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lunedì 23 novembre 2015
Ubuntu: humanity
Last week was on stage at the Playhouse in Durban an opera, newly written, accompanied by our orchestra. Its title is Ubuntu. It is about South Africa's struggle and suffering during apartheid.
Thinking about hate, ideological clash, violence, that are spreading in the world, it occurred to me that the word ubuntu in bantu languages (sub-Sahara African languages) means humanity. An expression says: Umuntu ngumuntu ngabantu, which can be translated as "A person is a person through other people".
Living in South Africa since a couple of years, I realized that black people here have a light attitude towards life: leave on a side the problem, just enjoy, laugh, dance, exchange smiles with other people. To us, Western people, this seems a childish attitude, especially because after a while the problem will come for you.
But, reading the news about crazy terrorists who speak death and mass homicide, and on the other hand articles about the most effective ways for a "payback"...if it would be better a bombing or an invasion on the ground... Well, I must say that I prefer to spend my average day among people, well maybe a bit ignorant, simple people that care above all to enjoy the basics of life.
This is what we Europeans in South Africa feel: we are far from the rest of the world. Oceans stand between us and other continents, thousands of miles of jungles and deserts divide us from those lands where terrorism commits massacres.
Above all, here pseudo-religious fundamentalism does not exist. For example, Christianity is mixed with tribal superstitions, so there isn't a unique, dogmatic Christianity; as for Islam, it's a little minority and Muslim people in this part of the world they have never had historic-moral-cultural motives to appeal to dogmatic violence.
Of course, Africa experienced unimaginable violence and wars. But I really hope that its best qualities, that I can see every day in Durban (including the pacific coexistence of different ethnic groups), may be able to make Africa the continent of the future. Imagine, humanity saved by the continent most exploited and suffering in all human history!
giovedì 12 marzo 2015
Razzismo
Venti anni dopo
la fine dell’apartheid, in Sudafrica il razzismo non è morto. È triste dirlo, ma
esiste anche un razzismo da parte della popolazione di colore nei confronti della
popolazione bianca. È ormai risaputo che le persone di colore (neri, coloured)
vengono avvantaggiati per esempio in ambito lavorativo. Fanno testo le nuove
leggi varate dal governo, che stanno portando al licenziamento di migliaia di
lavoratori bianchi specializzati, anche in settori vitali per l’economia
sudafricana. La motivazione? Garantire in ogni settore della società una
rappresentanza che rispecchi la percentuale della popolazione in base al colore
(la popolazione bianca a livello nazionale ammonterebbe a circa il 9%),
passando sopra alle reali competenze e al merito. Non è forse una politica
razzista regolare in modo rigido l’occupazione in base al colore?
È notizia di questi
giorni che anche Eskom, la compagnia che fornisce elettricità al Sudafrica, una
delle dieci più grandi compagnie di elettricità al mondo, sarà sottoposta a
questi particolari licenziamenti. Oltre mille ingegneri e oltre duemila operai
specializzati bianchi della compagnia dovranno essere licenziati per far posto
a nuove assunzioni di personale di colore. Secondo un reportage giornalistico
che ha affrontato la faccenda, le nuovi leggi sudafricane sarebbero implacabili
sulle cifre. Dei 6530 dipendenti ingegneri di Eskom, 1786 sono bianchi, cioè il
30%: secondo la legge sono troppi, dovrebbero essere appena 705. E dei 21.372
operai specializzati di Eskom, oggi i bianchi sono 4487, cioè solo il 21%, ma
sono già troppi, la metà se ne deve andare.
Polemiche e
preoccupazioni stanno attraversando l’opinione pubblica sudafricana. Molti
temono che il Sudafrica rischi una profonda crisi economica a causa della
mancanza di lungimiranza degli attuali politici, a forza di sottrarre energie
specializzate in punti chiave per l’economia del Paese. Il problema infatti,
ovviamente, è che non basta il colore della pelle per essere all’altezza di
particolari competenze. Anche alcuni favorevoli alla politica di
“redistribuzione” in base alla demografia, ritengono che tutto stia avvenendo
troppo in fretta. E c’è chi paventa che il Sudafrica si stia avviando
pericolosamente verso la situazione del confinante Zimbabwe, il cui presidente Mugabe ha
recentemente ammesso che la crisi da cui lo Zimbabwe non riesce più a
sollevarsi dipende in gran parte dalla politica di esproprio delle aziende
agricole dei bianchi, dal 2000 a oggi, e dall’incapacità manageriale della
classe di colore fedele a Mugabe, che li ha sostituiti. Fa un certo effetto,
sentito dire dallo stesso Mugabe, che da decenni sventola la propaganda
dell’espulsione dei cittadini bianchi dallo Zimbabwe.
Va detto che il
clima di risentimento verso i bianchi non è generalizzato, io credo che la
maggioranza dei Sudafricani (neri, bianchi, coloured, indiani) abbia abbastanza
buonsenso e apertura mentale da considerare assurdo ogni comportamento
discriminatorio, e ho prova di questo tutti i giorni. Però non è nemmeno un
problema da sottovalutare, anzi. Tanti piccoli segnali rivelano che il problema
razzismo è più diffuso di quanto possa apparire. La popolazione sudafricana è
ancora molto divisa in una specie di auto-apartheid volontario, a causa della
forte differenza culturale. I neri si ritrovano in attività e locali
frequentati solo da loro, i bianchi pure, e perfino i coloured (meticci)
frequentano più spesso e volentieri altri coloured che altri neri o bianchi. Ho conferma di questo perfino nella nostra orchestra, dove pure lavora gente più acculturata e sensibile che in altri settori della società. Per non parlare degli indiani e asiatici (a Durban assommano a ben un quarto del totale della popolazione), che evitano per quanto possibile contatti con le altre etnie, conducendo una vita per conto loro. Non è questione di
odio, semplicemente di substrato culturale comune e di mancanza di volontà, spesso, di conoscere e interagire con le altre tradizioni diverse. Però in questo modo l’integrazione
è ancora molto lontana e antichi o nuovi risentimenti covano sotto la cenere,
come si intuisce anche da piccoli e apparentemente insignificanti episodi. Come
l’autista nero dell’autobus che si ferma ad aspettare che salgano persone di
colore, ma mentre tu bianco sei a due metri dalla porta e gli fai cenno, lui ti
vede ma parte lo stesso (successo più volte a più persone).
Eppure tra
qualche anno potremmo ricordare queste leggi addirittura come moderate. Un
nuovo giovane leader sta facendo infatti presa sui giovani neri, si chiama Julius
Sello Malema, e li ha conquistati denunciando la corruzione del governo Zuma.
Il problema è che Malema, oggi 34enne, in questi ultimi anni si è reso
protagonista di dichiarazioni di odio razziale contro i bianchi, che sono state
stigmatizzate dall’ANC (partito nero al governo) e dallo stesso presidente Zuma.
Il fatto che un tale leader goda già di un vasto consenso popolare, non lascia
ottimisti sul futuro dell’integrazione.
Forse il sogno
della Nazione Arcobaleno è morto con Nelson Mandela.
sabato 24 gennaio 2015
Il bello della vita
Così ho deciso di andare in piscina, sono uscito volenteroso, mi sono fermato a prendere un caffè sotto casa e ho visto che il parco di fronte alla caffetteria, che io ricordavo sempre chiuso, era aperto. La curiosità ha preso il sopravvento, sono entrato nel parco, che era un po' in salita essendo sulla china di una collina sovrastante Durban. C'erano due o tre coppiette bianche che portavano a spasso il cane e qualche gruppetto sparuto di neri che riposavano all'ombra. (Piccola parentesi: qui è normale parlare di bianchi e neri, e indiani, perché ciascuno di questi gruppi etnici vive esistenze completamente diverse dagli altri due gruppi)

Rinfrancato da questa scoperta, mi sono avviato a prendere il minibus per andare in piscina, ma strada facendo ho visto gente per strada che si godeva la bellissima giornata, e sono rimasto contagiato. Ho cambiato i piani e sono sceso sulla passeggiata del lungoceano, percorrendola tutta fino alla foce del fiume Umgeni, a nord di Durban. Era da diversi mesi che non passeggiavo fino qui, col suono delle onde dell'Oceano Indiano di sottofondo. Essendo sabato pomeriggio, tanti, soprattutto famiglie, erano sulla spiaggia o facevano grigliate lungo la passeggiata, com'è uso qua, soprattutto tra le famiglie indiane, che a volte mi sembrano quelle che si sanno godere di più la vita qui.
Arrivato al fiume, le onde si infrangevano imponenti sugli scogli del molo e qualche aspirante pescatore (in genere padri con figli, indiani perlopiù) gettava l'amo lungo la foce del fiume, con le onde talmente forti da spingere indietro la corrente del fiume per parecchi metri, formando quindi una specie di piccolo lago prima della foce vera e propria.
domenica 30 marzo 2014
Gli Africani e la musica nel sangue
Oggi abbiamo suonato in un ospedale poco fuori Durban. Immaginavo di ritrovarmi in mezzo alle corsie, tra gente sofferente, invece in realta' era un'occasione particolare, qualche sorta di ricorrenza, e ci hanno fatto sistemare in una grande sala, un po' "spartana". Tutti gli spettatori pero' erano vestiti in modo elegante, secondo le possibilita' di ognuno, e soprattutto c'era un clima di festa, quasi mi chiedo dove fosse veramente l'ospedale. Ospitare poi un'orchestra a suonare la domenica pomeriggio... Non so in Italia se ci sia qualche ospedale che lo fa, ma non l'ho mai sentito.
Accompagnavamo il coro locale, una cinquantina di persone di colore dalle voci potenti e bellissime, oltre a un piccolo coro di ragazzi dalle voci gia' molto promettenti. Ho potuto ascoltare da vicino quanto la popolazione nera sia particolarmente portata per il canto, hanno un timbro di voce potente e sono molto musicali.
Il caldo, nonostante qui ufficialmente sia appena cominciato l'autunno, mi faceva sudare e non bastavano i ventilatori. La mia compagna di leggio oggi era una ragazza giovane sudafricana di etnia tswana, ma l'orchestra e' un mosaico di genti di provenienza diversa, e' molto intrigante sapere quali incroci di vite diversissime si trovino gomito a gomito cercando di produrre insieme una bella musica: ci sono gli afrikaner, sudafricani bianchi (molto religiosi di solito), ci sono i neri, tutti giovani perche' solo da pochi anni i primi di loro stanno imparando la musica classica... la mia compagna di leggio e' una sorta di "pioniera" in questo senso. Poi ci sono gli stranieri che pero' vivono qui da vent'anni, tedeschi, bulgari, russi, tutti con storie diverse alle spalle, eppure un unico comune denominatore: anni di studio dello strumento, e anni di gavetta nelle orchestre dei Paesi di origine e poi in giro per il mondo. In fondo, pur nelle enormi differenze, abbiamo una storia comune.
Comunque, per tornare a noi, prima di iniziare a suonare mi ero preparato al peggio: assediato dal caldo, in una salone che non era certamente una sala concerto, mi dicevo: "speriamo non duri troppo". Anche gli altri orchestrali mi sembravano non di ottimo umore, per il fatto di dover suonare anche il sabato e la domenica questa settimana.
Invece, appena abbiamo cominciato a suonare, e' cominciato il divertimento. Niente musi lunghi tra il pubblico, come spesso in Italia, ma tutti attentissimi e divertiti, compreso il presentatore che tra un pezzo e l'altro esprimeva e condivideva col pubblico le sue impressioni ed emozioni (un po' "all'americana" a dire la verita', ma in fondo divertente). Era come se tutti si conoscessero, e poco a poco l'atmosfera allegra mi ha contagiato.
Ma il bello e' arrivato quando ha cominciato a cantare il coro: un'onda sonora dal timbro caldo si e' diffusa nella sala impregnandola di musica, il pubblico ha cominciato ad accompagnare cantando sottovoce o incitando con sorrisi quando una ragazzina che cantava da solista si emozionava un po'.
Prima del finale, e' intervenuto al microfono anche il direttore dell'ospedale, credo, un anziano di colore dalla voce roca e pacata, che ha ricordato come fino a non molti anni fa non fosse nemmeno concepibile che un coro di neri cantasse insieme a un'orchestra di bianchi (perche' fino a pochi anni fa, poi, l'orchestra era composta solo di bianchi). Questo, ha detto l'anziano, e' il potere della musica e degli uomini di buonsenso che operano con la musica, e si e' detto felice di vedere che finalmente banchi e neri lavorano assieme portando la musica nei luoghi piu' diversi, dalle scuole agli ospedali, donando momenti di felicita' a chi ne ha magari davvero bisogno. Questo ha strappato un applauso anche da parte degli orchestrali, che per un momento hanno lasciato da parte il malumore per non poter essere sulla spiaggia la domenica.
Io ho pensato: ma guarda quanto sentono importante qui la musica, lo sentono praticamente come uno strumento di vita! Wow!
E poi, abbiamo attaccato con il pezzo finale, Istimela, dalla musica travolgente: il coro ballava ondeggiando sulle note di questa canzone recente (il compositore era in sala) ma dai suoni e ritmi della musica tradizionale africana. Il pubblico non ha piu' resistito, si e' alzato in piedi ballando a sua volta e cantando. Accanto a me, la mia compagna di leggio tswana stava ballando e ridendo anche lei mentre suonava! So che ho pensato: "Cavolo, hanno proprio la musica nel sangue, io non riesco mentre suono a ballare cosi'!". Ma stavo ballando e ridendo dentro di me, felice di fare questo mestiere in mezzo a questa gente.
Accompagnavamo il coro locale, una cinquantina di persone di colore dalle voci potenti e bellissime, oltre a un piccolo coro di ragazzi dalle voci gia' molto promettenti. Ho potuto ascoltare da vicino quanto la popolazione nera sia particolarmente portata per il canto, hanno un timbro di voce potente e sono molto musicali.
Il caldo, nonostante qui ufficialmente sia appena cominciato l'autunno, mi faceva sudare e non bastavano i ventilatori. La mia compagna di leggio oggi era una ragazza giovane sudafricana di etnia tswana, ma l'orchestra e' un mosaico di genti di provenienza diversa, e' molto intrigante sapere quali incroci di vite diversissime si trovino gomito a gomito cercando di produrre insieme una bella musica: ci sono gli afrikaner, sudafricani bianchi (molto religiosi di solito), ci sono i neri, tutti giovani perche' solo da pochi anni i primi di loro stanno imparando la musica classica... la mia compagna di leggio e' una sorta di "pioniera" in questo senso. Poi ci sono gli stranieri che pero' vivono qui da vent'anni, tedeschi, bulgari, russi, tutti con storie diverse alle spalle, eppure un unico comune denominatore: anni di studio dello strumento, e anni di gavetta nelle orchestre dei Paesi di origine e poi in giro per il mondo. In fondo, pur nelle enormi differenze, abbiamo una storia comune.
Comunque, per tornare a noi, prima di iniziare a suonare mi ero preparato al peggio: assediato dal caldo, in una salone che non era certamente una sala concerto, mi dicevo: "speriamo non duri troppo". Anche gli altri orchestrali mi sembravano non di ottimo umore, per il fatto di dover suonare anche il sabato e la domenica questa settimana.
Invece, appena abbiamo cominciato a suonare, e' cominciato il divertimento. Niente musi lunghi tra il pubblico, come spesso in Italia, ma tutti attentissimi e divertiti, compreso il presentatore che tra un pezzo e l'altro esprimeva e condivideva col pubblico le sue impressioni ed emozioni (un po' "all'americana" a dire la verita', ma in fondo divertente). Era come se tutti si conoscessero, e poco a poco l'atmosfera allegra mi ha contagiato.
Ma il bello e' arrivato quando ha cominciato a cantare il coro: un'onda sonora dal timbro caldo si e' diffusa nella sala impregnandola di musica, il pubblico ha cominciato ad accompagnare cantando sottovoce o incitando con sorrisi quando una ragazzina che cantava da solista si emozionava un po'.
Prima del finale, e' intervenuto al microfono anche il direttore dell'ospedale, credo, un anziano di colore dalla voce roca e pacata, che ha ricordato come fino a non molti anni fa non fosse nemmeno concepibile che un coro di neri cantasse insieme a un'orchestra di bianchi (perche' fino a pochi anni fa, poi, l'orchestra era composta solo di bianchi). Questo, ha detto l'anziano, e' il potere della musica e degli uomini di buonsenso che operano con la musica, e si e' detto felice di vedere che finalmente banchi e neri lavorano assieme portando la musica nei luoghi piu' diversi, dalle scuole agli ospedali, donando momenti di felicita' a chi ne ha magari davvero bisogno. Questo ha strappato un applauso anche da parte degli orchestrali, che per un momento hanno lasciato da parte il malumore per non poter essere sulla spiaggia la domenica.
Io ho pensato: ma guarda quanto sentono importante qui la musica, lo sentono praticamente come uno strumento di vita! Wow!
E poi, abbiamo attaccato con il pezzo finale, Istimela, dalla musica travolgente: il coro ballava ondeggiando sulle note di questa canzone recente (il compositore era in sala) ma dai suoni e ritmi della musica tradizionale africana. Il pubblico non ha piu' resistito, si e' alzato in piedi ballando a sua volta e cantando. Accanto a me, la mia compagna di leggio tswana stava ballando e ridendo anche lei mentre suonava! So che ho pensato: "Cavolo, hanno proprio la musica nel sangue, io non riesco mentre suono a ballare cosi'!". Ma stavo ballando e ridendo dentro di me, felice di fare questo mestiere in mezzo a questa gente.
sabato 1 marzo 2014
Sudafrica
È passato un mese dal mio arrivo in terra africana e spero di rimanerci a lungo. Ho scoperto diverse cose, tra cui il fatto che l'Africa non è solo quel continente povero e martoriato, ma anche una terra ricca: ricca di persone dalle storie diversissime, ricca di una natura rigogliosa, ricca anche di ricchezza, da qualche parte. Come qui a Durban, in Sudafrica, città in terra zulu ma dove convivono culture e razze diverse in un crogiolo di storie, lingue, colori e sapori.
Prima di venire qui, la conoscenza più "ravvicinata" che avevo dell'Africa mi proveniva dai racconti di un mio prozio missionario comboniano, Padre Giuseppe Ambrosi, che ha passato la vita nelle regioni più povere di Kenya e Uganda. Qui a Durban ho trovato l'altra faccia dell'Africa. Il Sudafrica è il Paese più moderno del continente, dove tuttavia ci sono enormi differenze culturali, e tra ricchi e poveri. Vediamo se riesco a raccogliere un po' delle impressioni che ho avuto.
Ancora mi sorprendo pensando a una camminata che ho fatto da solo dopo pochi giorni dal mio arrivo, nel centro di Durban. In qualsiasi posto vada, una delle prime cose che faccio è gironzolare a piedi per vedere da vicino le persone e il posto e farmi una prima idea. Ma mai mi era successa una cosa simile: camminavo, camminavo, per chilometri, in mezzo a una città affollata e brulicante, ed ero l'unico bianco. Tutt'intorno, tutte persone di colore. Avrei potuto sentirmi in soggezione forse, invece no, non mi sentivo particolarmente osservato e nemmeno a disagio, soltanto sorpreso perché non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione del genere. Oltretutto, con la mia dose di incoscienza, mi ero avventurato a caso per la città incurante degli avvertimenti di chi mi aveva detto di stare attentissimo alla criminalità dilagante, specialmente nel centro. Certo, ero uscito con le tasche quasi vuote e vestito in maniera casual non appariscente. Con un mio amico siamo convenuti sul fatto che basta sentirsi "neri dentro", cioè uguali alla gente per strada, per sentirsi a proprio agio: in fondo, è proprio vero che siamo tutti uguali nei comportamenti, e già ora quando parlo con chiunque non mi rendo nemmeno conto del colore della sua pelle (bianco, coloured, nero, verde, fucsia...), ma mi viene da giudicarlo solo dal modo in cui si pone. Riguardo alla criminalità poi, ho scoperto che Durban tra le grandi città del Sudafrica (con oltre tre milioni di abitanti è la terza città del Paese) è quella probabilmente più sicura. Si vedono guardie e polizia ovunque. Forse il fatto che sia una città turistica aiuta a investire sulla sicurezza, specialmente dopo i Mondiali di calcio di quattro anni fa.
Però la disoccupazione è molto alta e la differenza tra i ricchi e la classe media è molta, molta. In un'altra delle mie camminate sono finito in una zona vicina a dove abito io, e ho scoperto villazze in stile hollywoodiano, circondate da alte mura e da fili elettrici ad alta tensione: è la zona dei bianchi ricchi, che si barricano dietro fortezze extra lusso. In quelle strade ho visto persone di colore vestite da domestici come in Italia si usava un secolo fa. Anche questo è il Sudafrica. Nonostante la fine dell'apartheid, ho notato che la maggior parte dei bianchi in realtà vive in quartieri per conto loro, e da alcuni commenti ho notato la diffidenza che le persone di origine anglosassone specialmente hanno nei confronti dei neri, al di là delle parole di circostanza. Beh, sapete che vi dico, che io finora mi trovo più a mio agio con gli zulu!
Invece la nostra orchestra è una bella realtà di commistione multiculturale, dove suonano assieme sudafricani bianchi afrikaner, sudafricani anglosassoni, sudafricani neri e "coloured", europei, americani, giapponesi... Anche se ho notato, devo dire, che anche lì le varie etnie parlano più tra di loro e poco le une con le altre. Gli unici che come sempre ce la spassiamo con chiunque, e facciamo divertire chiunque, siamo noi italiani, ben sette in orchestra! L'orchestra è attualmente la migliore dell'Africa e l'unica in Sudafrica con una programmazione e una gestione manageriale così attive e ambiziose, anche nei programmi di concerto (paragonabili a quelli di qualunque orchestra di alto livello europea).
Queste sono solo alcune delle mille impressioni che mi affollano la testa, ma che devo fare, per ora vi dovete accontentare!
Non so se in mezzo a tante nuove esperienze avrò il tempo di aggiornare anche il blog, ahahah! Cercherò di farlo soprattutto per fissare nero su bianco certi ricordi prima di dimenticarli.
Salani kahle!

Però la disoccupazione è molto alta e la differenza tra i ricchi e la classe media è molta, molta. In un'altra delle mie camminate sono finito in una zona vicina a dove abito io, e ho scoperto villazze in stile hollywoodiano, circondate da alte mura e da fili elettrici ad alta tensione: è la zona dei bianchi ricchi, che si barricano dietro fortezze extra lusso. In quelle strade ho visto persone di colore vestite da domestici come in Italia si usava un secolo fa. Anche questo è il Sudafrica. Nonostante la fine dell'apartheid, ho notato che la maggior parte dei bianchi in realtà vive in quartieri per conto loro, e da alcuni commenti ho notato la diffidenza che le persone di origine anglosassone specialmente hanno nei confronti dei neri, al di là delle parole di circostanza. Beh, sapete che vi dico, che io finora mi trovo più a mio agio con gli zulu!

Queste sono solo alcune delle mille impressioni che mi affollano la testa, ma che devo fare, per ora vi dovete accontentare!
Non so se in mezzo a tante nuove esperienze avrò il tempo di aggiornare anche il blog, ahahah! Cercherò di farlo soprattutto per fissare nero su bianco certi ricordi prima di dimenticarli.
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