Con sempre nuove scoperte archeologiche, quest'area conferma sempre più di meritare l'appellativo di culla dell'umanità.
Nel nostro racconto dal post precedente siamo arrivati a circa 2 milioni di anni fa. In quel momento topico della preistoria dell'umanità, questa particolare regione del mondo fu un luogo per quanto ne sappiamo oggi unico: in un'area di 500 chilometri quadrati (sicuramente era in realtà molto più estesa, ma noi possiamo ricavare i fossili oggi solo dalla pietra calcarea che si trova in quest'area) si trovavano a vivere contemporaneamente diverse specie di ominidi. Almeno sei specie per quanto ne sappiamo oggi, ma è possibile che fossero anche di più. Paranthropus robustus, Australopithecus africanus, Australopithecus sediba, Homo gautengensis, Homo habilis, Homo erectus, tutti abitavano questa regione del Sudafrica, alcuni di loro entrando forse in competizione per le risorse del territorio, altri venendo marginalizzati fino a giungere infine all'estinzione.
Le prime tre specie della lista le abbiamo già incontrate nel post precedente, ma le altre tre appartenevano a un nuovo genere, Homo. Tutt'oggi non sappiamo con certezza quando questo nuovo genere di ominidi si evolse, e da chi. Quel che è certo è che 2 milioni di anni fa annoverava già diverse specie, e almeno tre di esse vivevano contemporaneamente nella medesima regione in Sudafrica.
Ma prima di arrivare all'Homo, riprendiamo le altre specie australopitecine da dove le avevamo lasciate.
Immaginate di aggirarvi nella rigogliosa savana alberata del Sudafrica settentrionale nell'autunno australe di esattamente due milioni e ventimila anni fa, cioè nell'anno 2.017.981 avanti Cristo. Su un albero si vede un gruppo di animali scimmieschi, che però non sono scimmie. Sono una tribù di Australopithecus africanus, una delle ultime tribù rimaste di una specie in via di estinzione. Questa antica specie popolava queste zone da quasi un milione di anni, ma da un paio di decine di migliaia d'anni la situazione sta diventando esponenzialmente sempre più difficile. Il motivo di ciò, noi, a distanza di 2.020.000 anni da quel giorno, non sappiamo dirlo, ma possiamo fare ipotesi. La più probabile è che un altro genere di ominidi "infesta" ormai da tempo l'habitat dell'Australopithecus africanus in modo sempre più invasivo. Questo genere oggi lo chiamiamo Homo. In particolare una nuova specie, che vive da queste parti forse solo da qualche decina di migliaia d'anni, è particolarmente aggressiva nell'accaparrarsi le risorse del territorio: l'Homo erectus. E chissà se si tratta solo di quello, o se ci furono veri e propri scontri sanguinari tra le specie in questione, in cui l'Australopithecus africanus alla fine avrebbe avuto la peggio.
Ci allontaniamo di qualche chilometro, e notiamo un altro piccolo gruppo di ominidi ai piedi di un albero, i piccoli intenti a scorrazzare intorno e gli adulti a tenerli d'occhio. Sono ominidi ancora più scimmieschi di quelli che abbiamo appena lasciato: sono della specie Paranthropus robustus. Improvvisamente, un membro adulto del branco comincia a urlare, e in fretta e furia tutti i membri del gruppo si arrampicano velocemente sull'albero. Che è successo? Che poco distante si aggira un grande felino del genere Megantereon, un genere di felini predatori oggi estinti, che tra le loro prede includevano anche gli ominidi.
Ce ne teniamo alla larga e ci allontaniamo ancora una volta di qualche chilometro.
Nella savana umida alberata scorgiamo in lontananza diversi animali qua e là, tra cui grandi erbivori preistorici oggi estinti, come il Makapania broomi (una grossa specie caprina) o qualche gigantesco esemplare del genere Chalichoterium (dell'ordine dei Perissodattili a cui appartengono i moderni cavalli e zebre, ma anche i rinoceronti e i tapiri). E poi, dopo molto vagare, finalmente troviamo altri ominidi, un piccolo gruppetto di maschi che si aggirano per la bassa boscaglia di arbusti. Sono di un'altra specie di australopitechi, Australopithecus sediba, che abbiamo visto nello scorso post. Il loro aspetto esteriore assomiglia a quello dell'Australopithecus africanus, ma dalle moderne ricerche sappiamo che il loro cervello è un po' più avanzato. Probabilmente, nella lotta per la sopravvivenza che sta attraversando in questa epoca l'Australopithecus africanus, anche questa specie forse è una sua temibile concorrente. Ma a un certo punto questi Australopithecus sediba si arrestano di colpo e si atteggiano in posizione di allerta. Il motivo è presto chiaro: a qualche centinaio di metri spuntano dalla boscaglia degli altri esemplari ominidi, ma non sono australopitechi. Si tratta di ominidi di tutt'altro genere: Homo gautengensis.
Fossili di questa specie del genere Homo vennero portati alla luce a più riprese a partire dagli anni '30 del XX secolo, ma solo nel 2010 alcuni di essi vennero analizzati in dettaglio, e venne fuori che appartenevano a una specie Homo diversa da quelle conosciute fino ad allora. Il paleoantropologo che analizzò i fossili, l'australiano Darren Curnoe, battezzò la nuova specie Homo gautengensis (Gauteng è la provincia sudafricana dove sono i siti archeologici della Culla dell'Umanità, in cui erano stati rinvenuti anche questi fossili), e sostenne che, secondo le caratteristiche analizzate, l'Homo gautengensis sarebbe la specie più arcaica del genere Homo.
Li vediamo avanzare, questi esemplari di Homo gautengensis, in direzione del gruppo di cacciatori australopiteci. Si prospetta uno scontro? Mentre avanzano, si può notare che questi Homo gautengensis sono anatomicamente più eretti degli australopitechi, ma alcuni tratti sono ancora scimmieschi: per esempio, hanno grandi denti adatti alla masticazione di vegetali, il che fa di questi ominidi prevalentemente dei consumatori di vegetali più che di carne, una caratteristica che li accomuna agli australopitechi. Ma attenzione, il membro in testa al gruppo ha qualcosa in mano: un sasso scheggiato, che agita con fare minaccioso nei confronti dei cacciatori Australopithecus sediba. Questi ultimi quindi si voltano e danno in ritirata.
Decidiamo di seguire il gruppo di Homo gautengensis, che ora avanza padrone del campo. Questi individui setacciano la zona tra piante e arbusti, raccogliendo bacche e frutti. Poi si fermano per dissotterrare dei tuberi. Dopo un bel po' di tempo e fatica, finalmente riescono a raccogliere tre grossi tuberi, aiutandosi con bastoni e anche pietre.
È in quel momento che sopraggiungono cinque individui di un'altra specie. Sono Homo habilis.
I primi ritrovamenti di fossili appartenenti a questa specie vennero scoperti nel 1955 in Tanzania dai famosi paleoantropologi Louis e Mary Leakey. La specie venne denominata habilis dal professore di anatomia sudafricano Raymond Dart (lo stesso che in precedenza aveva dato il nome alla specie Australopithecus africanus), perché a quel tempo si pensava che questa specie fosse la prima ad avere l'abilità di scheggiare pietre da usare come armi per cacciare le prede, o come "utensili" per scuoiarle. In realtà in seguito si è scoperto che già qualche specie di australopiteco aveva queste capacità, per esempio l'Australopithecus africanus, come abbiamo visto nel post precedente.
L'Homo habilis, pur condividendo uno stile di vita in gran parte simile a quello degli australopitechi, aveva sviluppato nel corso di centinaia di migliaia di anni (il tempo minimo che ci volle per il lento evolversi dalle specie di Australopithecus a nuove specie con caratteristiche almeno in parte diverse, accomunate dall'appartenere a un nuovo genere animale, l'Homo) una capacità cranica ben più grande (tra i 600 e i 750 cm cubici) rispetto a quella degli australopiteci (che, anche nei casi più estremi, non superava i 550 cm cubici, mentre mediamente stava tra i 400 e i 500).
Anatomicamente, l'habilis aveva alcune caratteristiche arcaiche, ereditate dagli australopiteci, e altre più evolute (come il cranio più arrotondato e i denti più allungati e stretti, soprattutto i molari e premolari), che verranno trasmesse in eredità agli ominidi successivi. L'accrescimento della massa cerebrale portò senza dubbio dei cambiamenti nell'atteggiamento di questa nuova specie verso l'ambiente in cui viveva. I suoi utensili di pietra scheggiata erano più precisi di quelli usati dalle specie australopitecine, anche contemporanee all'habilis. Molti studiosi ritengono che un cervello più grande portò alla conseguenza che l'Homo habilis aveva un'intelligenza e un'organizzazione sociale più sofisticate dei suoi contemporanei ominidi di altre specie. Di conseguenza, l'habilis si ritagliò probabilmente uno spazio importante nel suo habitat, tra l'Africa orientale e l'Africa meridionale. Anche se, ritengono alcuni studiosi, pare che non fosse un cacciatore di grandi prede, e che utilizzasse le sue pietre scheggiate per strappare la carne dalle carcasse, invece che per difesa o per cacciare. In sostanza, nonostante il cervello più grande, la sua vita non differiva in modo eclatante dagli altri ominidi che 2 milioni di anni fa condividevano il suolo sudafricano. Era solo un ominide più organizzato socialmente, e con strumenti un po' più precisi per strappare la carne.
Questi cinque Homo habilis si fanno avanti in modo aggressivo contro il gruppo di individui di Homo gautengensis. Bisogna pensare che questi due gruppi appartengono al medesimo genere animale, ma a due specie diverse, un po' come al giorno d'oggi lo sono tra loro lo scimpanzè e il bonobo (le due specie geneticamente più vicine al genere Homo).
Gli Homo habilis impugnano tutti pietre scheggiate e le brandiscono con fare minaccioso. Il gruppo di Homo gautengensis si stringe a difesa, il membro che appare come il leader brandisce a sua volta una pietra scheggiata, per qualche secondo lo scontro sembra inevitabile. Il leader degli Homo gautengensis fissa intensamente i nemici, poi qualcosa balena nei suoi occhi. Non si sa cosa, ma di sicuro in quegli occhi è passato qualche pensiero, non è uno sguardo di un qualsiasi animale, è uno sguardo di un essere senziente che può elaborare pensieri in un battito di ciglia. Poi, fa qualche passo indietro, ed è il segnale di ritirata: il suo gruppo se ne va lasciando a terra i tuberi e qualche frutto. Li vediamo allontanarsi e, in distanza, arrampicarsi su un albero.
I cinque individui di Homo habilis raccolgono il bottino lasciato a terra dagli Homo gautengensis e si dirigono verso la loro tribù.
Lungo il percorso però devono stare attenti a non dare nell'occhio, per non cadere vittime a loro volta di eventuali predatori. Quando non manca ormai molto all'arrivo, intravedono a diverse centinaia di metri altri ominidi. Questi ultimi assomigliano agli habilis, ma allo stesso tempo si capisce che non fanno parte della medesima specie: appartengono a una nuova specie, molto recente, l'Homo erectus.
Soltanto nel 2020 una nuova scoperta di fossili nell'area della Culla dell'Umanità ha rivelato che in Sudafrica gli Homo erectus esistevano già 2 milioni di anni fa. Fino a qualche anno fa, scoprendo dei fossili di erectus arcaici (1,9 milioni di anni), li si era classificati come una specie distinta, Homo ergaster (ergaster in greco antico significa "manifattore", vedremo il perché gli fosse stato assegnato questo nome). Oggi si considera Homo ergaster non come una specie a sé, ma come Homo erectus arcaici, per i primi 200 mila anni della loro esistenza. Questa nuova specie si distinse in modo abbastanza evidente dagli altri ominidi suoi contemporanei. Per quanto ne sappiamo, fu con questa specie che avvenne un primo balzo genetico verso "qualcosa di più".
Come la genetica abbia lavorato per produrre certi cambiamenti, questo è (per ora) un mistero, ma anche se esteriormente l'Homo erectus arcaico poteva essere non molto dissimile dalle altre specie del genere Homo, geneticamente stava immagazzinando caratteristiche che lo fecero diventare in tempi incredibilmente rapidi l'essere dominante sul pianeta: secondo alcuni ritrovamenti e teorie, ancora in fase di dibattito tra gli studiosi, alcune popolazioni di Homo erectus avrebbero lasciato l'Africa e colonizzato il continente asiatico già prima di 2 milioni di anni fa. Per questo è stato dato loro il nome erectus, perché sarebbe stata la prima specie in assoluto a coprire distanze continentali sui due piedi. Almeno di future nuove scoperte che smentiscano anche questo.
Il "qualcosa di più" che distingueva gli erectus da tutte le altre specie era dovuto a una capacità cranica superiore. Questi Homo erectus arcaici avevano una capacità cerebrale tra gli 800 e i 900 centimetri cubici, e sarebbe cresciuta ancora nel giro di poche centinaia di migliaia d'anni.
Allo stato attuale non possiamo dire con certezza se gli Homo erectus si evolsero in una particolare regione dell'Africa o in diverse aree, addirittura in Africa e fuori dell'Africa (come sostengono alcuni). Purtroppo sappiamo solo quel poco che pochi fossili ritrovati qua e là possono dirci. Anche se avvengono sempre nuovi ritrovamenti di fossili, la ricerca su epoche così remote non riuscirà forse mai a sapere tutta la verità: è come inoltrarsi in un grande tunnel completamente al buio muniti solo di una piccola torcia da campeggio, che illumina solo un fascio di un metro, possiamo fare luce su un punto ma il resto rimane al buio, e quando muoviamo la luce su un altro punto, il punto precedente torna al buio.
Comunque, tornando a noi, gli Homo erectus, grazie al loro volume cerebrale, compirono un notevole balzo cognitivo rispetto agli altri ominidi. Si discute se l'utilizzo del fuoco fosse già stato conquistato dall'Homo habilis e addirittura dall'Homo gautengensis, e se l'utilizzo di strumenti in pietra fosse addirittura tra le capacità di certi australopitechi. Ma una cosa è certa: l'Homo erectus padroneggiava sicuramente l'uso del fuoco, sfruttando forse inizialmente incendi naturali per impossessarsi della fiamma, e poi in seguito imparando a sviluppare una fiamma dall'erba secca, attraverso lo sfregamento di alcune pietre per esempio. E la sua tecnica di scheggiare le pietre raggiunse un livello decisamente superiore a quello degli altri ominidi, segno che le sue capacità cognitive erano superiori. La tecnica di lavorazione delle pietre attorno ai 2 milioni di anni fa fino a 1 milione e mezzo di anni fa è chiamata Tecnica Olduvaiana (prende il nome dalla Gola di Olduvai in Tanzania, luogo di ritrovamenti di fossili famosi). Si parla di tecnica perché si riconosce nelle pietre ritrovate, che vengono chiamate choppers (che in inglese significa strumenti taglienti), un vero e proprio pattern ricorrente: i choppers venivano scheggiati con tecniche particolari affinché avessero un certo tipo di taglio, diverso a seconda dell'uso che ne veniva fatto. Poteva essere più tagliente o più smussato, tagliente solo su un lato o su entrambi i lati del chopper. Pare comunque che anche gli Homo erectus, come gli altri ominidi, non fossero cacciatori, ma si limitassero a strappare la carne da animali già morti, uccisi dai veri predatori di quell'epoca, gli antenati dei grandi felini di oggi. Gli ominidi anzi, e in questo l'Homo erectus non era diverso, erano essi stessi prede dei grandi predatori dell'epoca, come gli altri animali erbivori: avere dei choppers olduvaiani anche abbastanza affilati (come erano quelli dell'Homo erectus) non era abbastanza per difendersi quando venivi puntato da un Megantereon o da altri simili predatori. Comunque, il padroneggiamento del fuoco e l'utilizzo di choppers olduvaiani possono essere considerati come la prima tecnologia umana: per questo gli erectus arcaici venivano chiamati Homo ergaster, che in greco antico significa "manifattore".
Sono proprio questi erectus arcaici che stanno camminando in fila a qualche centinaio di metri dai cinque Homo habilis. Anche questi erectus sono cinque. Gli habilis cercano di cambiare direzione: hanno notato che ciascun individuo erectus impugna un chopper a doppio taglio. Ma è troppo tardi, gli erectus sono troppo vicini ormai. I due gruppi si fronteggiano, faccia a faccia. Si tratta di due specie diverse appartenenti al genere Homo, per la precisione le due specie animali che, 2 milioni di anni fa, avevano le maggiori capacità cognitive sul pianeta Terra.
Rimangono a fronteggiarsi per parecchi, lunghi minuti. Nessuno osa attaccare, e i membri dei due gruppi grugniscono (non potevano articolare un vero linguaggio perché le loro vertebre cervicali erano disposte in modo più stretto rispetto alle nostre), digrignano i denti, agitano le braccia in modo minaccioso. Gli Homo erectus sono più alti e apparentemente meglio armati, ma sembra che non vogliano arrivare allo scontro fisico, puntano a intimorire gli avversari per farli desistere e costringerli a lasciare il cibo.
Dopo molti minuti, in cui i vari individui si sono a lungo guardati negli occhi, succede qualcosa di straordinario. Il leader degli Homo habilis lentamente si fa avanti, con atteggiamento dimesso, di tregua, allungando grosso modo la metà dei tuberi e frutti che a sua volta aveva rubato al gruppo di Homo gautengensis. A quell'iniziativa, il capogruppo degli Homo erectus si fa avanti anche lui. Cautamente, guardandosi negli occhi a vicenda, i due esemplari di specie "cugine" si dividono le spoglie depredate da un'altra specie "cugina". Gli Homo erectus accettano di ricevere metà dei tuberi e frutti, e si allontanano. Gli Homo habilis si affrettano a raccogliere la metà rimasta, e proseguono per la loro strada.
Questa lunga scena che abbiamo raccontato sarebbe potuta davvero accadere un giorno del maggio dell'anno 2.017.981 a.C. Perché nel Sudafrica di quell'epoca convivevano tutte quelle specie ominidi che abbiamo descritto, una circostanza probabilmente unica nella lunga storia umana. Sarebbe stato un paradiso biologico per tanti antropologi, ecologi e studiosi di oggi, poter osservare una tale varietà di ominidi che interagivano tra loro!
Ma poi il tempo, inesorabile, passò. Gli Australopithecus africanus furono i primi a estinguersi. Dopo poche centinaia di migliaia di anni la medesima triste sorte toccò all'Australopithecus sediba.
L'Homo habilis, dopo circa un milione di anni di esistenza, sarebbe giunto a estinguersi intorno a 1,4 milioni di anni fa. Un milione di anni di esistenza (o forse anche più) per una specie ominide è un traguardo considerevole, quindi può essere che l'Homo habilis si estinse fisiologicamente. Tanto più che, secondo alcune teorie, lo stesso Homo erectus potrebbe essersi evoluto da alcune popolazioni di habilis, quindi i geni dell'Homo habilis non sarebbero andati del tutto estinti (anche se c'è ancora dibattito su questo).
Rimanevano vive altre specie di ominidi, come l'Homo gautengensis e il Paranthropus robustus, ma il vero dominatore ominide rimasto nelle savane e boscaglie sudafricane era sempre più l'Homo erectus, che nel frattempo aveva vissuto un'evoluzione cerebrale fino a superare i 1000 centimetri cubici di capacità cranica.
Dopo oltre mezzo milione di anni dalla scena che abbiamo raccontato sopra, l'Homo erectus aveva ormai raggiunto il dominio del fuoco e un miglioramento delle capacità di lavorare le sue pietre bifacciali, tant'è che a partire da 1,5 milioni di anni fa si assiste a una graduale evoluzione dell'antica tecnica olduvaiana, verso una tecnica sempre più perfezionata, che viene chiamata Tecnica Acheuleana. Queste innovazioni permisero all'Homo erectus probabilmente la lavorazione delle pelli e una dieta più diversificata, che includeva anche carne in modo più considerevole di quanto mai avvenuto prima, potendola ora arrostire sul fuoco.
Nel giro di decine di migliaia di anni, il cibarsi di carne fece incrementare ancor più le capacità cerebrali dell'erectus, e per la prima volta nel mondo degli ominidi questa divenne una specie cacciatrice. Alcuni siti archeologici mostrano segni di cacciagione medio-grande, come bovini e perfino elefanti preistorici. Un tale stile di vita comportò una necessità di organizzazione sociale sempre più avanzata, rispetto agli ominidi precedenti. Che includeva anche il prendersi cura dei membri anziani, dei malati e dei feriti. Insomma, stava prendendo forma l'umanità nel senso che diamo oggi a questo termine. Non che prima i sentimenti nei confronti dei propri amati fossero assenti, anzi: basti vedere oggi che anche tanti mammiferi, e non solo mammiferi, proteggono la prole e i membri del gruppo, e spesso si disperano se un membro amato (come un cucciolo, o il partner) muore. Ma l'Homo erectus organizzò, per così dire, questi sentimenti in una forte società di gruppi di cacciatori e raccoglitori (raccoglitori di frutti e vegetali), che sarebbe rimasta pressoché simile per centinaia di migliaia di anni, fino all'uomo moderno, noi. Si discute se l'Homo erectus riuscisse ad articolare un linguaggio, e si ritiene di no a causa della conformazione della sua laringe e delle vertebre cervicali, conformazione che, come per tutti gli altri ominidi fino ad allora (e anche per gli attuali bonobo e scimpanzè, per esempio), non consentiva un'articolazione di parola. Anche se c'è chi ritiene che, per far fronte a una nuova organizzazione sociale, l'Homo erectus fosse in grado di spiegarsi con un primitivo proto-linguaggio.
Questi passaggi storici, fondamentali nella storia della nostra umanità, non si sa ovviamente in che modo e in che momento avvennero. Noi oggi siamo abituati a ragionare in anni, mentre quando ci riferiamo a quelle epoche remote, lo avrete capito ormai, la vita rimaneva la stessa per centinaia di migliaia di anni, un tempo che per noi, per le nostre attività, non ha nemmeno senso. Non dico che non ci furono momenti epici anche in quelle epoche, basti pensare alle migrazioni dell'Homo erectus in tutta l'Africa e fuori dell'Africa. Ma sono eventi così lontani che non riusciamo a collocarli con precisione, e comunque lo stile di vita rimaneva in sostanza veramente invariato per centinaia di migliaia di anni.
E così passava uniforme il tempo, al ritmo di centinaia di migliaia di anni. Generazioni di ominidi si succedevano, nei loro piccoli e grandi drammi personali e famigliari. Il clima variava, a volte più caldo, a volte più freddo. Tutti avvenimenti che a noi, così distanti nel tempo, non interessano.
Nel frattempo alcune specie si estinguevano, come il Paranthropus robustus, che era l'ultima specie affine agli australopitechi sopravvissuta fino ad allora. Con la scomparsa del Paranthropus robustus, intorno a 1,2 milioni di anni fa, spariva per sempre quel lignaggio australopitecino che esisteva in Africa da ben 3 milioni di anni, un record assoluto nella grande famiglia degli ominidi.
Spariti per sempre gli australopitecini, nuovi mammiferi invece evolsero, carnivori o erbivori, come, intorno a 1 milione di anni fa, i moderni leoni e giraffe. Altri animali invece, come i rinoceronti e i coccodrilli, esistevano già da centinaia di migliaia di anni.
E poi... Poi arrivò la catastrofe, seguita da una nuova rinascita. Recentissimi studi genetici ci hanno fatto scoprire che, forse a causa di lunghi cicli glaciali alternatisi per oltre centomila anni, si verificarono ondate di estinzioni di grandi mammiferi in Eurasia, e anche l'Africa fu colpita da lunghe fasi di forte aridità e carestie. Avvenne più o meno dai 900.000 agli 800.000 anni fa. E siamo giunti alla rivoluzionaria scoperta che anche l'Homo erectus, che forse all'epoca si aggirava attorno ai 100mila individui sparsi tra Africa ed Eurasia, andò vicinissimo all'estinzione: soppravvissero meno di 1300 individui fertili in tutto! Per rendere meglio l'idea, basti pensare che è un numero inferiore a quello dei panda oggi esistenti in natura (e il panda è considerato oggi una specie a rischio d'estinzione). Fu un crollo demografico avvenuto forse nel corso di migliaia o anche di decine di migliaia di anni, ma che sembrava condurre inesorabilmente verso l'estinzione.
Sorte che toccò ad altre specie anche cugine, come, qui in Sudafrica, lo stesso Homo gautengensis, che arrivò a estinguersi proprio in seguito a questo periodo, dopo forse ben quasi due milioni di anni di esistenza (anche se non abbiamo ancora abbastanza fossili di Homo gautengensis per poter stabilire delle date sull'inizio della sua esistenza).
Questa riduzione della popolazione ebbe comunque effetti incredibilmente importanti anche per l'Homo erectus: secondo i paleontologi, quando nell'evoluzione una popolazione viene drasticamente ridotta, tenderebbero ad accumularsi rapidamente (decine di migliaia di anni) cambiamenti genetici che possono portare alla nascita di nuove specie. Nel nostro caso, ciò che avvenne tra 900.000 e 800.000 anni fa fu che le estreme condizioni di sopravvivenza, al limite dell'estinzione, "spinsero" il genoma dell'Homo erectus a trasformarsi, distinguendosi per sempre da quello delle scimmie antropomorfe. Fu proprio in quel periodo infatti che il ramo evolutivo umano si separò da quello delle scimmie antropomorfe più vicine, come i gorilla, gli scimpanzè e i bonobo, che tuttoggi sono le specie geneticamente più vicine alla nostra: il loro corredo genetico è composto di 24 coppie di cromosomi, mentre la nostra specie ha 23 coppie di cromosomi. Sarebbe avvenuto proprio in quel periodo, di estrema difficoltà per la sopravvivenza del genere Homo, l'evento chiave: la fusione di due cromosomi ancestrali che diede origine a quello che è oggi il nostro cromosoma 2. Ciò portò il nostro corredo genetico a 46 cromosomi, mentre quello delle scimmie antropomorfe rimase a 48 cromosomi: anche loro fortunatamente sopravvissero, ma "si persero" questo passaggio fondamentale che avrebbe portato il genere Homo a un balzo evolutivo senza precedenti.
Ben il 98,7% della popolazione di Homo erectus si estinse, ma le sofferenze e la tenacia di quegli appena 1300 individui sopravvissuti portarono all'evoluzione genetica in una nuova specie. Una specie "potenziata" rispetto all'Homo erectus (che pure era già la specie più evoluta sul pianeta ai suoi tempi).
A questa nuova specie è stato dato il nome di Homo heidelbergensis, dal nome del luogo in Germania, Heidelberg, dove vennero ritrovati per la prima volta fossili appartenenti a questa specie.
L'Homo heidelbergensis aveva una capacità cranica più sviluppata dell'Homo erectus, sui 1100-1200 cm cubici in media, e un'altezza media di 1,70 m, quindi anche la sua struttura fisica si avvicinava a quella dell'uomo moderno. Si ritiene inoltre che, a differenza di qualsiasi ominide precedente, riuscisse ad articolare suoni complessi, permettendo quindi una più ampia trasmissione di conoscenze e aprendo la strada alla condivisione del sapere, un altro passaggio fondamentale verso l'uomo moderno.
Quando, terminata la lunga era glaciale, il clima migliorò, questa nuova rivoluzionaria specie cominciò nuovamente ad accrescere di numero, e ricominciò a migrare a lunghe distanze, come aveva già fatto in precedenza l'Homo erectus. Tant'è che si formarono diverse razze o sottospecie di Homo heidelbergensis a seconda delle diverse aree dove andò a vivere, dal sud al nord dell'Africa, all'Europa, all'Asia.
Un fossile di Homo heidelbergensis fu trovato nel 1953 nel Sudafrica occidentale. Si tratta di un cranio, che venne soprannominato "Saldanha man". Non è stato mai datato con precisione, ma si stima che risalga all'incirca a mezzo milione di anni fa.
In diversi siti archeologici sudafricani sono stati ritrovati manufatti molto avanzati, risalenti tra i 500.000 e i 400.000 anni fa. In particolare nel sito di Kathu Pan, nella provincia del Nord Ovest, sono state ritrovate punte di lancia in pietra, le più antiche di questo genere ritrovate finora, risalenti a mezzo milione di anni fa. Questo indica che gli heidelbergensis sudafricani usavano già a quell'epoca lance con punte di pietra, per cacciare quindi animali di grossa taglia, utilizzando tecniche di caccia di gruppo. Oltre a utilizzare il fuoco per difendersi, per tenere pulizia dalla vegetazione secca e per cuocere il cibo, usavano pelli di animali per vestirsi e proteggersi dal freddo, ed erano addirittura già in grado di costruire strutture in legno! (Come dimostra una rivoluzionaria scoperta in Zambia).
L'evoluzione non è mai lineare, e accanto a specie più evolute hanno sempre convissuto, come si è visto, anche specie più arcaiche.
Anche mezzo milione di anni fa, accanto all'evolutissimo Homo heidelbergensis, viveva in Sudafrica una specie molto più primitiva: l'Homo naledi. Naledi significa stella in lingua sotho, e il nome deriva dal nome della caverna in cui sono stati scoperti i fossili, Rising Star Cave. La scoperta dei fossili di questa specie è recente, risale al 2013. Si tratta di resti di ben una quindicina di individui, un caso molto fortunato in paleoantropologia. Eppure, nello studio di questi fossili è venuto fuori che questi ominidi avevano delle caratteristiche molto primitive per l'epoca. Potevano camminare sui due piedi su lunghe distanze, ma a quanto pare erano ancora molto legati alla vita sugli alberi. Erano alti solo un metro e mezzo (altezza simile agli australopitechi) e presentavano caratteristiche miste tra quelle del genere Homo e quelle degli australopitecini. La morfologia del cranio, della mandibola e dei denti è simile a quella delle altre specie Homo, ma le dimensioni del cervello, grande all'incirca come un'arancia, sono comparabili a quelle del genere Australophitecus (tra i 465 e i 610 centimetri cubici); gli arti inferiori hanno una forma molto simile a quella degli Homo sapiens, mentre la conformazione del bacino ricorda quella degli australopiteci; le proporzioni delle dita delle mani sono simili a quelle dell'essere umano moderno, ma le falangi prossimali sono estremamente ricurve, anche in misura maggiore rispetto a qualsiasi australopiteco; la forma delle vertebre è simile a quella delle specie Homo di mezzo milione di anni fa, mentre la cassa toracica si allarga nella parte inferiore come quella dell'Australopithecus afarensis (una specie di australopiteco arcaico dell'Africa orientale).
L'evoluzione non è mai lineare, e accanto a specie più evolute hanno sempre convissuto, come si è visto, anche specie più arcaiche.
Anche mezzo milione di anni fa, accanto all'evolutissimo Homo heidelbergensis, viveva in Sudafrica una specie molto più primitiva: l'Homo naledi. Naledi significa stella in lingua sotho, e il nome deriva dal nome della caverna in cui sono stati scoperti i fossili, Rising Star Cave. La scoperta dei fossili di questa specie è recente, risale al 2013. Si tratta di resti di ben una quindicina di individui, un caso molto fortunato in paleoantropologia. Eppure, nello studio di questi fossili è venuto fuori che questi ominidi avevano delle caratteristiche molto primitive per l'epoca. Potevano camminare sui due piedi su lunghe distanze, ma a quanto pare erano ancora molto legati alla vita sugli alberi. Erano alti solo un metro e mezzo (altezza simile agli australopitechi) e presentavano caratteristiche miste tra quelle del genere Homo e quelle degli australopitecini. La morfologia del cranio, della mandibola e dei denti è simile a quella delle altre specie Homo, ma le dimensioni del cervello, grande all'incirca come un'arancia, sono comparabili a quelle del genere Australophitecus (tra i 465 e i 610 centimetri cubici); gli arti inferiori hanno una forma molto simile a quella degli Homo sapiens, mentre la conformazione del bacino ricorda quella degli australopiteci; le proporzioni delle dita delle mani sono simili a quelle dell'essere umano moderno, ma le falangi prossimali sono estremamente ricurve, anche in misura maggiore rispetto a qualsiasi australopiteco; la forma delle vertebre è simile a quella delle specie Homo di mezzo milione di anni fa, mentre la cassa toracica si allarga nella parte inferiore come quella dell'Australopithecus afarensis (una specie di australopiteco arcaico dell'Africa orientale).
L'origine di questa specie del genere Homo rimane avvolta dal mistero. Qualcuno ipotizza che fosse una specie Homo arcaica sopravvissuta per diverse centinaia di migliaia di anni, o un incrocio interspecie tra una specie Homo (gautengensis o erectus) e una specie di australopitecini, come per esempio il Paranthropus robustus, che esisteva fino almeno a 1,2 milioni di anni fa (quindi l'incrocio sarebbe avvenuto attorno a quell'epoca, portando poi col tempo alla specie Homo naledi). Ma allo stato attuale non si ha alcuna prova, e i fossili ritrovati risalgono a un'età compresa tra 335.000 e 236.000 anni fa.
Quella fu un'era di assoluta importanza storica per noi moderni umani, perché fu proprio intorno a quell'epoca che alcune popolazioni di Homo heidelbergensis, probabilmente (anche qui, per il momento non si hanno prove), giunsero al termine di un ulteriore progresso evolutivo, durato come minimo un paio di centinaia di migliaia di anni, evolvendosi fino ad assumere le caratteristiche di una nuova specie: l'Homo sapiens.
A questo punto, dopo questa lunga panoramica di quasi due milioni di anni sulle specie Homo che ci hanno preceduti, entrava in campo una specie che in brevissimo tempo si sarebbe presa la scena soppiantando tutti gli altri: la nostra. Ma questo è argomento per un prossimo post.
Quella fu un'era di assoluta importanza storica per noi moderni umani, perché fu proprio intorno a quell'epoca che alcune popolazioni di Homo heidelbergensis, probabilmente (anche qui, per il momento non si hanno prove), giunsero al termine di un ulteriore progresso evolutivo, durato come minimo un paio di centinaia di migliaia di anni, evolvendosi fino ad assumere le caratteristiche di una nuova specie: l'Homo sapiens.
A questo punto, dopo questa lunga panoramica di quasi due milioni di anni sulle specie Homo che ci hanno preceduti, entrava in campo una specie che in brevissimo tempo si sarebbe presa la scena soppiantando tutti gli altri: la nostra. Ma questo è argomento per un prossimo post.
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