avanti Cristo: si era allora in piena età del ferro , e la diffusione di quell’importante metallo, soprattutto in un centro già molto attivo com’era Verona (una delle città più antiche d’Italia, già dotata di case in pietra nel primo millennio a.C.), pose fine alle ultime comunità chiuse nel proprio guscio. Villaggi come quello di località Gatto scomparivano perché non aveva più senso arroccarsi in un villaggio fortificato per difendersi da fiere feroci che non esistevano più. Nuove popolazioni venute da fuori, ognuna con una propria cultura, stavano facendo fiorire i commerci come mai prima. Finivano quindi definitivamente gli ultimissimi residui isolati della preistoria.


* I contenuti di questo articolo non sono frutto di fantasia, ma sono elaborati prendendo a riferimento le scoperte archeologiche in seguito agli scavi effettuati dal nucleo operativo di Verona della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto.

martedì 18 ottobre 2016

L'antichità nell'Ovest Veronese: 4) La glaciazione di Riss (150mila anni fa)

Nel nostro peregrinare nella preistoria siamo giunti a 150mila anni fa, in piena glaciazione di Riss . Le grandi glaciazioni che in epoche preistoriche colpirono le nostre zone (come il resto del mondo) furono molte. Ma tra le più recenti, quella che almeno nella nostra regione raggiunse i picchi più duri sembra essere stata proprio la glaciazione di Riss.

Homo neanderthalensis
A quell’epoca si era in pieno paleolitico (secondo le moderne suddivisioni della preistoria). Mentre in Africa, in regioni più calde (che in quel periodo dovevano avere un clima temperato), viveva già la nostra specie, l’Homo sapiens, che in seguito si sarebbe propagata per il mondo dando vita alla nostra storia umana, qui da noi il clima era letteralmente glaciale. C’è chi ritiene che diverse popolazioni di Homo heidelbergensis, che abbiamo incontrato nello scorso viaggio, proprio a causa di glaciazioni come queste si stessero lentamente disperdendo ed estinguendo, mentre altre, riuscendo a sopravvivere, si stessero evolvendo (nel corso di centinaia di migliaia di anni!) dando vita a nuove popolazioni, conosciute come Uomo di Neanderthal, che anche in questi periodi glaciali riuscivano a vivere nella fredda Europa. Pare che l’antichissimo sito preistorico di Quinzano, qui vicino, fosse abitato anche durante la glaciazione di Riss, sicuramente grazie al fatto di trovarsi in una ottima posizione, sulle pendici collinari più basse, esposte al sole durante tutto il giorno. Inoltre è ormai assodato che gli uomini di Neanderthal avevano già l'abilità di cucire vestiti in pelle, e calzari per proteggere anche i piedi dal suolo ghiacciato. Ma va detto che gli ominidi a queste latitudini riuscirono a sopravvivere alle glaciazioni probabilmente solo grazie alla loro capacità di padroneggiare l'uso del fuoco e dei focolari: fu grazie a questa abilità (unici a riuscirci tra tutti gli esseri viventi) che non solo sopravvissero a periodi difficili, ma posero le basi per un’evoluzione che nel giro di poche centinaia di migliaia d’anni (un tempo tutto sommato breve nell’arco dell’evoluzione in natura) sarebbe diventata travolgente, arrivando all’uomo moderno e a noi.

Ma torniamo alla dura realtà della glaciazione di Riss: l’impatto di trovarci immersi in quell’ambiente per noi sarebbe spaventoso. Il territorio dell'ovest veronese non doveva essere molto dissimile dall’attuale Groenlandia! Trovandoci lì in piena estate, sarebbe normale essere accolti da temperature vicine agli zero gradi! Il paesaggio era dominato a ovest da un imponente ghiacciaio, che provenendo dal bacino del Garda arrivava proprio fin qui, fino a occupare tutta la parte occidentale del territorio bussolenghese, per intenderci dove oggi ci sono le colline moreniche del Garda e i loro degradanti pendii verso la pianura. Infatti le colline moreniche altro non sono che terra e sassi trascinati dalle morene del ghiacciaio, cioè dalle lingue di ghiaccio che venivano a “morire” proprio qui dopo aver attraversato gli immensi ghiacciai delle Prealpi. Detto così è un conto, ma trovarsi di fronte a una montagna di ghiaccio enorme fa tutt’altro effetto, è come trovarsi improvvisamente in Antartide!

Se il ghiacciaio arrivava fino alle attuali colline, il resto del territorio era tundra gelata. Delle immense foreste che abbiamo visitato nel nostro viaggio precedente non c’era più nessuna traccia, anzi pare impossibile che in questo stesso luogo potessero essere mai esistite. Questo fu probabilmente il clima più inospitale che il nostro territorio veronese abbia mai visto. Nel periodo estivo, quando la morsa del gelo si allentava un po’, sarebbe stato possibile forse vedere branchi di renne e di mammut che pascolavano la flora tipica della tundra, cioè arbusti, licheni e muschi.

Però fu da quell’ambiente, per quanto inospitale, che nacque l’ambiente attuale che noi abitiamo: il ghiacciaio che occupava il bacino del Garda alla fine delle glaciazioni si sciolse e, grazie alla “diga” delle colline moreniche formate dal terreno spostato dal ghiacciaio, il ghiaccio sciolto invece di scivolare tutto via con i fiumi si accumulò nel bacino, formando il più grande lago d’Italia, il nostro bellissimo Lago di Garda.

L'antichità nell'Ovest Veronese: 3) I primi ominidi (500mila anni fa)

In questo terzo viaggio nella preistoria veronese ci attende un incontro molto importante, quello con i primi ominidi stanziati in queste zone, già intorno al mezzo milione di anni fa: a Quinzano è attestato il più antico sito umano preistorico di tutto il Triveneto, risalente al paleolitico inferiore. È ovvio dedurre che quegli antichissimi abitanti pescassero nell’Adige e che facilmente arrivassero a cacciare anche qui nelle nostre zone, che distano pochissimi chilometri.

Va detto subito che la Pianura Padana, già più di un milione di anni fa, fu uno dei primissimi luoghi di immigrazione degli ominidi dall’Africa all’Europa, come testimoniano sempre nuove scoperte (per esempio il sito di San Lazzaro di Savena, verso Bologna, con resti risalenti appunto a oltre un milione di anni fa). Quindi è del tutto probabile che già in quelle epoche assai remote transitassero ominidi nelle nostre zone, dato che, come ormai è noto, ci troviamo in una posizione geografica di transito e oltretutto da sempre privilegiata per lo stanziamento umano, soprattutto qui, vicino alle colline prealpine, un luogo ottimale e di facile insediamento, preferito alla bassa e piatta pianura che in epoche lontane era meno ospitale e meno sicura, disseminata di foreste selvagge o di paludi, a seconda delle zone e delle epoche.

Quindi abbiamo puntato la lancetta del tempo a mezzo milione di anni fa (cioè 500mila anni fa), sperando di riuscire a scoprire chi erano i primissimi veronesi “residenti”. Abbiamo deciso di recarci vicino al corso dell’Adige e verso i limiti orientali dell’attuale territorio bussolenghese. Questo perché proprio qui c’era un guado sul fiume (come c'è oggigiorno), che si prestava come luogo facile di pesca. L’Adige non era più quel fiume incassato in un canyon che avevamo visto nel nostro precedente viaggio, cinque milioni di anni prima. Durante questo lunghissimo tempo (infinito per noi umani) la Pianura Padana era stata invasa dal mare per centinaia e centinaia di migliaia di anni (non qualche secolo!) e questo aveva portato all’accumulo di sedimenti sul fondale, a cui poi si erano aggiunti i detriti trasportati dai fiumi quando il mare si ritirò: gli antichi canyon vennero sepolti e si formò la Pianura Padana. Il clima si raffreddò notevolmente, e quindi il paesaggio che troviamo stavolta è una vera e propria foresta temperata, ma incolta, selvaggia.
Una foresta temperata selvaggia doveva
probabilmente ricoprire il territorio
collinare veronese mezzo milione di anni fa

Per non rischiare di fare incontri ravvicinati con lupi, cinghiali o, chissà, addirittura orsi preistorici, abbiamo portato una di quelle tende che si possono montare sui rami alti degli alberi, usate dai naturalisti per le loro osservazioni. Ci siamo così appollaiati in alto tra i rami, con una bella visuale su tutta l’ansa dell’Adige. Abbiamo vissuto per parecchi giorni proprio come degli avventurosi naturalisti, facendo di necessità virtù e scoprendo che la “foresta bussolenghese” di 500mila anni fa era ricca di vita: volpi, scoiattoli e una grande varietà di uccelli. Con il binocolo poi abbiamo potuto scorgere in lontananza, dove la foresta si diradava in spazi più aperti, grandi cervi dalle corna enormi.

Homo heidelbergensis
Ma dopo più di una settimana vissuta così, appollaiati per aria anche di notte in attesa di scorgere ominidi, eravamo ormai stanchi e rassegnati ad andarcene, quando proprio all’ultimo giorno li abbiamo visti. È un gruppo di quattro individui nudi, che camminano lungo la riva opposta, provenendo proprio da est, dalle zone di Quinzano. Senz’altro devono essere della specie pre-sapiens chiamata Homo heidelbergensis , protagonista della cosiddetta antichissima "cultura acheuleana" . Visti da lontano non hanno affatto l’aspetto fisico di ominidi primitivi, anzi: questa specie ha il merito di aver compiuto un grande balzo avanti nell’utilizzo di strumenti più elaborati, e anche nell’acquisizione di uno stile di vita praticamente già in tutto simile a quello dei futuri Homo sapiens (la nostra specie), come hanno dimostrato alcune recenti e rivoluzionarie scoperte . I quattro cacciatori portano con sé delle rudimentali lance e una sorta di rozza ma voluminosa bisaccia fatta di pelle di qualche animale. Giunti al guado ci sembra che si scambino qualche indicazione, che non udiamo. Comunque pare che questi siano stati tra le prime specie di ominidi in grado di articolare un linguaggio vero e proprio, anche se molto semplice. Nel frattempo si sono immersi nell’acqua fino ai polpacci e hanno cominciato a pescare, conficcando le lance appuntite tra i flutti: in pochi minuti hanno già preso i primi pesci e in poco più di mezzora riempiono quella specie di bisaccia, escono
dall’acqua e si avviano sulla strada del ritorno. Non era una battuta di caccia grossa, evidentemente, ma una semplice pesca “di routine”. Ma a noi è bastato, per scoprire chi erano i primi abitanti delle nostre zone, mezzo milione di anni fa.

L'antichità nell'Ovest Veronese: 2) Il "Grand Canyon" dell'Adige (5,5 milioni di anni fa)


Dopo la Tetide tropicale di 50 milioni di anni fa, stavolta ci catapultiamo in un passato relativamente meno remoto, anche se comunque parliamo di 5.500.000 anni fa (5,5 milioni): un tempo sempre inimmaginabile se messo a confronto col velocissimo scandire delle generazioni umane. Era l’epoca chiamata Miocene.

Sono passati 45 milioni di anni dalla nostra precedente corrispondenza, e in un lasso di tempo così immenso qualcosa deve pur essere cambiato! In effetti è così: dinanzi a noi abbiamo finalmente le Alpi, innalzatesi lentamente in tutto quel tempo a causa di immani sommovimenti della crosta terrestre. Tutto lo scenario marino ora si è trasformato in terraferma, grazie al fatto che in quest’epoca il Mediterraneo era
un bacino chiuso e quasi del tutto prosciugato, come un’immensa e profonda salina! Qui nelle nostre zone l’antico clima tropicale aveva lasciato spazio a un clima più secco, proprio a causa dell’evaporazione del Mediterraneo.

Ma ciò che ci lascia a bocca aperta è che queste Prealpi non assomigliano per niente a quelle che noi conosciamo: sono montagne alte e aspre, rocciose, brulle, ricordano le montagne di un paesaggio desertico e selvaggio. E degradano gradualmente fino a scendere con gli ultimi declivi proprio nel territorio dell'ovest veronese. E, altra sorpresa, compare per la prima volta il fiume Adige: un Adige preistorico che attraversa queste nostre zone nel solco di una sorta di canyon roccioso.
Per capire meglio com’è possibile, sorvoliamo in elicottero il fiume fino alla zona dell’attuale Garda. Il lago non esisteva, al suo posto passava proprio il corso dell’Adige, che usciva dalle Prealpi attraverso un canyon profondo, che ci fa venire in mente veramente il Grand Canyon del fiume Colorado. Atterrati su un pianoro roccioso, scendiamo a piedi giù per un pendio ripido e scosceso, verso la riva dell’Adige, portandoci dietro un gommone gonfiabile che avevamo a bordo dell’elicottero. Giunti sulla riva notiamo che la corrente è molto veloce e quindi abbiamo la conferma che il primitivo Adige sta scavando le giovani rocce alpine con una potenza considerevole. Il tutto quadra: essendosi abbassato addirittura di parecchie centinaia di metri il livello marino, i fiumi di quell’epoca dovevano percorrere un dislivello molto maggiore di oggi e questo li portava a solcare con molta più incisività il terreno, producendo questi spettacolari canyon. In pratica, il letto roccioso dell’attuale Lago di Garda è stato scavato dalle acque tumultuose di quell’Adige preistorico!
Il bacino del Mediterraneo quasi disseccato, durante il cosiddetto Periodo Messiniano (tra 7 e 5,5 milioni di anni fa)


Decidendo di rischiare, montiamo sul gommone, ci spingiamo nella corrente e facciamo rafting per un po’. Riusciamo con non poca difficoltà a costeggiare la riva, fino a quando notiamo una piccola ansa dove l’acqua è un po’ più calma e sbarchiamo. Decisamente non era il nostro placido Adige di oggi! A un certo punto vediamo un piccolo mammifero simile a una martora
 balzare dentro e fuori dell’acqua. Quindi ci arrampichiamo lungo l’argine del canyon, ora già più basso, e giunti sul pianoro qualche decina di metri più in su rimaniamo desolati: davanti a noi solo una distesa selvaggia di piante basse e arbusti, su un terreno assai poco fertile. Si tratta di specie chiaramente resistenti alla scarsità d'acqua (l’Adige scorre molto più in basso). Animali, pochi: qualche uccello che cinguetta all’ombra, qualche lucertolone steso al sole, incurante della nostra presenza, forse non temendoci perché evidentemente non ha mai visto animali simili a noi (a quel tempo i più ancestrali ominidi, gli ardipitechi, vivevano solo in Africa).

Abbiamo visto abbastanza. Siamo passati da un oceano tropicale nel nostro precedente viaggio, a delle distese degne del Grand Canyon… Tutte queste trasformazioni sono avvenute nelle nostre zone (certo, nel corso di milioni di anni). Non si tratta di un’invenzione, la geologia e la scienza oggi ci confermano che fu proprio così. Chi l’avrebbe mai detto?

L'antichità nell'Ovest Veronese: 1) All'epoca dei fossili di Bolca (50 milioni di anni fa)

Immaginate di essere nella zona occidentale della provincia di Verona, ma di affacciarvi alla finestra e non vedere più i Monti Lessini e il Monte Baldo, né il fiume Adige, né le colline moreniche attorno al Lago di Garda, e neppure le pianure della Valpolicella e della Bassa Veronese, e scoprire di trovarvi invece in un arcipelago in mezzo a un oceano tropicale, scorgendo lì attorno soltanto qualche atollo corallino e, in lontananza, qualche vulcano che si erge da una costa bassa e paludosa: sembra impossibile, eppure questo è l’aspetto che hanno avuto le nostre zone per milioni e milioni di anni, un arco di tempo che non riusciamo nemmeno a concepire in confronto ai tempi della storia o anche della preistoria umana.

Nel corso di queste distese infinite di tempo la Terra ha subìto immani cambiamenti di climi e di ambienti. Oggi si parla di riscaldamento globale, ma la Terra decine e centinaia di milioni di anni fa era molto più calda di oggi e per questo, non esistendo ancora nemmeno le Alpi, il territorio che oggi noi calpestiamo nella Pianura Padana era il fondale di un mare tropicale. Abbiamo quindi deciso di muoverci non nello spazio ma nel tempo, per documentare questo paesaggio che esisteva dove oggi viviamo noi, scegliendo una data tonda: 50 milioni di anni fa. Per intenderci era l’epoca a cui risalgono i fossili di Bolca , l’epoca geologica chiamata Eocene. Per essere chiari, le nostre zone avevano questo aspetto tropicale da ben prima, da centinaia di milioni di anni. Basti pensare alle impronte di dinosauro trovate vicino a Rovereto e impresse nella pietra da ben 200 milioni di anni: a quel tempo la pietra era probabilmente terra melmosa, in un clima e in un ambiente tropicale. Tra l'altro, anche sul Monte Solane, in Valpolicella, sulle prime pendici montane dell'Ovest Veronese, sono stati ritrovati fossili risalenti all'Eocene.

Eccoci quindi catapultati a 50 milioni di anni fa: un clima caldo e umido ci accoglie, sembra di essere all’interno di una serra tropicale. Il mare in cui ci ritroviamo era la famosa Tetide, quell’oceano preistorico che esisteva da epoche immemorabili, ancora prima dei tempi dei dinosauri (fin da oltre 250 milioni di anni fa). 50 milioni di anni fa però i dinosauri erano già estinti da una quindicina di milioni di anni. Quello che non molti sanno è che una piccola stirpe di dinosauri riuscì a sopravvivere all’estinzione di massa, a diversificarsi e a proliferare in seguito: gli uccelli. Infatti, una volta balzati in quel mare di 50 milioni di anni fa, notiamo uno stormo di grossi e strani uccelli a noi sconosciuti (forse oggi evoluti in pellicani?), gracchianti sopra l’atollo e sulle nostre teste.

Eoplatax papilio, uno dei numerosi fossili dei giacimenti di Bolca,
sugli attuali Monti Lessini, fossili perfettamente conservatisi
a distanza di 50 milioni di anni
Dopo aver navigato per un po' in questo antichissimo mare tropicale, lasciamo la barca per attraversare con un piccolo gommone una barriera corallina e addentrarci in una zona semipaludosa: a un certo punto, a pochi metri da noi, scorgiamo il netto profilo di un coccodrillo scivolare sulla superficie dell’acqua. I coccodrilli sono in effetti animali antichi quanto i dinosauri (legati a loro da qualche parentela) e alcune specie sono sopravvissute all’estinzione di massa che spazzò via i grandi rettili. Dopo esserci ripresi dal batticuore, favorito tra l’altro anche dall’aria umida e pesante, proseguiamo addentrandoci col gommone attraverso una lussureggiante vegetazione tropicale, tra grossi insetti (molte libellule) e variformi uccelli. Avvistiamo anche alcune belle tartarughe sulla riva. E poi anche palme molto robuste, che crescevano imponenti e rigogliose.

L’unico peccato è che non abbiamo potuto vedere altri animali che a quell’epoca vivevano sulla terraferma, come i primi grossi mammiferi terrestri e i più antichi primati antropoidi (lontani antenati delle scimmie e anche di noi umani). Ma d’altronde queste zone a quell'epoca non erano certamente il loro habitat, come abbiamo constatato anche personalmente: la nostra intenzione era infatti di scendere dal gommone e provare a raggiungere a piedi le falde di un piccolo vulcano non molto distante. Ma il terreno è talmente instabile, con tratti melmosi e paludosi nascosti ovunque in una vegetazione selvaggia, che abbiamo deciso che si tratta di un tentativo rischioso e impraticabile. Inoltre la respirazione è diventata difficile a causa delle esalazioni vulcaniche disperse nell’aria. Insomma, è proprio il caso di dire che non era ancora un ambiente adatto agli uomini!

Il sole comincia a tramontare tingendo il cielo di rosa, mentre in lontananza all’orizzonte compaiono grigi nuvoloni. Decidiamo così di ritornare alla barca e solcare per un’ultima volta il mare aperto, il nostro mare tropicale. Nostro, perché riflettendoci, tra le rocce di quel fondale marino di 50 milioni di anni fa, in intensa attività magmatica, era già in atto un lentissimo processo che avrebbe portato alla formazione della catena alpina: quel fondale marino era già il suolo dei Monti Lessini e del Monte Baldo che oggi vediamo affacciandoci alla finestra.