lunedì 18 maggio 2020

Sudafrica: le Origini - 3 (i Khoesān)

Le ultime scoperte paleoantropologiche ci dicono che la nostra specie si evolse in Africa meno di mezzo milione di anni fa, probabilmente dall'Homo heidelbergensis.

Abbiamo terminato lo scorso post accennando all'evoluzione di alcuni Homo heidelbergensis sudafricani verso una nuova specie, il che avvenne proprio un po' dopo il mezzo milione di anni fa.
In Sudafrica, forse prima di 300.000 anni fa, accanto alle ultime popolazioni sopravvissute di Homo heidelbergensis stava facendo la sua comparsa una nuova specie, evolutasi da altre popolazioni heidelbergensis: l'Homo sapiens.
Un fossile depone a favore di questo scenario. È stato chiamato "teschio di Florisbad", dal nome del sito archeologico dove venne scoperto nel 1932, nel Sudafrica centrale. L'importantissima particolarità di questo teschio è che presenta caratteristiche miste, a metà strada tra gli Homo heidelbergensis e i primi Homo sapiens. Basandosi sui resti di smalto di un dente del teschio, analizzati con risonanza elettronica, il reperto è stato datato a un arco temporale compreso tra 295.000 e 224.000 anni fa.

Altri fossili in Africa scoperti negli ultimi decenni mostrano caratteristiche simili a quelle del teschio di Florisbad, cioè caratteristiche di passaggio tra Homo heidelbergensis e Homo sapiens. Il fatto importante è che queste recenti scoperte sono state fatte in diversi angoli del continente africano, perfino in Marocco (reperti di oltre 300.000 anni fa), non solo in Africa orientale o meridionale. Ciò ha fatto nascere una nuova interessante teoria: l'Homo sapiens non si sarebbe evoluto in una sola regione dell'Africa, ma diverse popolazioni sapiens sarebbero sorte separatamente in varie regioni del continente africano, evolutesi da diverse popolazioni di Homo heidelbergensis. Queste razze o forse addirittura sottospecie di sapiens, proprio come era successo per gli heidelbergensis, erano diverse tra loro in modo molto più marcato di quanto non lo siano gli umani moderni di oggi. Oggi si distingue (in modo grossolano e con criteri non scientifici) tra fenotipi africani, asiatici, bianchi... Ma i sapiens arcaici di 300.000 anni fa, sparsi per l'Africa (non ancora fuori dell'Africa), avevano diversità morfologiche derivanti dall'essere probabilmente i prodotti genetici di popolazioni heidelbergensis molto diverse tra loro, e non solo: come sappiamo in quell'epoca in Sudafrica esisteva anche l'arcaico Homo naledi, e gli studiosi ritengono che potessero anche avvenire accoppiamenti tra Homo nalediHomo heidelbergensis e questi stessi Homo sapiens arcaici. E questo vale per qualsiasi altra regione dell'Africa, dove ancora esistevano altre specie o sottospecie del genere Homo. Per questo in quell'epoca preistorica avrebbe senso parlare di sottospecie o di razze di Homo sapiens diverse tra loro, mentre per noi umani di oggi parlare di razza non ha alcun valore scientifico, perché spesso le differenze genetiche (tra l'altro risibili) sono maggiori tra individui dello stesso gruppo che tra gruppi apparentemente lontani. Per esempio, è attestato scientificamente che oggi un africano e un asiatico, o un bianco, possono essere talvolta geneticamente più vicini tra loro di quanto lo siano con membri dei loro stessi Paesi di provenienza. Questo la dice lunga su quanto la nostra specie si sia mescolata nel corso di decine di migliaia di anni.

Torniamo a 300.000 anni fa. Le diverse popolazioni di sapiens arcaici che vivevano negli angoli più disparati del continente africano, separate da distanze geografiche abissali (per loro) e da barriere naturali (giungle, montagne), evolsero per lo più isolate tra loro, magari anche accoppiandosi con altre specie Homo che vivevano nelle loro stesse regioni e sviluppando caratteri morfologici e sociali originali, diversi per esempio tra i sapiens sudafricani e quelli del Marocco. Periodicamente, a causa di cambiamenti climatici che rimodellavano il paesaggio, facendo inverdire i deserti o asciugando le umide giungle tropicali, queste diverse popolazioni avevano occasione di venire in contatto e di mescolarsi geneticamente, mentre in altri periodi nuovi cambiamenti o migrazioni le facevano separare, tornando a isolarsi per migliaia di anni. Eventi di isolamento e di mescolanze genetiche sarebbero avvenuti a più riprese nel corso di decine di migliaia di anni, fino a quando la mescolanza genetica avrebbe avuto la meglio e sarebbe venuta fuori la nostra sottospecie Homo sapiens sapiens, l'uomo moderno. Studi genetici effettuati nel 2019 affermano che tutta l'umanità di oggi deriverebbe geneticamente dalla mescolanza di popolazioni sapiens tra l'Africa orientale e meridionale, in un arco di tempo tra i 350.000 e i 260.000 anni fa. Oggi nel mondo scientifico non si parla più di sottospecie sapiens sapiens, ma si preferisce considerare l'umanità di oggi semplicemente come specie Homo sapiens. Però è altrettanto consolidato ormai tra gli studiosi che tra 350.000 e 200.000 anni fa ci fossero, come detto, diverse sottospecie o almeno, come minimo, razze di Homo sapiens, e che alla fine la nostra ebbe la meglio nel percorso evolutivo.

Ora che abbiamo visto la panoramica generale, torniamo al Sudafrica di 300.000 anni fa. Doveva essere un luogo molto interessante da osservare e studiare per i biologi e paleontropologi, come era stato il periodo preistorico di 2 milioni di anni fa, che abbiamo raccontato nel post precedente. A differenza di 2 milioni di anni fa, 300.000 anni fa non esistevano più gli australopiteci, ma in ogni caso convivevano nella medesima regione ben tre diverse specie appartenenti al genere Homo: Homo naledi, Homo heidelbergensis e Homo sapiens. Esistono siti, come i due siti di Duinefontein, non lontano da Città del Capo, che presentano resti di strumenti in pietra usati da questi ominidi, risalenti tra i 400.000 e i 200.000 anni fa.
A partire da quelle epoche, forse a causa dell'espansione e del dominio tecnologico e sociale dei nuovi Homo sapiens, gradualmente le popolazioni restanti delle altre specie Homo, incluse quelle di Homo naledi, di Homo heidelbergensis e degli altri Homo sapiens arcaici, cominciarono ad andare verso l'estinzione. Ma non possiamo sapere fino a quando per esempio le ultime tribù di Homo naledi sopravvissero. I fossili in nostro possesso risalgono a un lasso di tempo che si spinge forse fino a 235.000 anni fa. Ma chissà se altri individui della stessa specie rimasero in giro ancora a lungo dopo quella data.

In quella che ai nostri occhi di oggi può sembrare un'esistenza che si protraeva uguale per migliaia e migliaia di anni senza avvenimenti, accadeva a volte qualche evento cataclismico. Come l'impatto meteoritico avvenuto più o meno 220.000 anni fa, una quarantina di chilometri a nord dell'attuale città di Pretoria, nella municipalità di Tswaing.
Nella pianura alberata di allora pascolavano o predavano specie animali simili a quelle attuali, come antilopi, elefanti, giraffe, leoni, leopardi, iene, e specie oggi estinte, come delle grandi zebre (Equus capensis) e gnu giganti (Megalotragus priscus). E sicuramente vivevano pure degli ominidi, tra cui probabilmente anche Homo sapiens.
In uno scenario tranquillo come quello appena descritto, un giorno di circa 220.000 anni fa (50mila anni più, 50mila anni meno) un meteorite attraversò in pochi secondi l'atmosfera terrestre a una velocità di molte volte superiore a quella del suono, e si andò a schiantare in quella placida pianura alberata. Fu un'esplosione immane, quasi cento volte più potente della bomba atomica di Hiroshima (ma senza radiazioni). Il suolo venne polverizzato nel raggio di diverse centinaia di metri, e a causa dell'onda d'urto, venti bollenti alla velocità di mille chilometri orari seminarono morte e distruzione in un raggio fino a quasi di venti chilometri dal luogo dell'impatto. Si stima che la vegetazione venne distrutta o severamente danneggiata in un'area compresa tra gli 800 e i 2000 chilometri quadrati, e che anche gli animali e gli ominidi che si trovavano a una ventina di chilometri di distanza rimasero come minimo feriti a causa dell'onda d'urto (per non parlare di quelli che si trovavano più vicino, che morirono). L'impatto generò un cratere profondo un centinaio di metri e largo oltre un chilometro, che esiste tutt'oggi, e che col tempo si riempì di acque di risorgiva e pluviali.
Forse alcuni Homo sapiens rimasero vittime di quell'esplosione e probabilmente altri che vivevano nell'area circostante ne furono testimoni da lontano. Chissà con quale shock vissero un tale catastrofico evento, che non potevano riuscire a spiegarsi. Considerando che le loro funzioni cerebrali erano ormai in tutto simili alle nostre (o, nell'ipotesi più prudente, per lo meno molto simili), forse si tramandarono tra loro, per generazioni e generazioni, la memoria di quella tragedia. Forse tale evento spinse qualcuno di loro a domandarsi se per caso non fosse avvenuto a causa di una forza superiore e onnipotente... Chissà. In ogni caso si trattò di un cataclisma locale: gli animali e gli umani che vivevano lontano da quell'area continuarono le loro vite senza rendersi conto di ciò che era successo in quel luogo, nel quale in ogni caso nel giro di qualche decennio piante e animali ricominciarono a crescere e a vivere. E si hanno tracce che almeno a partire da 100.000 anni fa gli umani frequentavano il sito del cratere per prelevare il sale, visto che l'acqua nel cratere ha una concentrazione salina molto elevata.

E qui arriviamo a parlare di chi erano questi nuovi umani. Forse fu a partire già da oltre 200.000 anni fa che una delle popolazioni di Homo sapiens con sue caratteristiche proprie di gruppo, cominciò a diffondersi nell'Africa meridionale, rimanendo separata geneticamente rispetto agli altri Homo dell'epoca, e dando vita a un gruppo umano i cui discendenti esistono ancora oggi: sono le popolazioni raggruppate sotto il comune nome Khoesān. I Khoesān tutt'oggi vivono in aree isolate dell'Africa meridionale e sono quindi gli Homo sapiens geneticamente di più antica origine tra quelli oggi esistenti. Oggi sono stimati esistere meno di 400mila Khoesān, divisi in due popolazioni distinte: circa 300mila Khoekhoen e circa 90mila Sān (contando anche quelli con sangue misto bantu, ma si ritiene che quelli puri siano rimasti in meno di 15.000 individui), in aree isolate tra Botswana, Namibia e Sudafrica (i Sān in passato venivano chiamati Boscimani, e i Khoekhoen venivano chiamati Ottentotti).

Quel che è quasi certo è che a partire da 200.000 anni fa i Khoesān si stavano espandendo in tutta l'Africa meridionale e orientale a sud dell'equatore, diventando la popolazione di Homo sapiens più numerosa. Il sito archeologico di Border Cave, nel Sudafrica settentrionale presso il confine con lo Swaziland, attesta la presenza umana a partire da 200.000 anni fa.
Da 195.000 a 123.000 anni fa il mondo attraversò un'era glaciale e in Africa l'ambiente diventò più secco e arido. Eppure risalgono proprio a questo periodo di tempo delle straordinarie scoperte sul più antico comportamento della nostra specie, scoperte che negli ultimi vent'anni hanno costretto a riscrivere la nostra preistoria più antica. Gli studiosi non si possono sbilanciare nel dire se gli umani in questione fossero antichi Khoesān, perché nella grande maggioranza dei casi sono stati ritrovati manufatti ma non resti umani. È probabile che lo fossero comunque, perché come detto erano loro il gruppo umano più numeroso in Africa meridionale all'epoca.
In uno studio del 2015 alcuni ricercatori hanno sostenuto che nella Wonderwerk Cave, nel Sudafrica centrosettentrionale, siano stati trovati "manuporti" (pietre non modificate dall'uomo ma trasportate dall'uomo in posti diversi da quelli di origine) portati negli strati più profondi della caverna oltre 180.000 anni fa, in strati della grotta che presentano particolari caratteristiche acustiche e visive. Queste pietre sarebbero state portate là, nell'opinione di questi ricercatori, per un certo motivo e forse con un certo significato simbolico. Sarebbe quindi, secondo loro, un indizio di una presenza del senso simbolico nella mente dei Khoesān di oltre 180.000 anni fa.
Ma decisamente più empiriche sono le scoperte rinvenute in un sito molto più a sud, sulla costa meridionale del Sudafrica a meno di 400 km da Città del Capo, sul promontorio di Pinnacle Point. Una campagna di scavi iniziata nel 1999 in una grotta a 13 metri sul livello del mare ha rivelato ricchi resti archeologici, con focolari e strumenti di pietra risalenti anche a 165.000 anni fa. I piccoli strumenti litici sono di silcrete, una roccia la cui lavorazione richiedeva il riscaldamento per lungo tempo alla temperatura di 350 C°, cioè per mezzo di una tecnica che fino a poco tempo fa si riteneva avesse avuto origine in Francia nella molto più recente epoca del Solutreano (appena 20.000 anni fa). Sono stati inoltre trovati numerosi pezzi di ocra lavorati il che fa ritenere una preferenza, da parte di quegli antichi abitanti della grotta, per il colore rosso forse perché associato alla fertilità. È possibile anche che l'ocra venisse usata come pigmento sul corpo.
La raccolta dei frutti di mare su quelle coste può essere pericolosa in quanto questi organismi vivono sulle scogliere nella zona interidale, dove l'onda della marea di ritorno può travolgere il raccoglitore. La raccolta è sicura solo quando avviene durante il minimo livello di bassa marea. Poiché le maree sono legate alle fasi lunari, il paleontologo americano che ha scoperto il sito di Pinnacle Point, Curtis William Marean, ha ipotizzato che gli abitanti di quella grotta, fin da 165.000 anni fa, ricorressero a qualche calendario lunare, come fanno i moderni popoli costieri. La possibilità di accumulare mitili e frutti di mare in depositi per avere a disposizione cibo permanentemente, anziché dover muoversi ogni volta per cacciare selvaggina, favorì un'abitazione stanziale del luogo, e questo in ultima istanza favorì l'emergere sempre più di sistemi sociali complessi e del pensiero simbolico.
I reperti di Pinnacle Point hanno rivelato che capacità cognitive avanzate erano possedute da alcuni gruppi umani in epoche molto più remote di quanto si pensasse fino ad anni recenti. Forse, in un periodo glaciale come quello, posti come Pinnacle Point, ricchi in molluschi e piante commestibili, erano tra i pochi luoghi in cui gli umani potevano vivere.


Ma a partire da 130.000 anni fa, col graduale termine di quel periodo glaciale, si diffuse una nuova particolare cultura litica, la cosiddetta cultura sangoana, che dai manufatti ritrovati si estendeva come minimo tra le attuali Botswana e Uganda, e anche oltre, quindi sicuramente includeva almeno il Sudafrica settentrionale. Ancora oggi gli attuali Khoekhoen e Sān assomigliano morfologicamente agli antichi scheletri di epoca sangoana. La tecnica sangoana era in sostanza un'evoluzione dalla precedente acheuleana. Gli oggetti scheggiati, su due facce, non erano più solo pietre, ma anche ossa e corni di animali. Forse già a quell'epoca le popolazioni sangoane parlavano il linguaggio con le consonanti col "clic", tipico delle attuali popolazioni Khoesān, ed erano strutturate in tribù di cacciatori e raccoglitori.
Il sito archeologico delle Grotte del fiume Klasies, nel Sudafrica sudorientale, fatto risalire a circa 125.000 anni fa, ha restituito informazioni molto interessanti sulle popolazioni umane che lo abitavano, anche se gli studiosi non si sbilanciano a dire se fossero Khoesān o altri gruppi diversi di Homo sapiens. Dai resti è emerso che quegli antichi abitanti cacciassero piccola selvaggina, raccogliessero piante, radici e fiori, e accendessero fuochi in focolari. C'è evidenza di raccolta di conchiglie e di cottura di piante, radici, carne di foche, pinguini e antilopi nei focolari. C'è anche segno di trattamento della terra e della prateria col fuoco, probabilmente per tenere il sito abitativo libero da vegetazione infestante. Allo stesso tempo, i segni sembrano indicare una presenza stagionale o migratoria, non fissa. E poi, ci sono anche tracce di ossa umane carbonizzate, tranciate e buttate assieme ai resti dei pasti. Chissà se si trattava di cannibalismo rituale o semplicemente di sopravvivenza.

Negli anni '90 venne scoperta una grotta sulla costa a 300 km a est di Città del Capo, nel sito archeologico di Blombos, che si rivelò essere uno scrigno contenente molte rivelazioni sulle popolazioni sudafricane di 100.000 anni fa.
Nel 2008 nel sito è stata scoperta quella che doveva essere una fucina per produrre pigmenti, risalente appunto a circa 100.000 anni fa. Delle analisi hanno mostrato tracce di liquido colorato collezionato in appositi gusci di conchiglia usati come contenitori, e tra gli "oggetti del mestiere" sono stati ritrovati resti di ocra, carbone, ossa, e pietre con la funzione di mole e martelli. Il processo di estrarre materiale grezzo e di lavorarlo richiedeva capacità non solo tecniche, ma anche di immaginazione, astrazione e organizzazione mentale: immaginarsi cosa sarebbe diventata la terra di ocra grezza al termine del lavoro, e attraverso quali processi, è un segno di assoluta modernità per come intendiamo noi questo termine.
Non solo. Nel sito furono ritrovati pezzi di ocra incisi con disegni geometrici regolari, punte di lancia, utensili in osso, perle e parti di collane e braccialetti ricavati dalla lavorazione di piccole conchiglie. La gran parte di questi oggetti è stata scavata in strati datati tra gli 80.000 e i 75.000 anni fa. Ciò significa che gli abitanti della grotta di Blombos di quell'epoca si dedicavano anche a creare ornamenti estetici, e anche oggetti con disegni simbolici. La presenza di questi ultimi in particolare ha fornito la prova che gli abitanti del Sudafrica di quell'epoca erano decisamente in grado di elaborare pensieri simbolici astratti, oltre che dedicarsi a passatempi estetici, come testimonia la presenza di conchiglie lavorate in braccialetti e collane.
Tutto questo ha dell'incredibile se si pensa che appena poco più di 100.000 anni prima esistevano ancora gli arcaici Homo naledi, che avevano vissuto ancora allo stesso modo in cui gli australopiteci vivevano due milioni di anni fa. In soli 150.000 anni si era passati da ominidi antichi (gli stessi Homo heidelbergensis, pur essendo socialmente già molto sviluppati, non potevano competere con le capacità tecnologiche di questi nuovi Homo sapiens) a umani in tutto e per tutto simili a noi!

Circa 75.000 anni fa, una catastrofica esplosione di un supervulcano ebbe luogo nel Lago Toga nell'attuale Indonesia. Fu probabilmente il più grande evento eruttivo negli ultimi 25 milioni di anni. Il genere Homo, nato appena dai 2 ai 3 milioni di anni fa, ma anche tanti altri generi animali, non avevano mai assistito a un disastro ambientale simile, e molti studi ritengono che le conseguenze di questo evento portarono molte specie vicino all'estinzione. Si ritiene che, a parte le terribili distruzioni avvenute nella regione dell'esplosione, ci fu poi una dispersione di cenere vulcanica nell'atmosfera che coprì la luce solare su buona parte del pianeta per un tempo dai sei ai dieci anni, e forse per ben un migliaio d'anni la temperatura precipitò a livelli più freddi di prima. Considerando che il pianeta stava già attraversando un periodo di raffreddamento globale, questo evento fu come una mazzata per molte specie viventi. Recenti studi sostengono che l'Africa non sarebbe stata interessata da un sensibile raffreddamento, eppure, proprio attorno a quel periodo, si assiste a un assottigliamento genetico in diverse specie di mammiferi, tra cui anche negli scimpanzè dell'Africa centrale. Questo indica che le specie in questione in quell'epoca si ridussero di numero fino a poche migliaia di esemplari: probabilmente le conseguenze globali di quella esplosione portarono ad aridità e carestie in Africa.
Proprio come era successo durante la terribile lunga era glaciale 800.000 anni prima ai nostri antenati Homo erectus, anche la nostra specie, dicono i genetisti, intorno a 70.000 anni fa si ridusse fino a poche migliaia di individui in tutto il mondo, tra i 3000 e i 10.000. Questo spiegherebbe come mai ci sia quasi nulla diversità genetica tra noi umani di oggi. È il cosiddetto "collo di bottiglia" genetico, cioè un passaggio storico in cui tante popolazioni scompaiono, solo una manciata sopravvive, per poi moltiplicarsi in seguito e raggiungere la diversificazione che conosciamo oggi, a partire da quel "collo di bottiglia" di 70.000 anni fa. Tutti noi oggi discendiamo da quella manciata di poche migliaia di individui sopravvissuti.

Gli Homo sapiens quindi si ridussero come detto a qualche migliaio di individui in tutto. I maggiori interessati da questo decremento della popolazione furono i Khoesān, che all'epoca erano il gruppo umano più numeroso. Le tribù di Khoesān sopravvissute persero la predominanza demografica che avevano avuto fino ad allora sugli altri gruppi umani, ma continuarono a tramandare la loro cultura sangoana. Statisticamente è lecito pensare che la popolazione umana in Sudafrica tra i 75.000 e i 50.000 anni fa si fosse ridotta ad appena alcune centinaia di Khoesān in tutto!

Ma questo non frenò il loro cammino verso un progresso tecnologico e sociale, anzi sulle coste sudafricane è ormai attestato da alcune ricerche che la popolazione subì addirittura un incremento, e che in sostanza viveva più che bene.
Come era successo dopo il "collo di bottiglia" di 800.000 anni fa, i reperti successivi a 70.000 anni fa ci mostrano un improvviso miglioramento tecnico in tutti gli ambiti dello sviluppo umano.
Nel sito della Sibudu Cave, circa 40 km a nord della città di Durban, presso la costa orientale sudafricana, dagli anni '80 sono state fatte scoperte inaspettate e straordinarie. Già risalenti a circa 77.000 anni fa, precedenti alla catastrofe di Toba, sono i resti di costruzione di giacigli e lenzuola, intrecciati con foglie aromatiche contenenti insetticidi naturali, e si tratta dei resti più antichi rinvenuti al mondo. L'uso di erbe e vegetali con scopi igienici e forse medici testimonia un nuovo grado di sviluppo di questi umani. Altri resti più antichi al mondo, risalenti almeno a 71.000 anni fa, sono le tracce di un composto a base di gomma vegetale e ocra rossa, usato come colla per fissare punte di pietra a bastoni, per creare lance.
Altri reperti della Sibudu Cave risalgono a circa 61.000 anni fa e sono altrettanto straordinari. Si tratta dei più antichi aghi in osso, e delle più antiche frecce in osso, il che significa che questi Khoesān utilizzavano già arco e frecce oltre 60.000 anni fa (almeno 20.000 anni prima di altri ritrovamenti). Inoltre la presenza di un alto numero di resti di piccole antilopi ha fatto pensare all'uso di trappole e quindi a una caccia organizzata e premeditata.

Reperti simili sono stati trovati in un importante sito archeologico circa 800 km più a sud: il sito di Howieson's Poort Shelter, nei pressi di Grahamstown (Sudafrica sudorientale). Qui sono stati ritrovati manufatti così interessanti e importanti che da questo sito è stata postulata l'esistenza di una vera e propria cultura, chiamata cultura di Howiensons Poort, i cui tratti caratteristici si estendevano, tramite baratto probabilmente, fino al Sudafrica del nord, come hanno dimostrato reperti simili trovati nella Border Cave (quasi ai confini con lo Swaziland). Nel sito di Howiensons Poort, che è stato datato tra i 65.000 e i 59.500 anni fa, furono ritrovate armi di fabbricazione complessa, fatte di lame di pietra scheggiate in forme geometriche e unite tra loro grazie a ocra riscaldata e a un composto di gomma collosa simile a quello rinvenuto a Sibudu Cave (che era più antico di qualche migliaio d'anni). Forse a quegli ingredienti era aggiunta un po' di cera d'api o del grasso. Coloro che preparavano questa miscela dovevano conoscere bene le giuste dosi, e saper effettuare un riscaldamento appropriato di tale miscela, evitando di farla bollire o di farla seccare. Analizzando tutte le caratteristiche di questo preparato, i ricercatori hanno concluso che per effettuare questi lavori i Khoesān della cultura di Howiensons Poort dovevano avere un intelletto e astrazione mentale identici a quelli degli umani moderni. Anche l'esteso uso dell'ocra, che veniva polverizzata e quindi usata come pigmento, forse anche sul corpo, rimanda secondo gli studiosi a un universo anche simbolico degli umani di allora.

Risalgono a circa 60.000 anni fa altri segni tangibili del simbolismo di quegli antichi Khoesān. Nel sito di Diepkloof Rock Shelter, sulla costa occidentale, sono stati ritrovati 270 frammenti di gusci di uova di struzzo con incisioni geometriche.
La grotta era abitata fin da 130.000 anni fa, e sono stati rinvenuti frammenti di guscio risalenti a tutta l'epoca di occupazione della grotta, ma quelli con le incisioni risalgono al periodo della cultura di Howiensons Poort, intorno ai 60.000 anni fa.
I ricercatori ritengono che i gusci venissero usati come contenitori d'acqua. Le incisioni sono composte da numerose linee, di cui alcune tratteggiate. Uno dei frammenti presenta due linee parallele, che probabilmente dovevano correre in modo circolare attorno al guscio.
Queste incisioni mostrano lo sviluppo di una tradizione grafica condivisa dalla comunità. I numerosi esempi ritrovati mostrano che vi erano regole per la composizione dei disegni, ma in qualche caso anche spazio per l'iniziativa individuale.
I gusci d'uovo avevano un volume medio di un litro e probabilmente venivano usati nella quotidianità di quei cacciatori e raccoglitori Khoesān, usati forse come brocche o borracce. Qualche ricercatore ha fatto notare che i gusci d'uova di struzzo sono molto duri e inciderli non era facile e richiedeva abilità tecnico-manuali. Quindi non si trattava assolutamente di improvvisazioni, ma di segni che erano entrati a far parte della loro società, forse con precisi significati simbolici e sociali.

Come è chiaro dagli ultimi paragrafi, i ritrovamenti degli ultimi 200.000 anni in siti abitati o frequentati dalla nostra specie sono molto più numerosi e più ricchi di informazioni rispetto a tutti i ritrovamenti dei milioni di anni precedenti, e presentano inoltre scoperte che di anno in anno si fanno sempre più interessanti. È chiarissimo lo scarto intellettivo che la nostra specie ha raggiunto rispetto a tutti gli altri ominidi che ci hanno preceduti.
Ma va anche notato, sottolineano i ricercatori oggi, che in questi ultimi 200.000 anni non è che ci sia stato un cammino costante verso una direzione di "progresso". Piuttosto, si sono alternate culture, alcune anche dai caratteri sorprendentemente moderni, che però poi scomparivano, decadevano o regredivano, per cause che noi oggi, nella maggior parte dei casi, non riusciamo a decifrare.

I Khoesān di 50.000 anni fa, dopo il "collo di bottiglia" avvenuto 70.000 anni fa, gradualmente ripresero ad aumentare di numero, grazie anche al fatto che non avevano competitori.
Queste tribù di cacciatori e raccoglitori infatti rimasero a vivere nell'Africa meridionale isolate per decine di migliaia d'anni dal resto del mondo. Alcune di loro migrarono verso l'Africa centrale a più riprese, ma dagli studi genetici pare che invece non vi furono migrazioni esterne verso la regione più meridionale del continente africano per molte migliaia di anni. Quindi i Khoesān rimasero tranquillamente legati al loro stile di vita, pacificamente isolati da influenze esterne per tutta l'era "prima di Cristo".
Mentre gli Homo sapiens in Europa dovevano condividere un ambiente freddo e inospitale con gli Homo neanderthalensis, e in alcune zone dell'Asia con altre specie ominidi evolutesi dalle antiche diffusioni degli Homo heidelbergensis e sopravvissute al cataclisma di Toba, il Sudafrica, ricco di flora e fauna e dal clima ottimale, era rimasto tutto a disposizione dei Khoesān.

Nel frattempo il gruppo etnico Khoesān si divideva in popolazioni. Una era quella dei Sān che, secondo i paleoantropologi, già 100.000 anni fa era definitivamente formata e definita come popolazione a sé. Il termine sān nella loro lingua significa "raccoglitore", quindi designa non un'identità etnica bensì di stile di vita, da cacciatori-raccoglitori, appunto. Che era lo stile di vita, poi, che fino a qualche migliaio di anni fa accomunava tutte le popolazioni Khoesān. 
Un'altra di queste, che si formò molto più tardi come popolazione a sé stante, era quella dei Khoekhoen (che significherebbe "la vera gente" nella loro lingua). Anche questa non era un gruppo etnico diverso dagli altri khoesān, ma piuttosto una popolazione che si distinse dagli altri adottando uno stile di vita molto diverso: addomesticarono alcuni tipi di bestiame e diventarono pastori. In che periodo storico questo successe non è chiaro, ma dalle prove archeologiche gli studiosi hanno ricostruito che i Khoekhoen si strutturarono con questo stile di vita nei territori dove oggi c'è l'attuale Botswana, per poi diffondersi verso sud. I ricercatori ritengono che i Khoekhoen appresero l'allevamento dopo essere entrati in contatto con alcune tribù pastorizie di origini cuscitiche dell'Africa centro-orientale, in qualche momento nel I millennio avanti Cristo, e poi, grazie alle migliori condizioni di vita permesse dall'allevamento, finirono per muoversi su nuove terre fino a migrare a sud fino in Sudafrica.

A quell'epoca (I millennio a.C.) il Medio Oriente, l'Europa e la Cina avevano già passato la "rivoluzione" neolitica, con l'introduzione dell'agricoltura e dell'uso dei metalli, e in Mesopotamia ed Egitto (ma anche nel Mediterraneo con la civiltà minoica) già erano sorti imperi centralizzati e super organizzati, che avevano fatto esplodere il commercio su lunghe distanze e la ricchezza. L'antica Grecia stava già diventando una "culla" di cultura che in seguito avrebbe influenzato l'intero "mondo occidentale" fino ai nostri giorni.

Nel V secolo avanti Cristo, il greco Erodoto riportò un racconto secondo cui nel VII-VI secolo a.C. una spedizione navale egizia con navigatori fenici sarebbe riuscita nell'impresa di circumnavigare l'Africa. Se così fosse, le coste sudafricane sarebbero state costeggiate da navi egizie già a quell'epoca. E poiché l'equipaggio, secondo il racconto, si fermava periodicamente anche per lunghi periodi in attesa della stagione propizia per ripartire (l'intero viaggio di circumnavigazione sarebbe durato tre anni secondo il racconto), sbarcando in luoghi adatti dove sostavano addirittura per periodi così lunghi da avere il tempo di seminare e attendere il raccolto, si può dire che l'agricoltura forse venne introdotta in Sudafrica, in modo del tutto estemporaneo, da navigatori fenici di passaggio! Chissà, sempre se sia vero questo resoconto, se quegli antichi viaggiatori avvistarono le popolazioni indigene Khoesān o no.
Chissà, oltretutto, se altre spedizioni navali antiche raggiunsero le coste sudafricane. Sembra altamente improbabile (leggete il prossimo post per più dettagli), e in ogni caso non ne abbiamo traccia.

Comunque, arrivati ormai ai secoli immediatamente precedenti la nascita di Cristo, altri popoli in Africa centro-settentrionale (anche nelle regioni delle attuali Etiopia e Somalia, o, dall'altra parte, della Nigeria). avevano ormai adottato l'agricoltura e intrapreso commerci con l'area mediterranea o del Medio Oriente.
Invece nell'Africa meridionale la maggiore innovazione era stata la pastorizia, adottata soltanto dai Khoekhoen, mentre i Sān vivevano ancora come i loro ancestrali antenati, decine e centinaia di migliaia di anni prima, cioè di caccia e raccolta, quindi con uno stile di vita nomade, non stanziale. Anche i Khoekhoen, pur essendo pastori, non avevano abbandonato la vita di raccoglitori di frutti e piante, cioè non avevano adottato l'agricoltura.
Come mai? Forse perché, mentre altri popoli avevano dovuto far fronte a cambiamenti climatici e ambientali avversi che li avevano costretti a cambiare stile di vita, in Sudafrica il clima, l'ambiente, i cacciatori e le prede, tutto rimaneva invariato da centinaia di migliaia di anni, e tutto era ideale per la vita dei Khoesān, che di conseguenza non dovettero cambiare il loro stile di vita, tranne i Khoekhoen provenienti dal nord del Botswana, che come detto arrivarono ad addomesticare del bestiame per farlo pascolare, invece che cacciarlo. Ma anche i Khoekhoen, pur con questo molto importante cambiamento, per il resto mantennero lo stile di vita di prima, legato al baratto e alle comunità di piccoli gruppi tribali, e non arrivarono neanche lontanamente alle innovazioni tecniche dei metalli, della scrittura o delle costruzioni di città.

Questo non significa affatto che le loro capacità intellettive fossero inferiori. Sono state scoperte pitture rupestri prodotte dai Sān in diversi luoghi dell'Africa meridionale, che testimoniano scene di vita, di caccia, animali, e anche rappresentazioni di individui accanto a del bestiame: forse il pittore sān voleva rappresentare individui khoekhoen accanto alle loro mandrie, o forse questa è una testimonianza che talvolta alcuni sān si prestavano a lavorare per pastori khoekhoen in cambio di cibo.
Le pitture rupestri sui monti Drakensberg, nel Sudafrica nordorientale, sono le più numerose concentrate nella medesima area, nell'intera Africa subsahariana. Le più antiche pitture sui Drakensberg risalirebbero al V o IV secolo a.C., ma sul posto sono stati trovati anche frammenti di colore di almeno un migliaio d'anni più antichi. I pittori usavano colori che spaziavano dal bianco e nero al rosso, giallo e arancio, ottenuti dalla mistione di argilla, carbone e ocre od ossidi di ferro.

E poi, avvenne ciò che Sān e Khoekhoen non avrebbero mai immaginato: un nuovo popolo africano immigrò nell'Africa meridionale, invadendo a più ondate i territori in cui da tempo immemore i Khoesān erano gli unici abitanti.
Si trattò di una delle più grandi migrazioni umane nella storia dell'Africa subsahariana, e soprattutto quella forse che produsse gli effetti più evidenti nella distribuzione etnico-linguistica delle popolazioni africane nell'Africa centromeridionale: viene chiamata "l'espansione Bantu".
Secondo alcuni ricercatori, i primi clan bantu entrarono in Sudafrica già dal I secolo d.C, o forse anche prima. Si apriva per il Sudafrica un nuovo capitolo storico, che avrebbe posto le basi per il Sudafrica di oggi, etnicamente parlando.
Come reagirono gli "antichi" Khoesān all'arrivo di genti totalmente diverse? Che relazioni ci furono tra i due diversi gruppi etnici?
Questo è decisamente materiale per un prossimo capitolo.

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