In questa quinta tappa andremo a visitare il villaggio preistorico di Bussolengo, situato presso l’attuale località Gatto, su quei rilievi collinari detti "Ale" che degradano verso l’Adige a nord-ovest del territorio comunale bussolenghese: sono colline formate dal terreno trasportato dagli antichi ghiacciai, come abbiamo visto nel nostro viaggio precedente. Negli anni ’30 del secolo scorso queste colline vennero tagliate dai lavori di una “grande opera” (come si direbbe oggi) costruita durante il periodo fascista: il Canale Biffis. Durante i lavori, che distrussero la parte centrale del sito archeologico, vennero ritrovati alcuni reperti che vennero recapitati al Museo Civico di Storia Naturale di Verona. Ma il sito rimase abbandonato nel disinteresse generale fino a quando negli anni ’90 finalmente il nucleo operativo di Verona della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto condusse due campagne di scavo, che per la prima volta portarono alla luce almeno ciò che rimaneva dei resti del villaggio.
Prima di catapultarci nel villaggio di località Gatto, dobbiamo però spiegare cosa è successo durante i quasi 150.000 anni trascorsi dopo il nostro ultimo viaggio, quando ci eravamo lasciati alle prese con la glaciazione di Riss. Tra i due post precedenti (quello tra le foreste dell’
e quello della glaciazione ) erano intercorsi ben 350.000 anni: una vastità di tempo che, misurandolo con la nostra storia umana, non riusciamo nemmeno a concepire. Eppure durante quel tempo (per noi infinito) l’evoluzione umana aveva visto pochi cambiamenti: c'era stata un'evoluzione, cognitiva e nel modo di vivere, ma abbastanza modesta.
Gli uomini di Neanderthal, come vengono comunemente chiamati, si evolsero per adattarsi a un'Europa più fredda, come abbiamo visto nel precedente post, ma il loro stile di vita rimase invariato, per quanto ne sappiamo, per decine di migliaia di anni.
Poi, oltre 40.000 anni fa, successe qualcosa di rivoluzionario. Una nuova specie, in diverse ondate, emigrò in Europa: era la nostra specie, l'Homo sapiens. Questa specie portava con sé un'evoluzione cognitiva decisamente superiore a quella dei Neanderthal. Era evidente il solco che separava questa rivoluzionaria specie dagli altri ominidi rimasti nel mondo. Nel corso di poche decine di migliaia d’anni le altre specie di ominidi andavano verso l’estinzione, lentamente ma inesorabilmente. Forse, anche se non ci sono prove a riguardo, il principale motivo fu che la superiorità tecnologica e di organizzazione sociale della nostra specie, e la mancanza di integrazione tra le diverse specie di ominidi, fecero sì che l'Homo sapiens si accaparrasse le principali risorse naturali per la sopravvivenza, marginalizzando le altre specie fino a indurle a estinguersi nel giro di qualche decina di migliaia di anni (che a noi sembra comunque un tempo infinito, basti pensare: esisterà ancora l'uomo tra 10mila o 20mila anni nel futuro?). Essendo specie diverse, di norma un'unione sessuale interspecie dava origine a progenie non fertile. Eppure alcune recenti ricerche sostengono che le attuali popolazioni del sudest asiatico hanno in certe regioni fino al 5-6% di DNA in comune con l'antica specie di Homo denisoviano, mentre alcune popolazioni in Medio Oriente ed Europa avrebbero tra l'1 e il 4% di DNA in comune con gli antichi Neanderthal. Ciò significa che ci furono casi sporadici e "fortunati" in cui delle unioni sessuali tra Sapiens e Neanderthal o Denisoviani diedero origine a figli fertili, ma furono casi rari e isolati.
L’
Homo sapiens decine di migliaia di anni fa, mentre direttamente o indirettamente costringeva le altre specie di ominidi alla marginalità dalla scena della Storia, seppe invece adattarsi a tutti i cambiamenti di climi, ambienti e situazioni, e anzi il suo adattamento divenne la sua forza: ora era in grado di dominare e colonizzare l’ambiente circostante, viaggiando ed emigrando in tutti i continenti. Nacquero aggregazioni sociali sempre più organizzate, che già almeno 40.000 anni fa, per esempio, producevano opere di
pittura ,
musica e
scultura di grande rilievo. A quell’epoca la Lessinia e la Valpolicella costituivano probabilmente una delle regioni più densamente popolate in Europa: al vecchio sito di Quinzano, che rimaneva abitato, si erano aggiunti altri piccoli centri e villaggi, tra cui quello della
Grotta di Fumane era uno dei più fiorenti e oggi è considerato
tra i siti preistorici più importanti in Europa. Ovviamente una tale densità abitativa portò con sé confronti sociali tra i villaggi e commercio. Insomma
il nostro territorio è stato, nel suo piccolo, una fertile culla di civiltà fin da epoche remotissime.
Per dare un'idea del rapido successo della nostra specie, basti pensare che alla vigilia del neolitico, cioè intorno a 15.000 anni fa, mentre tutte le altre specie di ominidi si erano ormai estinte, si stima che la popolazione umana, diffusasi in tutto il mondo, fosse già tra i 5 e gli 8 milioni. Sorgono sospetti su come mai a una tale espansione della nostra specie corrispose la graduale estinzione di tutti i nostri "cugini" delle altre specie del genere
Homo. Ma questo non è il luogo dove occuparsi di ciò. Poi avvenne
la “rivoluzione neolitica”: la diffusione dell’allevamento e dell’agricoltura permise la nascita di innumerevoli culture regionali un po’ ovunque, che grazie ai commerci si trasferivano il sapere e le scoperte, anche a lunghe distanze. Fu come un effetto domino che accelerò in modo esponenziale il percorso dell’evoluzione umana. In alcune regioni si formarono società organizzate in modo tale da far nascere vere città, con i loro governanti, e poi veri e propri regni, come in Mesopotamia e in Antico Egitto.
Ma mentre il Vicino Oriente assisteva praticamente al nascere della storia umana, con l’uso della scrittura, guerre, conquiste, opere letterarie e costruzioni faraoniche come le Piramidi (faraoniche proprio nel senso letterale: edificate dai faraoni dell’Antico Egitto!),
qui da noi, ancora intorno a 4000 anni fa, si era rimasti con i ritmi di vita della fase finale della preistoria, anche se alcune innovazioni, come l’uso di strumenti in bronzo, giunsero fin qui. Fu in questo periodo che venne a formarsi il villaggio di località Gatto.
Viaggiamo quindi nel tempo fino a esattamente 4000 anni fa: cioè nell’anno 1985 avanti Cristo, quando il nostro villaggio, almeno secondo le ricostruzioni archeologiche, doveva esistere già da un paio di secoli.
|
Ecco come forse poteva apparire un cacciatore veronese di quattromila anni fa |
A quel tempo tutto il territorio bussolenghese era cosparso di foreste, e sarebbe rimasto tale ancora per molti secoli a venire. Ci ritroviamo quindi in mezzo a una fitta foresta di latifoglie, proprio nel luogo dove oggi c’è il centro della cittadina di Bussolengo. Avanziamo un po’ a caso tra alberi, cespugli e rovi, senza avere una benché minima visuale di dove stiamo andando. Sui rami alti si sentono cinguettare molte specie di uccelli, e ogni tanto si sente qualche rumore tra le frasche, non lontano: qualche animale che, al nostro avanzare, cerca rifugio. Speriamo solo di non imbatterci in qualche cinghiale.
Ma dopo pochi minuti ci troviamo invece a tu per tu con un essere umano! Un cacciatore evidentemente, vestito di un indumento in pelle grezza, con calzari anch’essi in pelle fissati con dei lacci. Ha un piccolo arco a tracolla, e lance dalla punta in selce molto affilata. Anche lui sembra abbastanaza sbalordito, anche perché, nel nostro tentativo di vestirci in modo “preistorico”, indossiamo solo una specie di saio in tela grezza e calzature in cuoio grezzo ma ben cucito a macchina. Chissà che impressione gli faremo e chi si penserà di avere davanti. Dopo qualche minuto di imbarazzo e di tentativi di comunicare a gesti, deve rendersi conto che forse cerchiamo il villaggio, e con aria di forte disappunto, non riuscendo a capirci reciprocamente, ci fa cenno di seguirlo: dobbiamo avere interrotto la sua preziosa mattinata di caccia.
La nostra “guida” prosegue silenziosa e con passo svelto e sicuro, seguendo un sentiero che noi non sapremmo riconoscere. A un certo punto la foresta finisce, ma ci accorgiamo che è perché è stata disboscata: dobbiamo essere vicini. Il sentiero “invisibile” ora diventa poco a poco un viottolo e poi una stradina sempre più grande, che a un certo punto ne incrocia un’altra ancora più battuta: quest’ultima deve essere senz’altro una via percorsa dai commercianti, magari in direzione del Lago di Garda o della Valpolicella, zone densamente popolate all’epoca e luoghi di smistamento di diversi prodotti (come la selce dei Lessini, richiesta anche da regioni lontane fin da tempi antichissimi).
Oltrepassato infine l’ultimo boschetto, rimaniamo a bocca aperta: si tratta di un piccolo villaggio fortificato. Le case (o meglio, capanne in legno, argilla e frasche) sono costruite all’interno di un canalone che dalle colline moreniche degrada verso l’Adige, che scorre qualche decina di metri più in giù e che proprio qui sotto forma un’ampia ansa che genera un comodo guado. Ai bordi del fossato in cui si trova il villaggio è innalzata una resistente palizzata, che lo racchiude dai pericoli esterni. Da qui si sorveglia dall’alto il corso dell’Adige, cioè della principale via di commercio dell’epoca in questa regione. Mentre ci avviciniamo al villaggio, ancora fuori della palizzata, notiamo capre al pascolo, sorvegliate a vista da bambini pastori, e anche qualche appezzamento coltivato: spighe di grano.
Inoltre poco lontano, verso l’attuale Pastrengo, scorgiamo una colonna di fumo, che molto probabilmente si alza da qualche altro villaggio: evidentemente su queste colline c’è una rete di villaggi in comunicazione tra loro, che sfruttano queste zone come postazioni sicure, in vista sull’Adige e situate sul percorso che collega la Valpolicella con il Lago di Garda. Secondo l'archeologo Umberto Tecchiati questi villaggi, trovandosi in una regione di passaggio tra aree culturali diverse, dovevano avere caratteristiche miste appartenenti a diverse tipologie di villaggi preistorici: i villaggi palafitticoli del Garda, quelli fortificati del Trentino, e quelli della bassa pianura (i quali in seguito avrebbero dato vita alla cultura delle
terramare). Insomma, già da allora questo territorio cominciava a essere una zona "di cerniera" tra culture regionali confinanti.
Nel frattempo il cacciatore, sempre muto, ci precede facendoci entrare nel villaggio. Gli abitanti, che erano intenti nei loro lavori, come la macellazione di animali e la macinatura di granaglie, si fermano guardando l’arrivo di questi strani individui. Stimiamo che il villaggio, con meno di dieci capanne, abbia alcune decine di abitanti e una buona parte sono bambini o ragazzi. I figli sono numerosi e l’età media degli abitanti ci sembra molto giovane. Probabilmente il passaggio di qualche commerciante estraneo non è una novità, ma dai loro sguardi capiamo che noi siamo percepiti come “strani”: sarà perché siamo condotti al villaggio da un loro membro che ha dovuto interrompere la sua caccia, o per come siamo vestiti: la maggior parte di loro è a torso nudo, o indossa pelle di animale conciata e consumata. L’impressione è quella di un piccolo villaggio abbastanza povero, molto contadino. Inoltre l’odore non è proprio piacevole: ci dev’essere un allevamento di maiali laggiù in fondo. Ma il terreno di calpestio è in terra talmente battuta e compatta da sembrare quasi un pavimento. Questo, ci sembra, garantisce un minimo di pulizia all’interno del villaggio.
Veniamo condotti davanti a una capanna un po’ più grande delle altre, dove un uomo brizzolato e pieno di rughe (che però potrebbe non avere più di 40 anni) ci squadra incuriosito. Il cacciatore gli parla brevemente, in un linguaggio così incomprensibile da non ricordarci nessun appiglio con alcuna lingua, moderna o antica. Il “vecchio” brizzolato, che probabilmente è il capo villaggio, si rivolge a noi e dà subito mostra di saperci fare con il linguaggio mimico e dei segni: evidentemente gli sarà capitato frequentemente di dover parlare con gente venuta da fuori che parla un altro linguaggio. Noi facciamo molta più fatica cercando di spiegare che siamo solo dei viandanti di passaggio, ma alla fine lui sembra capirci. Veniamo così invitati a fermarci a cenare al villaggio, come ospiti di riguardo.
Al centro del villaggio c’è un focolare, che viene acceso e alimentato con rami portati dalla foresta. Sul fuoco viene messa ad arrostire della carne, alcuna cacciata in giornata, altra di maiale dall’allevamento. Il sole è ancora in cielo quando tutti sono già seduti attorno al focolare, accovacciati su panni di pelle messi per terra. Gli sguardi di questa gente, vivaci, attenti, curiosi di ogni nostro minimo movimento, smentiscono ogni stereotipo sulla “ottusità” dell’uomo “primitivo”. Questi uomini, donne e ragazzi non sono affatto primitivi, sembrano molto più svegli e in gamba di tanti umani d’oggi, spesso impalati davanti al computer o alla televisione. La carne è molto buona, si vede che è naturale e senza conservanti! In compenso la verdura, una specie di insalata, mi è sembrata amara, ma almeno so che non è inquinata! Mentre i bambini si allontanano a giocare schiamazzando, diversi adulti (quasi tutti di giovane età) cercano di capire da dove veniamo e dove andiamo… Per fortuna il fatto di esprimerci a gesti ci permette di non inventare strane storie, e così facciamo finta di non essere in grado di spiegarci bene. Probabilmente credono che veniamo da molto lontano, non avendo mai visto tipi così. Per la notte veniamo fatti alloggiare nella capanna del capo villaggio. Solo un telo separa l’angolo del nostro giaciglio dal resto della capanna, abitata dalla sua famiglia, in una promiscuità a cui oggigiorno non siamo più abituati.
Ma la semplicità contadina di quella gente, e le loro attenzioni nei riguardi di ospiti estranei non ci sono sembrate molto diverse da altre simili realtà dei nostri tempi. Il fatto che noi li consideriamo “primitivi” è solo una conseguenza errata della comodità di classificare le epoche, dove quindi le
epoche precedenti all’invenzione della scrittura (o della scrittura come la intendiamo noi) sono state definite preistoria. Quel villaggio sulle Ale di Pol era certamente abitato da una comunità povera e di sussistenza, ma diverse migliaia di anni prima, in altre parti d’Italia e d’Europa, erano già esistite altre comunità che avevano fatto fiorire la cultura, le arti, il commercio, i culti religiosi, e poi magari erano decadute. Quindi già migliaia di anni fa nascevano “civiltà evolute” (addirittura pare che già da almeno 5000 anni prima di Cristo molti popoli europei avessero
piena consapevolezza dei fenomeni astronomici!), che poi decadevano e si alternavano con “comunità di sussistenza” (qui
un esempio tra tanti). Il fatto che non usassero la scrittura a cui noi siamo abituati (ma magari altre forme di pittografia) non significa che per certi aspetti non pensassero e agissero in modo “moderno” come noi.
Anche quel villaggio “preistorico” bussolenghese nel corso dei secoli vide periodi di popolamento alternati a periodi di decadenza o abbandono. Venne infine abbandonato per sempre soltanto quando le condizioni storiche furono mutate radicalmente, verso la prima metà del primo millennio avanti Cristo: si era allora in piena
età del ferro , e la diffusione di quell’importante metallo, soprattutto in un centro già molto attivo com’era Verona (una delle città più antiche d’Italia, già dotata di case in pietra nel primo millennio a.C.), pose fine alle ultime comunità chiuse nel proprio guscio. Villaggi come quello di località Gatto scomparivano perché non aveva più senso arroccarsi in un villaggio fortificato per difendersi da fiere feroci che non esistevano più. Nuove popolazioni venute da fuori, ognuna con una propria cultura, stavano facendo fiorire i commerci come mai prima. Finivano quindi definitivamente gli ultimissimi residui isolati della preistoria.
* I contenuti di questo articolo non sono frutto di fantasia, ma sono elaborati prendendo a riferimento le scoperte archeologiche in seguito agli scavi effettuati dal nucleo operativo di Verona della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto.