Nel conflitto tra israeliani e palestinesi ricorre sempre la rivendicazione dei torti e delle ragioni. La madre delle rivendicazioni è la terra: i Palestinesi dicono che questa è la loro terra e che gli Israeliani, dalla nascita dello Stato di Israele e anche da prima, gliela stanno portando via. La maggior parte degli Israeliani, dal canto loro, ritiene che questa era la loro terra fin dai tempi biblici.
In realtà questi discorsi, che siano in buonafede o in malafede, sono un po' come il quesito se sia nato prima l'uovo o la gallina, e la conseguenza peggiore è quella che vediamo da anni: morte di tantissime persone. Per capire quanto assurde siano queste rivendicazioni, vediamo di fare una ricapitolazione storica.
Secondo gli archeologi nel secondo millennio avanti Cristo i futuri israeliti vivevano nell'attuale terra di Israele, ma non si distinguevano dalle popolazioni della regione: tutte vivevano secondo usanze simili, e in seguito sarebbero state chiamate genericamente Cananei (anche i Fenici erano di origini "cananee").
Intorno al 1200 avanti Cristo, nuove popolazioni di origini indoeuropee vennero dal mare, probabilmente dall'area micenea: i Filistei. I Filistei si stanziarono su tutta l'area pianeggiante costiera e mantennero il dominio della regione grazie alla loro superiorità tecnologica: avevano armi di ferro, mentre i Cananei usavano ancora armi di bronzo.
Nel frattempo gli Ebrei cominciarono a distinguersi dagli altri cananei come un popolo con proprie caratteristiche e usanze, si organizzarono con propri leader guerrieri e gradualmente presero il controllo delle regioni interne, sugli altopiani, facendo di Gerusalemme la loro capitale intorno al 1000 avanti Cristo, durante il regno di David.
Tra l'VIII e il VI secolo avanti Cristo, con le invasioni assire e babilonesi, i Filistei decaddero come nazione e come popolo, finendo assorbiti dalle popolazioni locali. Gli Ebrei invece, pur venendo conquistati dagli stranieri, mantennero la loro identità di popolo. Ma i Greci continuarono a chiamare quella regione Filisteia, dal nome degli antichi Filistei. Il termine ebraico per Filisteia era Pheleset, da cui i Romani coniarono il termine Palaestina. Tuttoggi in lingua araba si dice Filastiin.
Sotto l'Impero Romano gli Ebrei si ribellarono diverse volte. Nel 70 dopo Cristo una violenta rivolta degenerò in una guerra al termine della quale i Romani distrussero il Tempio di Gerusalemme (l'attuale Muro del Pianto è tutto ciò che resta). L'imperatore Adriano volle inquadrare completamente la Provincia Giudea tra le istituzioni dell'impero, ma un leader rivoluzionario ebreo, Simon Bar Kochba, si proclamò Messia e si mise alla testa di una rivolta che avrebbe voluto ripristinare il regno messianico di Israele. Ne seguì un'altra guerra che durò tre anni (132-135) e che si concluse con centinaia di migliaia di ebrei uccisi e con la distruzione di Gerusalemme, che venne ricostruita come colonia romana col nome di Aelia Capitolina. Adriano cambiò il nome della provincia in Syria Palaestina, dal nome degli antichi nemici degli Ebrei: i Filistei (anche se non esistevano più). Agli ebrei sopravvissuti venne proibito di entrare in Gerusalemme, e fu così che molti se ne andarono: si intensificò la diaspora, che già era in atto da tempo. Solo due secoli dopo l'imperatore Costantino permise agli Ebrei di tornare a Gerusalemme per pregare e "piangere" sul famoso Muro del Pianto. Lo stesso Costantino, nella sua politica di riabilitazione del cristianesimo quale religione riconosciuta dell'impero, diede disposizioni per la costruzione di chiese cristiane in Gerusalemme, tra cui la Basilica del Santo Sepolcro, e prese vita la riscoperta dei luoghi dove sarebbe vissuto Gesù Cristo tre secoli prima.
Nel frattempo la storia andava avanti. Fino al VII secolo la Palestina rimase sotto l'Impero Romano d'Oriente, poi una nuova forza emerse nella regione mediorientale: l'Islam. I califfi arabi successori di Maometto conquistarono la regione e chiamarono Gerusalemme "al-Quds": "la Santa". Infatti, cosa che a noi può sembrare incredibile, l'islam nacque incorporando anche la storia ebraica come parte della propria. Nel Corano Mosè è citato moltissimo ed è considerato un grande profeta, e lo stesso Corano parla dei "Figli di Israele" come discendenti del profeta Abramo. Tra il 687 e il 691 venne costruita la Cupola della Roccia, sul luogo dove secoli prima era esistito il Grande Tempio ebraico. Al suo interno, una roccia è oggetto di venerazione in quanto sarebbe il luogo dove Abramo era sul punto di sacrificare il figlio Isacco prima di essere fermato da Allah (per i musulmani) o Yahweh (per gli ebrei). Inoltre la stessa roccia secondo i musulmani sarebbe il luogo dove Maometto sarebbe giunto dopo un miracoloso viaggio notturno, e da lì in poi sarebbe diventato Messaggero di Allah (in realtà Maometto non mise mai piede a Gerusalemme). La Cupola della Roccia e la contigua Moschea di al-Aqsa sono considerate tuttoggi dai musulmani sunniti come il terzo luogo più sacro, dopo la Ka'ba e la Moschea del Profeta, in Arabia.
I secoli passavano e in Gerusalemme convivevano ebrei, cristiani e musulmani. Sotto i califfati arabi l'islamismo si diffuse nella regione, ma ci fu sempre una reciproca tolleranza tra le tre "fedi del Libro" (ebraismo, cristianesimo e islamismo), le cui credenze avevano diversi punti di contatto tra loro. Non a caso Gerusalemme è considerata la capitale della Terra Santa. La guerra fu portata dall'Europa durante l'epoca delle Crociate, quando la Moschea di al-Aqsa venne per diversi decenni trasformata in quartier generale dei cavalieri Templari, che presero il proprio nome proprio dalla convinzione di trovarsi presso le rovine dell'antico Tempio di re Salomone.
Poi si affacciò sulla scena una nuova superpotenza: l'Impero Ottomano turco, che controllò tutta la regione per molti secoli, addirittura fino alla prima guerra mondiale.
Nell'Ottocento, epoca della nascita degli Stati-nazione, anche gli ebrei sparsi per il mondo cominciarono a pensare a un loro Stato nazionale. L'immigrazione di ebrei nella Terra Santa, sotto dominio ottomano, avveniva già da tempo, ma era solo di natura religiosa. Invece nell'Ottocento, anche in seguito a episodi di violenza antisemita, ebrei laici cominciarono ad affermare che gli Ebrei avevano diritto a una loro patria, come tutti gli altri popoli. Intorno alla metà del secolo nacquero iniziative in questo senso, con fondazione di organizzazioni filantropiche a sostegno degli ebrei e pubblicazioni di saggi sul tema. A partire dal 1880, importanti e ricche famiglie (Rothschild, Hirsch) finanziarono l'immigrazione ebraica in Palestina, per la prima volta con l'obiettivo di creare nuovi insediamenti, nuove comunità agricole, chiamate kibbutz. L'Impero Ottomano, la cui amministrazione era ormai debole, non pose freni a queste prime piccole (e quasi insignificanti) ondate migratorie.
Le cose cominciarono a farsi serie a partire dal 1897. In quell'anno il giornalista, scrittore e avvocato Theodor Herzl, ebreo ungherese di lingua tedesca, fondò il Movimento Sionista, con l'obiettivo dichiarato di fondare una patria per gli Ebrei. Il nome deriva dal monte Sion, sui cui era nato il primo nucleo della antica Gerusalemme. Il movimento sionista si dimostrò da subito attivissimo nel cercare potenti sostenitori alla causa, in tutto il mondo.
Intanto, a cavallo tra Ottocento e Novecento centinaia di migliaia di ebrei emigrarono dall'impero russo per fuggire dai pogrom antisemiti. La maggior parte si disperse per il mondo, e solo alcune decine di migliaia di ebrei decisero di immigrare in Palestina in quegli anni. Secondo indagini demografiche effettuate intorno al 1920, all'epoca in Palestina vivevano circa 700.000 abitanti, una popolazione inferiore a quella che abitava quest'area in epoca romana. Tra questi, i 4/5 erano musulmani e il restante della popolazione era grosso modo metà cristiana e metà ebrea, compresi gli ebrei immigrati nei 40 anni precedenti. L'economia era povera, basata sui possedimenti di latifondisti arabi.
Nel dicembre 1917 la prima guerra mondiale sta per terminare, l'esercito britannico ha sconfitto l'esercito ottomano ed entra vittorioso a Gerusalemme. È in questo scenario che il ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour, scrive una lettera al filantropo sionista Lord Rothschild in cui afferma che "Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico". Al termine della guerra la Palestina e la Giordania vennero amministrate dalla Gran Bretagna, che confermò l'intenzione di creare per il futuro uno Stato ebraico accanto a uno Stato arabo. La situazione cominciò già a peggiorare dagli anni '20: parallelamente all'afflusso di ebrei, ci fu un'immigrazione araba dalle zone vicine, di persone attratte dai salari piu alti. Ma i kibbutz, gli insediamenti di questi nuovi ebrei di recente immigrazione, si basavano su un'economia agricola autosufficiente, che escludeva totalmente qualsiasi rapporto con la manodopera araba. I rapporti tra questi due mondi così diversi si fecero sempre più tesi e finirono per sfociare nei primi scontri tra ebrei e arabi, il primo grave avvenuto nel 1929, con molte vittime da entrambe le parti. I britannici intervennero anche duramente per sedare gli scontri, ma negli anni '30, con l'avvento del nazismo, l'immigrazione ebrea diventò massiccia, anche perché in tutto il mondo i Paesi chiudevano le frontiere a causa della grande crisi economica degli anni '30. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale l'afflusso di immigrati ebrei che fuggivano dall'Europa aumentò ancora di più. I britannici avevano messo un limite al numero di immigrati, così furono moltissimi gli immigrati ebrei clandestini, e organizzazioni paramilitari ebree come la Banda Stern o l'Irgun di Menachem Begin (futuro premier israeliano) giunsero ad aggredire i britannici, militari e civili, e furono dichiarate organizzazioni terroristiche da parte della comunità internazionale. Altre organizzazioni, come l'Haganah di David Ben Gurion (che di lì a poco sarebbe diventato il primo premier di Israele), si limitavano allo scontro aperto contro i palestinesi.
Nel maggio 1947 la Gran Bretagna annunciò il ritiro entro un anno da questa regione diventata incontrollabile. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU votò una risoluzione per la creazione di due Stati di simile estensione, uno a maggioranza ebraica e uno a maggioranza araba, con Gerusalemme città internazionale controllata dall'ONU. In quel momento storico questa risoluzione era molto favorevole per gli ebrei, e a tutto svantaggio degli arabi invece. Infatti le principali organizzazioni ebraiche la accettarono, mentre la popolazione araba e i Paesi arabi confinanti la rifiutarono.
Il 14 maggio 1948, al termine del mandato britannico, l'Agenzia Ebraica dichiarò l'indipendenza dello Stato di Israele, sui confini previsti dalla risoluzione ONU. Come reazione, i Paesi arabi circostanti (Egitto, Siria, Iraq, Giordania) dichiararono guerra. Le forze israeliane erano meglio organizzate e continuamente rifornite dai proventi dell'immigrazione, e vinsero la guerra. Al termine del conflitto Israele occupava un territorio ben più esteso rispetto a quanto previsto dalla risoluzione ONU, mentre l'Egitto aveva preso il controllo della Striscia di Gaza, e la Giordania occupò la palestinese Cisgiordania. Gerusalemme rimase divisa tra Israele (Gerusalemme Ovest) e la Giordania (Gerusalemme Est). Il neonato Stato d'Israele venne riconosciuto dall'ONU e da buona parte del mondo, ma da nessun Paese arabo. I palestinesi videro la nascita di Israele come un atto di aggressione e di spossessamento del proprio territorio. In seguito alla guerra, oltre 700.000 palestinesi lasciarono le proprie case. La maggior parte di loro si rifugiò in Cisgiordania, Giordania o Gaza, altri ancora in diversi paesi arabi o altrove. Nel settembre 1948 il conte Folke Bernadotte, incaricato dalle Nazioni Unite e attivo per il ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case, fu assassinato dal gruppo israeliano Lehi; Israele arrestò alcuni appartenenti alla banda, che furono subito rilasciati. Negli anni immediatamente successivi invece furono centinaia di migliaia gli arrivi di nuovi ebrei in Israele.
Nel 1967 Israele venne nuovamente attaccato dai Paesi confinanti, e vinse nuovamente, nella "Guerra dei sei giorni". L'esercito israeliano questa volta occupò tutta la Cisgiordania palestinese, contro le rimostranze delle Nazioni Unite, che denunciarono la violazione della risoluzione del 1947. Cominciò per i palestinesi di Cisgiordania una vita sotto occupazione israeliana. I palestinesi rimasti a vivere all'interno dei confini israeliani del 1948 invece erano diventati cittadini arabo-israeliani, ma i loro contatti con gli israeliani nella maggior parte dei casi erano ridotti al minimo indispensabile.
La resistenza palestinese all'occupazione israeliana rimase sempre attiva e negli anni '80 sfociò nella "prima intifada", una rivolta generale palestinese che venne infine soffocata.
Nel 1993 si giunse agli Accordi di Oslo, firmati dai leader israeliano Yitzhak Rabin e palestinese Yasser Arafat, su mediazione americana. Questi accordi prevedevano il reciproco riconoscimento dell'esistenza dello Stato d'Israele e dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) quale legittima rappresentante del popolo palestinese. In base agli accordi, Israele si ritirava dalle città della Cisgiordania, ma continuava a mantenere il controllo della maggior parte di territorio cisgiordano. La situazione rimaneva in ebollizione: all'interno della Cisgiordania vivevano ormai centinaia di migliaia di coloni ebrei, alcuni mossi dalla credenza della Terra Promessa, altri da considerazioni più semplici, quali il minor costo della vita, dal momento che le colonie ricevono ingenti finanziamenti statali.
Una situazione del genere sfociò nel 2000 nella "seconda intifada", una rivolta palestinese molto più violenta della prima, che degenerò in una vera e propria guerra con migliaia di morti. L'esercito israeliano muoveva guerra in Cisgiordania, mentre attentati terroristici palestinesi provocavano vittime civili nelle città israeliane, anche a Tel Aviv. Lo stesso leader Arafat venne assediato nella sua residenza presidenziale a Ramallah dall'esercito israeliano, e in seguito venne avvelenato e morì in un ospedale a Parigi nel 2004. Con la morte di Arafat e l'ascesa del suo successore, il moderato Abu Mazen, la seconda intifada finì: i palestinesi avevano perso, ma a prezzo di migliaia di vittime su entrambi i fronti. Questo avveniva dieci anni fa.
In seguito alla seconda intifada Israele stringeva ancora di più i controlli in Cisgiordania, ai confini e anche all'interno stesso d'Israele. Il resto è storia recente. Mentre in Cisgiordania vive ormai mezzo milione di coloni ebrei illegali, che in certi casi hanno attaccato impunemente famiglie e bambini palestinesi, gli stessi palestinesi negli anni scorsi si sono dilaniati dividendosi tra il governo moderato di Abu Mazen e la leadership estremista di Hamas. Dopo scontri fratricidi, nel 2007 Abu Mazen mantenne il controllo della Cisgiordania e Hamas prese il potere a Gaza. Attraverso un'attiva diplomazia Abu Mazen riusciva a raccogliere il sostegno di buona parte degli Stati del mondo, dopodiché presentava all'ONU formale richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina: il 29 novembre 2012, esattamente 65 anni dopo la risoluzione sui due Stati, l'ONU votava a maggioranza a favore del riconoscimento dello Stato palestinese, tra le proteste del governo israeliano e il veto degli Stati Uniti, veto che nega al neo-Stato un seggio all'ONU. Nonostante il formale riconoscimento, la Palestina non può certo definirsi Stato: Israele lo considera tuttora territorio occupato, e di fatto lo è. Non ha confini definiti bilateralmente, non ha controllo sulle risorse idriche ed energetiche, non ha un esercito regolare, le forze armate israeliane sono autorizzate da Israele a perlustrare il territorio palestinese in qualsiasi momento.
Quest'anno, dopo anni di divisione, il partito di Abu Mazen (al-Fatah) e Hamas hanno appianato le divergenze per formare un governo di unità nazionale palestinese che porti a nuove elezioni in autunno. Israele ha subito boicottato le trattative di pace con Abu Mazen, in quanto considera Hamas un'organizzazione terroristica. Intanto dalla Striscia di Gaza amministrata da Hamas riprendeva il lancio di razzi verso Israele. Piccoli razzi che non provocano vittime, ma la cui gittata in alcuni casi riesce a raggiungere Tel Aviv e Gerusalemme. Inoltre si è verificato il rapimento e l'uccisione di tre ragazzi figli di coloni ebrei illegali in Cisgiordania, un grave episodio le cui responsabilità rimangono non chiarite, avendo Hamas negato ogni coinvolgimento. Questo è servito al governo israeliano come pretesto per "punire i terroristi di Hamas" e scatenare una vera e propria offensiva militare su Gaza (la precedente invasione militare israeliana nella Striscia di Gaza risale ad appena cinque anni fa). L'obiettivo di Israele è eliminare tutti i "terroristi" e distruggere i tunnel che permetterebbero l'invio di armi dentro la Striscia di Gaza, che è sottoposta da anni a blocco navale e terrestre da parte di Israele. Nel frattempo anche in Cisgiordania diversi civili palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano in circostanze non chiare.
In un solo mese le vittime palestinesi sono quasi duemila, in stragrande maggioranza civili, tra cui moltissimi bambini. Circa sessanta soldati israeliani sono quelli rimasti uccisi. Ma ciò che sta provocando scalpore internazionale è il bombardamento di scuole e sedi umanitarie affiliate all'ONU, in cui i palestinesi si erano rifugiati pensando che fossero luoghi che Israele non avrebbe attaccato. Israele risponde alle accuse dicendo che colpi d'arma da fuoco provenivano da quelle strutture. Ma in alcuni casi ha ammesso che deve esserci stato qualche errore e che seguiranno indagini.
Questa è una veloce cavalcata storica, fino ai nostri giorni, non certo esauriente, ma almeno per dare un'idea di cosa c'è nel passato della situazione attuale. Non do giudizi o commenti, ne stanno già piovendo da tutte le parti. Ma una riflessione sorge spontanea: la situazione attuale non ha ormai più nulla a che vedere con le rivendicazioni di entrambe le parti, dato che queste rivendicazioni affondano ormai in una situazione passata lontana che non potrà mai più essere ripristinata, nemmeno lontanamente. Bisogna solo guardare avanti, condannare i crimini di guerra di cui si sta macchiando l'esercito israeliano e sperare che in futuro, lasciate alle spalle le violenze da entrambe le parti e la condizione di apartheid in cui sta venendo ridotto poco a poco il popolo palestinese, diventi possibile una convivenza di due popoli sulla stessa terra: su nuove basi, lasciando alle spalle le rivendicazioni del passato. Lo so, oggi è utopia.
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lunedì 4 agosto 2014
Israele e Palestina: un po' di storia
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mercoledì 26 giugno 2013
Gerico, la fragrante
Una volta, quando lavoravo in Palestina, io e tre colleghi (un amico e due amiche) fummo invitati a passare il weekend a casa di un altro collega. Quando arrivammo, però, ci disse che per evitare problemi col suo padrone di casa avremmo dovuto fingere di essere due coppie sposate! I proprietari della casa erano infatti musulmani molto osservanti e non giudicavano bene che giovani maschi e femmine dormissero sotto lo stesso tetto se non erano sposati! Ne avemmo conferma quella sera stessa, quando il padrone di casa, parlandoci amabilmente ma con piglio deciso di capofamiglia, sotto gli sguardi compiaciuti della moglie e delle figlie, ci fece i complimenti convinto di avere davanti due coppie di sposini (pur se noi, increduli e divertiti al tempo stesso, non davamo molto adito a farlo credere...), e insisteva sul tasto che avrebbe voluto dare in sposa una delle sue figlie al nostro (malcapitato) collega, il quale, abituato da settimane a quelle singolari avances "per conto terzi", si schermiva non senza imbarazzo... Se ne sarebbe "scappato" dopo pochi mesi! Questo avveniva appena un paio d'anni fa nella mitica Jericho, Yeriho in ebreo, Ariha in arabo, o Gerico in italiano.
Gerico, la città più antica del mondo, la prima città della Terra Promessa conquistata dagli Ebrei, quando le sue famose mura crollarono agli squilli di tromba (secondo la tradizione biblica) delle schiere ebree guidate da Giosuè, successore di Mosè, più di tremila anni fa. Oggi fa parte della Palestina, è una delle aree lasciate ai Palestinesi in totale indipendenza, secondo gli Accordi di Oslo del 1993. Tre anni fa, cogliendo come occasione la data 10/10/10, l'Autorità Nazionale Palestinese celebrò i diecimila anni di vita della cittadina, ritenuta il più antico insediamento umano continuativamente abitato fino a oggi. Probabilmente è davvero così, perché dagli scavi archeologici in zona sono emerse tracce di insediamenti risalenti addirittura a quasi 20 mila anni fa, e a tutte le epoche successive. Sicuramente questo fu uno dei primi luoghi dove gli uomini preistorici abbandonarono la vita di cacciatori nomadi per radicarsi qui, in questa fertilissima oasi ricca d'acqua.
Gerico, più che una vera e propria città, in realtà anche oggi è un insieme di borgate rurali immerse in una vasta oasi, e io ci sono andato diverse volte con molto piacere, specialmente d'inverno, perché venivo accolto da un'aria calda e pregna di profumi, e da un'atmosfera rilassata, dove tutti vivono con la serafica tranquillità tipica dei posti caldi. Ho scoperto poi che proprio l'aria profumata è all'origine del suo antico nome cananaico, Ruha: significava "fragrante", lo stesso significato che ha la parola araba Ariha, il nome palestinese di Gerico. Anche il nome ebreo, Yeriho, deriva chiaramente da quella parola. Insomma, Gerico la fragrante.
La sua fortuna è proprio la presenza, in mezzo a una zona desertica, di una fertile vallata cosparsa di oasi fin dall'antichità, una vallata che si trova in una depressione di oltre 200 metri sotto il livello del mare, il che fa di Gerico il più basso sito permanentemente abitato della Terra. Questo influisce anche sul suo clima, che rimane tiepido anche d'inverno, mentre d'estate, durante il giorno, si aggira costantemente intorno ai 40 gradi... Le precipitazioni sono rare, ma l'acqua non manca grazie appunto alle oasi, sfruttate da un'agricoltura rurale molto produttiva.
La vegetazione e l'ottimo clima (soprattutto in inverno) erano ben noti da sempre: nella Bibbia, Gerico viene
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Mosaici tra le rovine dell'Hisham Palace |
La zona attorno a Gerico, come ogni luogo in Israele e Palestina, è cosparsa anche di siti religiosi e testimonianze risalenti alle tradizioni bibliche ed evangeliche.
Sin dal quinto secolo gli eremiti si ritiravano nelle grotte del deserto montagnoso circostante, e successivamente in quegli stessi luoghi, in epoca bizantina, sorsero chiese e monasteri, identificando questo e quel luogo come posti in cui erano avvenuti fatti importanti. Per esempio, fu così che il monte roccioso prospiciente Gerico fu identificato come il Monte delle Tentazioni, dove Gesù venne tentato dal diavolo durante quaranta giorni di solitudine e digiuno. Sul fianco di quel monte, letteralmente abbarbicato alla roccia, sorge dal 1895 il monastero greco-ortodosso della Tentazione, edificato su precedenti costruzioni bizantine e crociate (proprio così, dell'epoca delle crociate). Il monastero è incollato su uno strapiombo di roccia, ma oggi è possibile arrivarci anche con una moderna funivia. Nei dintorni, su rovine di epoca bizantina, sorgono altri monasteri e chiese, di fede greco-ortodossa, russo-ortodossa, copta, etiopica, siriana, rumeno-ortodossa. Poco a nord di Gerico si sono trovati anche i resti di un'antica sinagoga ebraica. Una decina di chilometri a sud, invece, c'è Nabi Musa, il più importante sito religioso musulmano nella zona, dove secondo i musulmani (solo secondo loro) sarebbe sepolto Mosè, che dai musulmani è considerato uno dei profeti dell'islam, la cui rivelazione originale però andò perduta.
Vi è venuto mal di testa? Anche a me!
Questo è solo un assaggio per farvi capire quale crogiolo di culture si è stratificato in quella regione nel corso dei secoli. Per non parlare di Gerusalemme, dove questo "melting pot storico" è moltiplicato all'ennesima potenza. Ma di Gerusalemme magari parlerò un'altra volta.
Negli ultimi vent'anni la lenta storia plurimillenaria di Gerico ha subito un'accelerazione improvvisa. Nel 1994 fu la prima città palestinese a passare sotto il diretto controllo dell'Autorità Nazionale Palestinese, in seguito agli Accordi di Oslo. Nel 1998 l'ANP, in un ardito piano per far girare soldi nella nascente economia palestinese, si accordò con un ricco ebreo austriaco per costruire addirittura un casinò a Gerico, che potesse attirare i giocatori d'azzardo israeliani, dal momento che in Israele il gioco d'azzardo è illegale. Tra l'altro, vicino a Gerico si trova il Mar Morto, meta di villeggiatura privilegiata dagli israeliani. Anche la fede musulmana condanna il gioco d'azzardo, ma l'ANP decise di correre il rischio pur in una cittadina molto "all'antica" (è il caso di dirlo, eheheh!) come Gerico. Da notare che il presidente dell'ANP a quel tempo era ancora lo storico leader palestinese Yasser Arafat, quindi tutto questo progetto era ancora di più da considerarsi eccezionale. Effettivamente il progetto funzionò per un paio d'anni: molti israeliani (quasi tremila al giorno) venivano a Gerico per giocare al casinò. Ma lo scoppio della seconda intifada determinò la chiusura del casinò e nessun civile israeliano da allora ha messo più piede a Gerico (ufficialmente, almeno). Durante la seconda intifada, le truppe israeliane occuparono di nuovo tutta la zona e scavarono una trincea profonda due metri attorno alla cittadina, per controllare il traffico di chi entrava e chi usciva. Tornata sotto il controllo palestinese nel 2005, vige tuttora la legge degli Accordi di Oslo di vent'anni fa: cioè, Gerico fa parte delle zone sotto diretta amministrazione palestinese (zona A), in cui i civili israeliani non possono più entrare, ma tutta l'area circostante, che divide Gerico dalle altre città palestinesi, appartiene alla "zona C", cioè a quella vasta area della Cisgiordania sotto pieno controllo militare israeliano. In sostanza, i palestinesi possono oggi tranquillamente viaggiare da Gerico a Ramallah o a Betlemme (il problema di andare a Gerusalemme, invece, l'ho spiegato in un precedente post), ma se a metà strada venissero bloccati da una pattuglia israeliana sarebbero costretti a fermarsi, perché lì il controllo del territorio spetta tutt'oggi all'esercito israeliano, come del resto avviene in tutte le zone interposte tra le principali città palestinesi. Un evento eclatante che spiega bene la situazione avvenne sette anni fa, quando l'esercito israeliano fece un assedio in grande stile al carcere di Gerico per prelevare con la forza alcuni prigionieri palestinesi accusati di essere terroristi della seconda intifada (il governo palestinese di allora, capeggiato da Hamas, aveva promesso la loro liberazione). Il carcere di Gerico fa parte a tutti gli effetti della zona A, sotto diretto controllo palestinese, e questa irruzione fu condannata da più parti, non solo dai Palestinesi. Ma ciò non impedì a Israele di prelevare i prigionieri, che ora sono custoditi in un carcere israeliano. Oggi la situazione è cambiata: il rafforzarsi di un governo palestinese moderato, che di fatto collabora almeno in parte con Israele, fa sì che un evento simile non si potrebbe ripetere. Ma la situazione in quella regione è sempre sull'orlo dell'instabilità e non si può mai dire cosa succederà l'anno prossimo o tra un paio d'anni.
Per intanto, il governo palestinese sta cercando di far nascere un turismo internazionale a Gerico, e i dati degli ultimi tre anni sono confortanti. Decine di migliaia di turisti all'anno (molti asiatici e russi) arrivano per vedere il sito archeologico della città antica, o l'Hisham Palace, di passaggio verso il Mar Morto (di cui magari parlerò in un capitolo a parte una prossima volta).
venerdì 17 maggio 2013
Palestina, uno Stato "à la carte"
Sei mesi fa l'Assemblea Generale dell'ONU, che include come membri quasi tutti gli Stati del mondo, ha votato con una maggioranza di oltre due terzi (tra i voti favorevoli anche quello dell'Italia) per la nascita dello Stato di Palestina: non membro dell'ONU, a causa del veto degli Stati Uniti, ma con lo status di "osservatore" (unico altro caso del genere è lo Stato del Vaticano, in quel caso per una precisa scelta da parte della Santa Sede di rimanere super partes). La delegazione palestinese potrà cioè partecipare alle assemblee generali dell'ONU, ma senza diritto di voto.
Secondo la risoluzione ONU questo nuovo Stato dovrebbe avere come confini quelli precedenti alla "guerra dei sei giorni" del 1967, cioè l'intera Cisgiordania (compresa, come capitale, Gerusalemme Est, cioè la parte palestinese di Gerusalemme) e la Striscia di Gaza. Il problema è che la Cisgiordania fu occupata da Israele nel 1967, al termine della guerra, e da allora è tuttoggi occupata, salvo alcune città palestinesi lasciate all'autonomia del governo palestinese. Un'autonomia relativa, che deve fare i conti in ogni momento con la presenza israeliana su vaste porzioni della Cisgiordania (le famigerate "colonie" e l'esercito israeliano dislocato sul territorio e lungo tutti i confini, anche quello tra Cisgiordania e Giordania), per citare solo uno dei problemi. In questo scenario, riconoscere la Palestina come Stato suona quantomeno strano. Quasi come se il governo palestinese volesse fregiarsi di questo successo politico davanti ai suoi cittadini, dicendo loro: "Eccovi servito finalmente il nostro Stato!". Un nome e una sedia (come quella gigante montata nella piazza centrale di Ramallah, a simboleggiare il seggio dello Stato di Palestina all'ONU), insomma, eccoli serviti come fossero una pietanza sul menu, a lungo richiesta, e finalmente cucinata dopo tanto attendere. Uno Stato sul menu, uno "Stato à la carte".
In questo post non voglio e non posso (per ragioni di spazio e anche di mancanza di competenze) addentrarmi nei molti aspetti che impediscono alla Palestina di essere un vero Stato, ma mi soffermerò, per questa volta, su un argomento che ho toccato con mano moltissime volte durante i due anni in cui ho vissuto là: la "barriera di separazione" costruita da Israele. Probabilmente finirò per accavallare tra loro molte informazioni, ma il quadro è molto complesso e non ho la pretesa di fare un resoconto da esperto quale non sono... Racconterò ciò che ho visto e sentito, lasciando altri argomenti sulla Palestina, magari più allegri, per altri futuri post!
Gerusalemme Est è oggi unilateralmente annessa dallo Stato israeliano, che dichiara l'intera Gerusalemme "indivisibile e santa capitale d'Israele". Da una decina d'anni un muro di separazione militare alto otto metri e lungo oltre 700 km, con torrette militari, separa Gerusalemme da Betlemme (che si trova in territorio palestinese) e dal resto della Cisgiordania, costituendo di fatto un confine, che però ignora i confini previsti dall'ONU perché si insinua per diversi chilometri all'interno della Cisgiordania. I palestinesi che hanno residenza in Cisgiordania non possono varcare il Muro a meno che non abbiano permessi speciali concessi dall'autorità israeliana per particolari esigenze (per esempio per chi lavora o studia al di là del Muro, o per esigenze mediche, o per visitare la "Città Santa" in occasione delle ricorrenze religiose una volta all'anno, ma spesso avviene che il permesso non venga concesso: dipende molto dalle circostanze). Se una famiglia palestinese ha qualche parente sospettato di attivismo anti-israeliano, è certo che il permesso verrà loro negato, anzi gli verrà negata anche la possibilità di varcare la frontiera con la Giordania (frontiera presidiata da Israele, ma pur sempre l'unica frontiera concessa ai palestinesi di Cisgiordania per andare all'estero, pur tra mille difficoltà burocratiche).
Pur vivendo e lavorando a Ramallah (insegnavo musica al Conservatorio Nazionale di Musica palestinese), attraversavo il Muro spesso, ogni volta che volevo fare un giro a Gerusalemme o a Tel Aviv. Le prime volte avevo sempre paura che potesse succedere qualsiasi inconveniente. Poi, a poco a poco, ho fatto l'abitudine ai rituali del passaggio, finendo per prenderla come una routine (come sono costretti a viverla i palestinesi), anzi sorprendendomi positivamente quando i soldati di turno magari erano gentili e non duri e scostanti; un paio di volte mi è perfino capitato di mostrare il passaporto a soldatesse che mi sorridevano. Certo, solo perché sono italiano: ho potuto constatare che i palestinesi che devono passare di lì vengono di norma trattati con durezza e arroganza, come fosse una regola di comportamento che i soldati devono mantenere quando hanno a che fare con i palestinesi che attraversano il checkpoint. Vorrei però aggiungere, per correttezza, che ho visto in altre circostanze soldati israeliani rivolgersi gentilmente ai palestinesi. Questo per dire che non esistono i buoni di qua e i cattivi di là, esistono solo le azioni buone e le azioni cattive, che ognuno è in grado di fare o di non fare.
Il Muro lo si attraversa o in auto o a piedi. In auto si passa attraverso caselli stradali presidiati da militari israeliani, soldati e soldatesse molto giovani, alcuni/e ancora in servizio militare obbligatorio (che in Israele dura moltissimo: tre anni per i ragazzi e due anni per le ragazze).
C'è un checkpoint presso il villaggio di Hizma, che si attraversa solo con i veicoli, non a piedi. Il checkpoint di Hizma è di norma attraversato da israeliani che vogliono recarsi sul Mar Morto, o da quelli che vivono nelle colonie israeliane in Cisgiordania, o dai turisti. Infatti di qui possono passare soltanto coloro che hanno passaporto israeliano, o straniero, o il documento d'identità di cittadini di Gerusalemme. Vediamo se riesco a spiegare cos'è questa carta d'identità particolare.
I palestinesi che hanno residenza a Gerusalemme non hanno passaporto palestinese, e se non fanno richiesta per avere un passaporto israeliano hanno solo un documento d'identità di abitanti di Gerusalemme, di colore blu, che risale al periodo in cui Gerusalemme Est faceva ancora parte del Regno di Giordania (prima del 1967). Quel documento testimonia che sono cittadini residenti di Gerusalemme, ma non attribuisce loro cittadinanza israeliana, e nemmeno palestinese: in sostanza sono apolidi, o meglio "antichi cittadini della Giordania"! Questa confusione dipende dal fatto che il governo israeliano non concede ovviamente cittadinanza palestinese ad alcun abitante di Gerusalemme, considerando Gerusalemme unilateralmente capitale indivisibile d'Israele. Questa situazione sta causando grossi problemi a diverse famiglie palestinesi di Gerusalemme, alcune delle quali di tanto in tanto vengono sfrattate a causa di cavilli giuridici. Pare che le alternative stiano diventando sempre più ridotte: diventare cittadini israeliani, precludendosi ogni possibilità di risiedere in Cisgiordania; oppure emigrare in Cisgiordania per diventare cittadini palestinesi, precludendosi il diritto di poter mettere piede a Gerusalemme (se non con l'incognita di ottenere permessi, come tutti i palestinesi di Cisgiordania); oppure, emigrare dai parenti in Giordania, magari perdendo per sempre la possibilità di entrare non solo a Gerusalemme, ma anche in Cisgiordania. Molti hanno per il momento risolto in modo "illegale" (ma in Palestina la differenza tra legale e illegale spesso coincide con la differenza tra il considerarsi cittadini della propria terra natale o sudditi della potenza israeliana occupante, purtroppo): avendo la casa sia a Ramallah sia a Gerusalemme, magari quella di parenti, tengono come ufficiale la vecchia residenza di Gerusalemme, che garantisce loro la "carta blu", cioè quel documento di cittadini di Gerusalemme "apolidi". E contemporaneamente vivono a Ramallah: in questo modo hanno praticamente libertà di movimento tra Israele e Palestina e possono orgogliosamente dire di non essere cittadini israeliani. Intere famiglie vivono a Ramallah pur non avendone in teoria il diritto secondo le normative israeliane, e allo stesso tempo, se vogliono, possono andare al mare sulla costa mediterranea a Haifa o ad Akko (l'antica San Giovanni d'Acri), città a maggioranza palestinese ma in pieno territorio d'Israele. Chiaramente tutti gli altri palestinesi li considerano molto fortunati. Ma una cosa che non ho capito è come facciano ad andare all'estero (perché so di alcuni che ci sono stati). Probabilmente con un doppio passaporto. Sicuramente mi sfuggerà qualche altro particolare, comunque. Come vedete, è una gran confusione!
Questa è in sostanza una politica messa in atto alla luce del sole da Israele per "israelizzare" l'intera Gerusalemme, in quanto lo Stato non potrebbe garantire diritti ai cittadini con uno status giuridico incerto, come i palestinesi di Gerusalemme che non abbiano passaporto israeliano. Di qui si potrebbe scivolare nell'argomento della discriminazione di fatto dei palestinesi anche con passaporto israeliano, ma non intendo addentrarmi oltre, ci sarebbe troppo da dire.
Il checkpoint più famigerato è quello di Qalandiya, posto esattamente tra la periferia di Gerusalemme Est, abitata da palestinesi, e la periferia esterna di Ramallah. Di qui passano i palestinesi in possesso di permesso per andare dall'altra parte.
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Scorcio del checkpoint a Qalandiya, visto dall'interno della Cisgiordania. |
Anche qui si può passare in auto, ma per le vetture in direzione di Gerusalemme sono previsti controlli passaporto e perquisizioni del bagagliaio che possono essere anche molto lunghe, e quindi c'è sempre una lunga colonna di auto, autobus e magari anche camion fermi in attesa, a volte con pazienza, a volte strombazzando i clacson: ho sentito che ci sono stati casi di licenziamento di palestinesi per essere arrivati in ritardo sul lavoro poiché erano rimasti bloccati in colonna al checkpoint per ore. Per questo, tutti i palestinesi che hanno la possibilità di usufruire del checkpoint di Hizma (chi ha il documento di residenti di Gerusalemme) oltrepassa Qalandiya per andare verso Hizma, creando costantemente ingorghi incredibili, perché la viabilità in quella zona frontaliera è messa malissimo.
Per chi invece passa a bordo dei pulmini di trasporto pubblico palestinese, è necessario scendere e attraversare il checkpoint di Qalandiya a piedi (tranne l'autista, le donne con bambini piccoli e i vecchi con problemi di salute). Lì bisogna attraversare dei tornelli e sottoporre al check ai raggi X (come in aeroporto) qualsiasi bagaglio, comprese cinture e monetine. Mentre il tuo portafogli sta venendo passato ai raggi X, devi passare davanti a un desk con vetri antiproiettile, dietro il quale uno o più soldati o soldatesse ti chiedono di mostrare il passaporto, di solito con tono brusco e ostile, redarguendoti in malo modo se non sapevi che devi mostrare il passaporto in un determinato modo, appoggiato al vetro a una certa pagina e piegato in un certo modo... Come dicevo, solo dopo un po' di attraversamenti ho imparato come comportarmi (cioè nel modo più disinvolto, come fosse la cosa più normale del mondo) per ottenere sorrisi di approvazione!
E qui voglio raccontare un ricordo particolarmente caro, a questo proposito.
Un giorno io e altri insegnanti del Conservatorio partimmo da Ramallah con alcuni dei nostri studenti che avrebbero partecipato al Concorso Musicale Nazionale Palestinese, a Gerusalemme. Io portavo con me le mie migliori allieve di violino, dolcissime ragazzine dai 9 ai 12 anni, dai bellissimi nomi: Sima, Nour (che significa “luce”), Haya, Melissa, Miora. Gli studenti che poterono passare da Hizma passarono di là, con i genitori. Gli altri, essendo palestinesi residenti in Cisgiordania, dovettero passare da Qalandiya con noi: avevano ottenuto un permesso speciale per recarsi a Gerusalemme per quella circostanza, anche se non era stato facile ottenerlo. Ma solo loro, non i genitori! Non avevano mai varcato il checkpoint di Qalandiya, non a piedi per lo meno, e per molti di loro era la prima volta che si recavano a Gerusalemme, nonostante disti pochi chilometri da Ramallah! I genitori, affidandoceli, si fidarono della nostra responsabilità. Solo una mamma venne di persona insieme alla figlioletta, Nour, una mia bravissima allieva di 8-9 anni, forse la più piccola partecipante al concorso. Fu proprio alla mamma di Nour che i soldati fecero problemi. Essendo tra l'altro di nazionalità marocchina, in quanto moglie di un funzionario dell'Ambasciata del Marocco a Ramallah, contava probabilmente di poter passare con il passaporto del Marocco, o con un documento dell'Ambasciata. Invece il soldato di turno fu irremovibile per qualche cavillo, e la signora dovette passare da un altro tornello dove c'era una guardia più ragionevole. Immaginate la paura della piccola Nour nel vedere un soldato che urlava alla mamma che lei non poteva passare, gracchiando al microfono da dietro il vetro antiproiettile dei gabbiotti di sicurezza. Eppure la piccola Nour più tardi suonò benissimo al concorso e fu a lungo applaudita dal pubblico e dalla commissione: quel giorno fui fiero di lei come pure di tutte le altre mie allieve (tutte suonarono benissimo e tre su cinque passarono alla fase finale pur dovendo competere con studenti con molta più esperienza).
Rimasi sopreso anche da come reagirono al passaggio al checkpoint. Tutti i ragazzini erano visibilmente preoccupati, ma anche consapevoli di cosa si trattava (chissà quante volte ne avevano sentito parlare in famiglia), e appena terminato l'attraversamento, ancora nei pressi dell'uscita del checkpoint, mostrarono subito un atteggiamento disinvolto e ciarliero come sempre, forse una reazione inconscia di voglia di normalità: quella voglia di normalità che ho visto in quasi tutti i palestinesi che ho incontrato, ma soprattutto nei giovani, intenti ad andare avanti con le loro vite e a divertirsi, cercando di ignorare le difficoltà indotte dall'occupazione.
Al termine di questo lunghissimo post, devo dire che nei miei due anni di vita in quella terra ho imparato anche a comprendere il punto di vista di tanti israeliani, nei limiti del mio vissuto. A parte i "fanatici" (magari per interesse) che affermano che Israele deve occupare tutta la regione dal mare al fiume Giordano perché quella era la "Terra dei Padri", ci sono anche tantissimi israeliani che hanno un modo di vedere la realtà come la vediamo noi, e che semplicemente hanno scelto di vivere in quel Paese e vorrebbero viverci in pace e sicurezza, senza lo spettro di attentati suicidi o attacchi di Paesi arabi confinanti. Girando a Tel Aviv non ho incontrato gente smaniosa di colonizzare o di fare del male, anzi, ho visto gente che andava in spiaggia, a divertirsi, a fare shopping, gente allegra con voglia di vivere e di amare. Nella loro ottica, il Muro che confina milioni di palestinesi in una sorta di prigione a cielo aperto in Cisgiordania è un male necessario, per porre fine ad altro male, accumulatosi per decenni e culminato con la seconda intifada. Io, se mi metto nei loro panni, non li biasimo se hanno paura di nuove violenze, e condanno ovviamente tutte le violenze perpetrate da attentatori palestinesi.
Ma va detta tutta la verità, e cioè che la maggior parte della violenza è stata operata dall'esercito israeliano contro civili palestinesi innocenti (quasi 5mila uccisi solo tra il 2000 e il 2005). Bisognerebbe anche sapere della violenza, oggi molto frequente e molto grave, dei "coloni" israeliani in Cisgiordania contro i palestinesi.
La realtà che sta emergendo anno dopo anno è che purtroppo al governo israeliano non interessa tanto che i due popoli (israeliano e palestinese) vivano bene entrambi, garantendo la pace. Ciò a cui mira la linea politica d'Israele, anche quella attuale, è controllare la sicurezza di tutta la regione, "se necessario" anche con la forza. In quel "se necessario" sta tutto il machiavellismo dei politici israeliani, che si rendono conto che dipende moltissimo soprattutto dalla loro politica se, periodicamente, la frustrazione dei Palestinesi umiliati provoca rigurgiti di violenza. Lo sanno e ci giocano, anche a livello elettorale. Non è un mistero che una parte del governo israeliano attuale vedrebbe con favore una totale annessione della Cisgiordania, escludendo solo le città palestinesi come Ramallah, Betlemme, Nablus, Gerico... Insomma, lasciando delle "riserve indiane" ai palestinesi, e annettendo a tutti gli effetti tutto il resto. Per questo il riconoscimento da parte dell'ONU di questo Stato palestinese à la carte dà tanto fastidio e preoccupa. Oltretutto, il governo palestinese ora ha il potere, come ogni Stato, di rivolgersi alla Corte Penale Internazionale contro i crimini perpetrati ai danni dei propri cittadini. Cosa salterà fuori se un governo palestinese dovesse appellarsi alla Corte contro i mille crimini israeliani sul "proprio" territorio?
Meglio non pensarci. Per concludere con positività, voglio proporvi il seguente video, per chi riesce a leggere i sottotitoli in inglese. Mi ha ricordato molto le voci e le esperienze di persone che ho conosciuto a Ramallah, in particolare di un'allieva (non mia) che giocava proprio nella squadra di calcio femminile. Vorrei concludere dicendo che quasi tutti i palestinesi che io ho visto sono come queste persone, positive e costruttive, e desiderose di aprirsi al mondo. Sarebbe il caso di partire da queste caratteristiche positive, sia in campo palestinese sia in quello israeliano, per tentare di porre fine al dilemma israelo-palestinese.
Buon viaggio!
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